Obama e Rohani riaprono il dialogo Usa-Iran

La crisi siriana. La nostra analisi

All’ingresso dell’Università di Teheran chi passa è obbligato a calpestare le bandiere sbiadite, disegnate sull’asfalto, di Stati Uniti e Israele. Ma la retorica anti-americana della leadership rivoluzionaria potrebbe presto cambiare. Da una parte, il timore dell’esportabilità della rivoluzione iraniana sembra essere ridimensionato, anche se l’Islam sciita fa sempre più paura, nelle capitali europee e a Washington, dell’Islam sunnita. Dall’altra, i cambiamenti di rotta, dall’elezione del riformista Mohammed Khatami nel 1997 e del tecnocrate Hassan Rohani nel 2013 hanno segnato un nuovo pragmatismo nelle relazioni bilaterali tra Washington e Teheran.

Lo storico incontro Rohani-Obama

E così non stupisce nessuno se, ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si stia discutendo della possibilità di un incontro fra il presidente Barack Obama e il suo omologo Hassan Rohani (il 27 settembre, appena un paio di giorni dopo, ci sarà una storica telefonata tra i due, ndr). L’ultimo incontro fra gli omologhi dei due Paesi risale al colloquio di Jimmy Carter con lo Shah Mohammed Reza Pahlavi nel 1977. La novità dell’elezione del presidente iraniano Hassan Rohani in politica estera si misurerà proprio con l’intervento previsto oggi all’Onu. Rohani ha parlato di nuovo multilateralismo della Repubblica islamica in politica estera e di «inaccettabili» sanzioni all’Iran in riferimento al programma nucleare. In un intervento sul Washington Post  il 19 settembre, Rohani aveva detto: «A più di un decennio e due guerre dall’11 settembre 2011, al-Qaeda e altri militanti estremisti continuano a devastare. La Siria è diventata teatro di una violenza straziante, anche con attacchi chimici che condanniamo con forza. In Iraq, 10 anni dopo l’invasione americana, decine di persone perdono la vita in violenze ogni giorno. In Afghanistan continua l’eccidio», aggiunge Rohani. Esempi che dimostrano «chiaramente che l’approccio unilaterale non è in grado di risolvere questioni che ci riguardano tutti come il terrorismo e l’estremismo», conclude Rohani.

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Il nuovo presidente tecnocrate ha proseguito assicurando che l’Iran non vuole dotarsi di un’arma atomica. Non solo, a conferma del nuovo corso in politica estera della Repubblica islamica sono arrivate le dichiarazioni della guida suprema Ali Khamenei che ha parlato di vittoria della diplomazia sul «militarismo». Trita Parsi, esperto di relazioni bilaterali Usa-Iran, ha assicurato che l’incontro tra Rohani e Obama aprirà la strada a un possibile accordo sul nucleare. D’altra parte, prosegue l’analista, Teheran ha interesse a dimostrare che nella crisi siriana paga maggiormente un approccio gradualista e pragmatico rispetto alle minacce di un attacco, avanzate nei mesi scorsi.

Non solo, i primi passi dell’uomo forte, vicino al tecnocrate Rafsanjani, non si sono fatti attendere neppure in politica interna. Dieci attivisti per i diritti umani, tra cui l’avvocato Nasrin Sotudeh, sono stati rilasciati nei giorni scorsi. L’ex collaboratrice del premio Nobel per la Pace Shrin Ebadi era stata condannata a 11 anni di prigione nel gennaio del 2011 con l’accusa di «cospirazione» contro la «sicurezza dello stato». La pena era stata poi ridotta in appello a sei anni. Mentre si accelera l’iter per la fine degli arresti domiciliari dei due principali leader dell’opposizione riformista. Hussein Moussavi e Mehdi Karroubi sono stati arrestati nel 2011, in seguito alle manifestazioni di piazza Azadi a Teheran in solidarietà con le proteste in Medio Oriente. Secondo molti osservatori, le proteste giovanili nel mondo arabo sono partite proprio con le manifestazioni dell’Onda verde del 2009 in Iran. Secondo altri esperti, si tratta di eventi distinti e limitati in Iran a una diffusa opposizione alla rielezione del radicale Mahmud Ahmadinejad. Per questo le autorità iraniane hanno letto le proteste del 2011 come il sintomo di un «risveglio islamico» che avrebbe portato i Fratelli musulmani al governo nei principali Paesi, coinvolti dalle rivolte. Questo aveva anche portato ad un riavvicinamento tra l’Egitto dell’ex presidente Mohammed Morsi in Egitto e l’ex presidente Mahmud Ahmadinejad e alla partecipazione di Morsi alla riunione dell’Organizzazione della conferenza islamica dell’agosto 2012 a Teheran.

Dal dual containment alle sanzioni per il nucleare

La Rivoluzione islamica del 1979 ha segnato un allontanamento sostanziale tra Stati Uniti ed Iran. La retorica khomeinista ha rappresentato Washington come responsabile dell’intossicazione del popolo iraniano negli anni precedenti alla Rivoluzione, appoggiando le politiche di occidentalizzazione promosse dallo Shah.
La questione degli ostaggi americani nell’Ambasciata statunitense a Teheran, conclusasi con il loro rilascio nel gennaio del 1981, ha determinato il congelamento delle relazioni diplomatiche formali tra i due Paesi. Durante la guerra Iran-Iraq, il sostegno americano al regime baathista ha inasprito l’odio delle autorità iraniane verso gli Stati Uniti. Fatto a sé è il caso Iran Gate (1986-87). Si tratta dello scandalo di forniture di tank per scopo militare alle forze iraniane da parte americana in cambio del rilascio di cittadini statunitensi presi in ostaggio in Libano.

