Le proteste per la legge sulla sperimentazione animale

Rubrica Scienza&Salute

Il ricercatore Silvio Garattini non si arrende: come tutti coloro che hanno inviato lettere di protesta al Governo, il Gruppo 2003 per la ricerca (i ricercatori italiani con più pubblicazioni alle spalle) che ha fatto partire un appello e anche alcuni ricercatori italiani che da qualche mese hanno messo su un’associazione – Pro-test – per una corretta informazione scientifica. Il nodo è ancora una volta la sperimentazione animale e il modo in cui l’Italia ha recepito la Direttiva comunitaria sulla sperimentazione animale, inserendo ulteriori paletti al trattamento degli animali per uso scientifico e limitando non poco la ricerca biomedica italiana. Se la legge rimanesse così com’è non solo l’Italia verrebbe tagliata fuori dal contesto europeo ma a farne le spese sarebbe soprattutto la salute pubblica. Per questo Silvio Garattini ha scritto una lettera aperta al ministro della Ricerca, Maria Chiara Carrozza; per questo Pro-test il 19 settembre ha organizzato una manifestazione a Roma, davanti Montecitorio, per «chiedere al Governo di fare un passo indietro sulla riforma, sensibilizzare la cittadinanza sulla necessità della ricerca scientifica e sollecitare i media ad una corretta informazione scientifica».

L’articolo 13 (Criteri di delega al Governo per il recepimento della Direttiva 2010-63-EU del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2010, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici) introduce una serie di divieti che di fatto impedirebbero ai ricercatori italiani di portare avanti la ricerca di base e traslazionale (quella che trasferisce le terapia dall’animale all’uomo) andando contro il senso stesso della direttiva. Tra i vari punti verrebbe vietato l’utilizzo degli animali per lo studio degli xenotrapianti – fondamentali per lo sviluppo di terapie antitumorali e per sostituire la valvole cardiache – e delle sostanze d’abuso: solo in Italia le dipendenze affliggono due milioni di persone e la comprensione dei meccanismi che vi sono alla base sono necessari per lo sviluppo di cure. Senza contare che in questo modo il nostro Paese non potrebbe più competere né collaborare con gli altri paesi per i bandi europei.

Silvio Garattini, farmacologo e direttore dell’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri, che per prima cosa precisa che «non si tratta di vivisezione» come spesso si sente dire o si legge in giro «termine inadeguato e sbagliato usato solo per scopi strumentali. Ma di sperimentazione animale. Noi non sezioniamo i viventi, e durante le operazioni, a fine scientifico, valgono per gli animali le stesse regole usate per gli esseri umani».
La carriera di Garattini inizia presso l’Istituto di farmacologia dell’Università di Milano, subito dopo la laurea in Medicina e Chirurgia, dove rimane come assistente fino al 1962. Poi nel 1963 fonda l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, un ente no profit che si occupa di ricerca biomedica. L’idea gli viene durante una visita di più mesi negli Stati Uniti dove conosce realtà di ricerca differenti e pensa che qualcosa di simile e indipendente dall’Università dovesse essere fatta anche in Italia.
Così grazie ai fondi donati da Mario Negri – un gioielliere milanese che aveva creduto nella sua idea, che muore di tumore nel 1960 – lascia l’università che a quell’epoca non offriva sufficienti garanzie per svolgere un’attività di ricerca adeguata ai tempi («era un periodo in cui non si poteva pubblicare in inglese e la ricerca non era considera una delle attività principali dell’università») e fonda un ente di ricerca no profit. «Mi aveva colpito il concetto di fondazione: un ente che agisce secondo le regole dell’attività privata e al di fuori della burocrazia statale senza finalità di profitto. Con il vantaggio, quindi, di poter lavorare come un privato ma nell’interesse pubblico».

Professore, fare ricerca oggi è più difficile rispetto a quando ha iniziato lei? 
Oggi non solo la situazione della ricerca in Italia è tragica ma respiriamo anche un’aria antiscientifica. Ci sono molte componenti della società che spingono contro la scienza. Sono un esempio l’ostracismo agli Ogm (organismi geneticamente modificati), l’attenzione che si dedica al caso Stamina e Davide Vannoni che fa terapie senza base scientifica o la legge sulla sperimentazione animale. Tutto indica che c’è una tendenza a voler frenare o ignorare la ricerca scientifica. Poi mancano i fondi, spendiamo meno della metà per la ricerca rispetto al PIL rispetto alla media dei Paesi europei e abbiamo la metà dei ricercatori sempre rispetto la media europea. E dire che i ricercatori italiani pur essendo pochi hanno una buona produzione, quindi avrebbero tutte le carte in regola per poter essere sostenuti. In un Paese come il nostro la ricerca scientifica dovrebbe essere la base del progresso per l’innovazione, per avere prodotti ad alto valore aggiunto. L’Italia che ha una mancanza di materie prime e che ha un costo del lavoro molto elevato dovrebbe far capo alle intelligenze della gente e lavorare su questo che è un patrimonio importante a nostra disposizione. 

Nonostante questo scenario tragico consiglierebbe lo stesso ad i giovani studenti italiani di intraprendere questa carriera?
Quella del ricercatore è l’attività più interessante che ci sia perché è un continua corsa verso quello che non si conosce, che dà la soddisfazione di aprire nuovi orizzonti. Certo oggi è molto difficile consigliare a un giovane di fare ricerca in Italia perché a parte alcune istituzioni non ci sono le caratteristiche. È meglio andare all’estero e formarsi in maniera adeguata percorrendo la propria carriera e sperando che poi l’Italia in futuro possa offrire qualcosa di più di quello che offre ora.

