Dopo giorni di lavoro, il documento dei saggi è pronto. Il primo passo è per le mani del presidente del Consiglio Enrico Letta e del presidente della Repubblica Napolitano. Poi tocca al Parlamento. In sé, è un disegno completo del quadro di riforme da mettere in cantiere. Pone le basi (e non solo) per la trasformazione dell’assetto politico istituzionale del Paese. Per «renderlo adeguato al contesto europeo», spiega a Linkiesta Francesco Clementi, professore di Diritto Pubblico all’Università di Perugia e – soprattutto – uno dei membri della commissione dei saggi.
Cosa contiene?
È un quadro di riforme organico, che si basa su tre anime, ma su un punto condiviso, che ne fa da architrave. Cioè la consapevolezza che l’Italia ormai è dentro l’Unione Europea. Deve perciò farne parte in un percorso di crescita comune, che la adegui al contesto che la circonda. Anche perché la crisi economica e la crisi politica devono avere risposte.
Nello specifico cosa si trova nel documento?
Prima di tutto, rompere il bicameralismo paritario a favore di un sistema asimmetrico. Al centro sarà posta la Camera dei Deputati, cui competerà il potere di decidere sulle leggi. Il Senato, invece, sarà dedicato alle Regioni e alle Autonomie. Proprio su queste ultime, in particolare, avrà un ruolo di competenza speciale. In questo modo anche i tempi per le procedure di promulgazione delle leggi saranno più brevi, e questo è in armonia con i tempi moderni ed europei.
Poi?
Poi il Titolo V. Anche qui, occorre intervenire per fissare un suo baricentro: bisogna semplificare tutte le storture che si sono create in 12 anni di Titolo V, intervenendo con attenzione nella materia. Fissando le competenze e le funzioni delle amministrazioni. Serve più ordine, in questo senso. E anche questo è ormai necessario per superare le impasse politiche del nostro paese.
Sulla figura del presidente del Consiglio che posizioni avete assunto?
Anche in questo caso, le nostre visioni erano differenti, dal semi-presidenzialismo al parlamentarismo. Ma abbiamo trovato una sintesi, come in altre parti del documento. L’ipotesi è andare verso il premierato, cioè la creazione di una figura più forte. Il presidente del Consiglio che può scegliere e revocare la nomina dei ministri, ha un potere di scioglimento delle camere. In linea con altri paesi insomma. Questo è stato deciso anche come forma di rispetto nei confronti degli elettori: sapranno, nel momento dell’elezione, anche quale partito governerà e quale sarà il presidente del Consiglio. La prassi c’è già, ma la sua formalizzazione è opportuna.
E i partiti?
Non è chiaro se lasciare che si autoregolino, e riescano a rafforzarsi da soli o se invece intervenire con provvedimenti che sappiano stimolarli. Lo spirito di tutta l’iniziativa, in ogni caso, è di armonizzare le diverse visioni e portare l’Italia in una posizione nuova, da dove possa cominciare a risolvere i suoi problemi, in primis quelli di un pericoloso sfarinamento che la crisi della rappresentanza comporta.