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Negli anni Novanta, nonostante il pragmatismo dei governi del tecnocrate Rafsanjani, i due Paesi non hanno compiuto passi per una ripresa delle relazioni reciproche. Anzi, proprio in quegli anni è stata promossa dagli Stati Uniti una politica di doppio contenimento (dual containment) tra Iran e Iraq. Si tratta di una strategia formulata sistematicamente dal diplomatico statunitense Martin Indyk dopo lo scoppio della guerra. Gli Stati Uniti hanno accresciuto il loro controllo nel Golfo Persico sostenendo l’Arabia Saudita come guida regionale. Ciò avrebbe lentamente condotto all’isolamento dell’Iran ed al rovesciamento del governo ba’athista iracheno. A tal proposito, è proprio del 1996 l’approvazione dell’Ilsa (Iran-Lybia sanction Act), la legge che aveva come obiettivo l’isolamento commerciale della Repubblica islamica tramite sanzioni alle aziende che intendessero promuovere ingenti investimenti in Iran. Ma si è trattato di un provvedimento spesso male applicato e non efficace.

All’Ilsa, ad aggravare l’ostruzionismo americano allo sviluppo economico iraniano, si è aggiunta la dura opposizione americana all’ingresso dell’Iran nell’organizzazione mondiale del commercio (Wto) e ai progetti per la costruzione del gasdotto dell’Asia centro-meridionale nel sud dell’Iran.
Con la vittoria dei riformisti nel 1997 e le prime aperture dei Paesi europei, anche l’ex presidente Bill Clinton aveva manifestato l’intento di un possibile riavvicinamento con l’Iran. In particolare, l’ex Segretario di Stato Madeline Albright ha espresso il suo rammarico per l’intervento dei Servizi americani nel colpo di stato che ha allontanato dal potere Mossadeq nel 1953. Inoltre, in quegli anni, il partito dei Mojaheddin del popolo iraniano (Mek) è stato collocato nella lista dei movimenti che sostengono il terrorismo, proibendo di fatto donazioni private in suo favore.

Il tema delle relazioni con gli Stati Uniti ha però aperto un fervido dibattito in Iran. La retorica di molti esponenti tradizionalisti rimangono roboanti e lo stesso Khamenei appare ufficialmente scettico nei confronti di un avvicinamento nelle relazioni tra i due Paesi. Dopo l’11 settembre 2001, l’ex presidente George Bush ha indicato l’Iran tra i Paesi accusati di «sostenere il terrorismo internazionale, avere legami con al-Qaeda, produrre armi di distruzione di massa»: di far parte cioè del così detto «asse del male» assieme ad Iraq e Corea del Nord.
Nel maggio del 2003, a questo scopo 127 esponenti del Parlamento scrissero una lettera alla guida suprema Ali Khamenei chiedendo una svolta nelle relazioni tra Iran e Stati Uniti. Dopo la guerra in Afghanistan, appoggiata dalle autorità iraniane, e l’attacco all’Iraq del 2003, in cui l’Iran si è detto neutrale, i contatti tra Stati Uniti ed emissari iraniani sono stati molteplici. Varie sono le notizie di colloqui tenutisi nell’Ambasciata svizzera a Teheran tra diplomatici e uomini dei servizi americani e autorità iraniane. In territorio iracheno, l’appoggio ai gruppi sciiti anti ba’athisti ha, da un lato, facilitato la conquista di Baghdad da parte delle forze anglo-americane, dall’altro, contribuito a fomentare i gruppi armati di opposizione.

A contribuire all’isolamento di Teheran, è arrivata la stigmatizzazione del programma nulceare iraniano. E così, anche nel 2013 l’Agenzia per l’energia atomica internazionale (Aiea) ha denunciato l’incremento della capacità di arricchire l’uranio dopo l’installazione di centinaia di nuove centrifughe nella centrale di Natanz. I cinque componenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite insieme alla Germania hanno chiesto alle autorità iraniane di sospendere al 20% l’arricchimento dell’uranio e di spedire le riserve all’estero. Se questo piano venisse accettato da Teheran le sanzioni fin qui stabilite verrebbero alleggerite. Prima dell’elezione di Hassan Rohani a presidente della Repubblica iraniana, Washington ha inserito altre 20 aziende (incluse industrie energetiche e navali) e personalità politiche (incluso l’ex vice-ministro alla difesa Reza Mozaffarina) nella lista nera delle sanzioni all’Iran. Queste sanzioni hanno prodotto effetti controversi in Iran. Tanto che, da una parte, è aumentata del 74% l’esportazione di petrolio da Teheran e, dall’altra, è dimezzata l’esportazione di petrolio grezzo dal Paese.

Dopo anni di un isolamento che nascondeva un costante coinvolgimento di Teheran nei principali conflitti regionali, con l’elezione di Rohani si potrebbe arrivare a nuove relazioni tra Iran e Washington, per la soluzione della crisi siriana e della questione nucleare, ma anche per risolvere la grave instabilità in Iraq, Afghanistan e per gestire la nuova stagione delle rivolte in Medio Oriente.

Twitter: @stradedellest

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