Agli animalisti che rovinano il lavoro di queste persone invece che direbbe?
Gli direi che stanno lavorando anche contro loro stessi, perché la salute è un patrimonio di tutti e oggi per fare progressi nelle terapie e acquisire nuove conoscenze abbiamo ancora bisogno della sperimentazione sugli animali, non possiamo farne a meno. Fra l’altro agiscono anche contro le leggi perché nel nostro Paese, come in tutti i Paesi europei, siamo obbligati a sperimentare i farmaci o le terapie prima sugli animali e poi sugli esseri umani. Questa è la realtà. Poi possiamo discutere della legittimità di imporre le proprie idee attraverso forme di violenza verbale, attraverso un’inibizione a parlare a quelli che hanno idee diversa dalla loro (vedi il caso del Festival della Mente di Sarzana ndr). Sono forme di fascismo, intollerabili in un paese democratico. Certamente per quanto mi riguarda non mi lascerò né imbavagliare né intimidire da queste persone e continuerò a fare quello che penso sia giusto fare.

Cosa pensa dell’articolo 13 che di fatto stravolge la Direttiva europea?
Il problema della direttiva europea è molto chiaro. Ci sono già 15 paesi che l’hanno approvata noi – nonostante abbiamo una legge più restrittiva della Direttiva europea – non si capisce perché abbiamo aggiunto delle restrizioni in più che non fanno altro che danneggiare la ricerca italiana. Prima di tutto ci impediscono di lavorare in alcuni campi molto importanti e ci mettono in condizioni di inferiorità rispetto ai ricercatori stranieri. Inoltre rendono più difficili collaborazioni per accedere a fondi europei. Tutto questo invocando terapie alternative che oggi non esistono come tali. Sono solo terapie complementari che usiamo tutti i giorni ma che non bastano. Penso che chiunque possa capire che poche cellule coltivate in vitro sono ben differenti da un organismo animale che ha una complessità straordinaria. L’animale è un passaggio intermedio prima di arrivare all’uomo. Passaggio ragionevole che non sempre dà i risultati sperati ma senza il quale oggi tutte le terapie che utilizziamo – e che usano anche gli animalisti e gli animali stessi – non esisterebbero.

Se viene approvata in via definitiva cosa succede?
Se passa la legge molti laboratori dovranno chiudere, non faremo più ricerca, non porteremo più il nostro contributo alle conoscenze e allo sviluppo di terapie efficaci. Alla fine verrano danneggiati quelli che hanno poca voce in capitolo, come i bambini, gli anziani, quelli che soffrono e che hanno malattie ancora oggi senza cura, e la grande speranza che dalla ricerca arrivino della soluzioni. D’altra parte è impossibile fare grandi passi avanti provando direttamente sull’uomo, dal punto di vista etico sarebbe inappropriato.

A luglio è stato anche ascoltato dalla commissione Affari sociali della Camera, cosa non ha funzionato?
I membri della commissione erano estremamente ragionevoli e convinti che questa legge fosse sbagliata. Poi però hanno prevalso gli ordini di partito e hanno fatto in modo che la legge venisse approvata com’era per non rimandarla in Senato, per non perder tempo. È stata una delusione perché gli ordini di partito e di Governo hanno predominato sull’opinione che avevano molti dei parlamentati con cui ho parlato direttamente, e che avevano espresso un’adesione ai nostri punti di vista.

È ottimista? Pensa che l’articolo sarà rivisto?
Io spero che la Commissione europea usi la sua influenza per far capire che questa è una grave infrazione alla Legge europea. L’articolo 2 della Direttiva, infatti, dice che non si devono creare ulteriori restrizioni alla legge esistente, fatta per armonizzare la sperimentazione animale. Il principio è che ci siano regole uguali in tutti i paesi, in modo da avere un’uniformità e non privilegiarne alcuni che hanno regole più facili rispetto altri che hanno regole più difficili. Poi spero nel buon senso nei ministri della salute e della ricerca che sono quelli da cui dipenderà come questa legge verrà applicata o non applicata.

Il 19 settembre a Roma si terrà una manifestazione organizzata da Pro-test, un’associazione di ricercatori nata da poco per diffondere una corretta informazione scientifica. Cosa ne pensa?Penso che sia utile. I ricercatori italiani sono sempre stati molto assenti, hanno sempre pensato che i problemi si sarebbero risolti da soli e le associazioni scientifiche non hanno mai preso una posizione chiara. Spesso anche per non perdere popolarità o per motivi economici (per non perdere il 5 per mille per esempio). Io credo che sia giunto il momento di sostenere questi movimenti che cercano di fare capire al pubblico quali sono le ragioni per cui la ricerca è necessaria. I ricercatori italiani non hanno saputo presentare il loro caso, non hanno saputo, tutte le volte in cui hanno ottenuto dei risultati, sottolineare che erano stati ottenuti anche grazie alla sperimentazione animale, hanno preferito evitare di parlare di questi problemi per evitare l’impopolarità. Credo invece che sia molto importante spiegare quello che facciamo e se lo spieghiamo in modo chiaro credo che alla fine la gente sia d’accordo sul fatto che non ci stiamo divertendo ma stiamo lavorando nell’interesse pubblico.  

Twitter: @cristinatogna

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute

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