“L’Italia va meglio, ma è al traino degli altri paesi”

Intervista a Francesco Daveri

La ripresa? Sta arrivando. Secondo i dati diffusi dal Centro studi Confindustria le previsioni sulla crescita sono meno peggiori di quanto si pensasse. La contrazione c’è, ma dell’1,6%– invece che del 1,9%, come si prevedeva a giugno. E per il 2014 si prevede addirittura che la crescita arrivi allo 0,7% , cioè 0,2 punti percentuali in più di quanto già previsto. Dati che diffondono un cauto ottimismo e che, secondo il professor Francesco Daveri, ordinario di economia all’università di Parma, sono in linea con lo stato dell’economia del Paese. Il miglioramento c’è, ed è visibile. La strada, però, è ancora lunga.

A cosa è dovuta la “ripresina” italiana?
Gli ordinativi dell’industria sono migliorati: il segno più c’è da prima dell’estate. E questo ha i suoi effetti positivi a cascata, con un ritardo di sei mesi, su tutto il resto del Paese – anche se l’industria ormai rappresenta solo il 25% del Pil. Per questo c’è motivo di essere ottimisti per il quarto trimestre del 2013 e per l’inizio del 2014.

Ma questo non vuol dire che la crisi sia finita.
No, è finita la recessione ma non la crisi. C’è una ripresa nell’industria, ma occorre guardare anche ad altri fattori: quando tornerà il credito? E quando tornerà il lavoro? Ci vuole ancora molto tempo. Prima migliora il Pil, e poi può cominciare a migliorare anche il resto. E il nostro Pil è stato fiaccato da un lungo periodo di crescita negativa.

Però se le cose vanno meglio, non si può dire che sia merito delle riforme messe in atto in Italia.
No, perché non abbiamo fatto granché. Certo, i conti messi in ordine, i compiti a casa, hanno assicurato stabilità, ma le ragioni della ripresa, e anche della crisi, vanno ricercate nel fatto che l’economia ha una portata globale. Si tratta di fenomeni che importiamo dall’estero. L’economia americana ha ripreso ad andare, e questa ondata dopo un po’ arriva anche in Europa. C’è da aggiungere anche che noi non ci stiamo riprendendo, ma i tedeschi sì, e questo incide anche sulle nostre condizioni. Almeno in termini di esportazioni, sia chiaro. Però è qualcosa.

Cosa si dovrebbe fare, allora, per crescere in modo autonomo?
Non è che uno può dire: “io ho la carta per ritornare a crescere”. È una questione complessa, difficile da abbracciare tutta insieme. Anche perché non è causata soltanto dalla crisi. L’Italia ha problemi di crescita decennali, occorre tempo: non bastano due anni di riforme, anche le più illuminate del mondo, per risolvere tutto. Di sicuro, si può intervenire sullo stato. È diventato troppo grande, si occupa di troppe cose. Non c’è bisogno allora di tagli lineari, ma di capire dove lo stato può ritirarsi, cioè cosa può smettere di fare. Questo lascerebbe spazio ai privati, alle ong, o agli investitori esteri. Posto che ci siano le garanzie per gli investimenti: tempi brevi, burocrazia più snella, certezza nella giustizia. Resta anche il problema dei crediti.

Che si può risolvere come?
Anche qui, è una questione complessa. Ma i crediti sono bloccati, e per la produzione è un problema. In questo caso, ci vorrebbe un’azione dello stato: sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione, anche andando in deficit. Questo sarebbe una garanzia da parte dello stato, che permetterebbe alle imprese di ricevere i crediti dalle banche e tornare a essere produttive. Ma sono tutte questioni complicate. 

Che vanno affrontate in un contesto politico – come dice lo studio di Confindustria – stabile.
Sì, la stabilità politica è senz’altro una condizione vantaggiosa. Di sicuro non siamo di fronte a uno specifico endorsement per il governo in carica, perché Confindustria non ha mai sfiduciato un governo. Semmai ha sempre agito con il pungolo per portare avanti le riforme.

X