Nel 2008 lo Stato ha accettato di gravare di oneri consistenti la collettività al fine di “salvare” Alitalia. A distanza di cinque anni lo Stato interviene nuovamente.
Per una nazione è strategico il trasporto aereo, ma non una specifica azienda. L’interesse nazionale nel settore consiste semplicemente nel fatto che la domanda dei consumatori sia soddisfatta nel modo migliore possibile, non è rilevante da quale tipo di imprese e da quali azionisti esse possano risultare controllate.
Cosa avrebbe dovuto fare allora il governo di fronte al rompicapo dell’ennesima crisi di Alitalia? La risposta è assolutamente nulla, semplicemente lasciare al mercato di trovare la soluzione migliore, lasciare la responsabilità della scelta esclusivamente agli azionisti dell’azienda, senza aiuti e sostegni pubblici di qualunque tipo.
I capitani coraggiosi che nel 2008 vollero la cloche della compagnia avevano (e hanno, se il governo cambia idea, coma auspichiamo) diverse alternative:
1) ricapitalizzare con mezzi loro e provare a rilanciare l’azienda, se vi credono;
2) trovare nuovi soci privati;
3) cedere la proprietà;
4) portare i libri in tribunale e avviare procedure straordinarie;
5) cessare l’attività e lasciare gli aerei a terra, come avvenne nella civile e ricca Svizzera nell’ottobre 2001.
Quest’ultima è l’ipotesi estrema. E tuttavia, è bene chiarirlo, i 24 milioni di clienti annui di Alitalia non rischierebbero di restare a terra a lungo poiché altri vettori avrebbero convenienza a sostituirsi rapidamente ad essa e, non disponendo di aerei e personale sufficiente, anche a prendersi carico di una parte rilevante degli aerei e dei dipendenti dell’azienda. Sarebbe comunque una soluzione di mercato, più traumatica delle altre ipotesi considerate, ma comunque molto migliore rispetto all’erogazione di 75 milioni di soldi pubblici che sono destinati a bastare appena al vettore per continuare a volare nel prossimo inverno e a riproporci tutti i problemi attuali aggravati tra sei o al massimo dodici mesi.
Postilla postale. Che dire del fatto che il soggetto pubblico chiamato dal governo a partecipare con 75 milioni è Poste Italiane, società al 100% del Ministero dell’Economia e della Finanze? In Italia un’azienda postale pubblica è usata per aiutare a ripubblicizzare un’azienda aerea totalmente privata. Nello stesso giorno della decisione italiana i britannici hanno assistito al successo della privatizzazione e quotazione in Borsa di Royal Mail, l’ultima grande azienda pubblica rimasta dopo la privatizzazione totale delle ferrovie nel 1995. In Olanda, invece, le “Linee aeree reali olandesi”, più note come KLM e sul cui logo azzurro campeggia ancora la corona reale, sono state privatizzate e cedute ad Air France nel 2003 senza che l’interesse nazionale ne abbia minimamente risentito (KLM è inoltre cresciuta da allora molto più di AF e non risente dei problemi della consorella francese). In Olanda, inoltre, le “Poste reali olandesi”, più note agli italiani come TNT Post sono state interamente privatizzare nel 1993 e sono ora un operatore mondiale. Sbagliano i decisori di questi paesi o sbagliamo e abbiamo sbagliato noi su tutta la linea?
*Editoriale dell’Istituto Bruno Leoni, pubblicato con il titolo “Porcate con le ali”
Twitter: @istbrunoleoni