«È paradossale che l’Italia non sia il leader in Europa nel settore del cibo, in particolare nella ristorazione. Puoi andare in tutti i posti nel mondo e trovare ristoranti italiani. Ma nessuno è italiano tranne che nel nome». Così parlò, dal palco dell’assemblea di Unindustria, a Bologna, Luke Johnson, imprenditore inglese che il tema lo conosce bene.
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Johnson, 51 anni, è il fondatore di PizzaExpress, la catena di pizzerie più grande in Europa. Quando ne prese il controllo e divenne presidente, nel 1993, partì da 12 locali. Quando si decise a vendere, nel 1999, erano saliti a 250 (oggi sono 400), e l’insegna si era trasformata nel sinonimo della pizza nel Regno Unito. Nel frattempo valore delle azioni era passato da 40 pence a 900. Li reinvestì in altri ristoranti, per lo più italiani, come la catena Strada, di livello superiore rispetto a PizzaExpress.
«Negli ultimi 20 anni ho aperto 500 ristoranti, di cui il 75% sono brand italiani», ha spiegato a Bologna. E ha aggiunto: «Per me è sempre stato un enigma: perché se l’Italia è piena di imprenditori dinamici, quasi nessun ristoratore ha aperto delle attività organizzate all’estero?».
Le risposte le ha date lui stesso: «In Italia una grande parte dei ristoranti sono di proprietà di famiglie e questo è un limite. Devono far crescere le dimensioni e affiancarsi a investitori organizzati». Ma il problema non sono solo i soldi: «I ristoratori sono molto tradizionali, i menu sono scontati e ripetitivi. Dovrebbero essere più coraggiosi, rompendo le regole, perché i giovani mangiano in maniera diversa rispetto ai loro genitori».
La fissazione per l’innovazione non stupisce, se si dà un’occhiata alla storia di Sir Johnson. La folgorazione, narrano le cronache, avvenne all’università, quando ebbe modo di intervistare per un giornale studentesco l’imprenditore e guru del management Richard Branson, sulla casa galleggiante di questo. E come il suo mentore, da qualche anno anche Johnson, che nel frattempo è stato per sei anni presidente della tv britannica Channel 4, tiene una rubrica sul Financial Times.
Poco dopo l’incontro con Branson, durante gli studi di fisiologia a Oxford, lanciò con l’amico e futuro socio Hugh Osmond una serie di locali, a partire da un nightclub. Da allora ha preso attività piccole, le ha rilanciate e poi vendute. Dal 2001 ha istituzionalizzato questa attività nel fondo Risk Capital Partners Ltd, che gestisce numerose società, sia di ristorazione (la più famosa è stata la catena Giraffe, appena ceduta) sia nei settori dell’intrattenimento, retail, media e sanità. Una su tutte, la la Dental Holdings, fondata nel 1996, la prima insegna di studi dentistici, che 10 anni dopo, quando fu venduta, contava 500 affiliati.
In Italia Johnson gestisce la Clear Leisure plc, che ha una partecipazione nella catena di cucina giapponese Sosushi, quattro hotel e il parco a tema Ondaland. «Vorrei investire ancora – ha detto dal palco – se trovassi un partner giusto. È il momento migliore per farlo. Gli imprenditori sono stanchi della mancanza di finanziamenti a causa del credit crunch. Devono capire che non devono attendere il governo ma fare il primo passo, liberare i loro “animal spirits”».
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