Siria, e se lo avesse fatto George W. Bush?

Doppiopesismi politico-psicologici

C’è una parte di opinione pubblica, nel mondo, che si ostina inopinatamente a usare due pesi due misure. C’è una parte di opinione pubblica che avrebbe considerato George Bush – se solo avesse ipotizzato l’attacco in Siria – un crudele e pazzo guerrafondaio, ma che ovviamente non usa la stessa severità con Barack Obama. C’è una parte di opinione pubblica, nel mondo, che avrebbe coperto di disprezzo un presidente repubblicano che si ostinasse ad agire da solo come un pistolero, fregandosene dei mandati internazionali, e che si scopre improvvisamente più indulgente e comprensiva se il pistolero che se ne frega dei mandati internazionali è un presidente democratico: c’è una parte di questo concentrato di sprovveduti incoerenti che incredibilmente ragiona così, e di questo popolo, purtroppo, faccio parte anche io.

Proviamo a mettere in fila gli errori di Obama che preferiremmo non vedere:

1) Uno dei comunicatori più abili del mondo stava dichiarando una guerra nello stesso giorno (giovedì scorso) in cui commemorava il più celebre discorso pacifista del mondo, il “I have a dream” di Martin Luther King. (Genialmente perfida, ma efficacissima, la parodia de Il manifesto: “I have a drone”).
2) Un dei politici apparentemente più attaccato all’idea della democrazia e delle regole, ci ha detto che l’Onu non conta un fico secco.
3) Uno dei politici più abili nel fissare le agende delle priorità ha fatto precedere un annuncio di bombardamento a un “non bombardamento” (nella peggiore tradizione dei presidenti democratici).
4) Uno dei politici che è stato più talentuoso nel declinare l’idea del futuro, si infila in un intervento che l’idea del futuro la mette a rischio: una guerra che è pericolosa perché non ha un obiettivo strategico chiaro, perché non è chiaro cosa accadrà se si scatena un effetto-domino di reazioni e rappresaglie in tutto il medio oriente.

Siccome sono tra coloro che faticano a prendere atto di questo fallimento conosco il percorso psicologico che produce la rimozione totale, o anche l’accettazione dolorosa della realtà. Non possiamo capacitarci che dopo aver costruito la sua leadership sull’opposizione efficacissima alle guerre di Bush, Obama ne diventi un pallido epigono. Non possiamo accettare che dopo avergli consegnato la nostra fiducia, lui la gestisca con tanta disinvoltura. Non ci piace l’idea che tutto sembri fatto male, in fretta, e per motivi che di umanitario sembrano avere poco o nulla. Quando lo fanno i repubblicani siamo certo che lo facciano per svuotare gli arsenali, quando lo fanno i democratici ci chiediamo: “Cosa sarà successo?”. Ma, detto questo, persino noi, generosamente sprovveduti, sappiamo che la delusione di Obama è compensata dalla fermezza vigilante del Congresso. Magari sarà per poco: ma la democrazia americana ha dei contrappesi che la nostra si sogna.

Twitter: @lucatelese
 

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