Brasile, l’ambasciata italiana è un modello energetico

Esempio di edificio ecosostenibile

L’Italia che funziona ed esporta è un edificio pubblico. Pare impossibile, soprattutto se pensiamo che si tratta di un modello energetico. Eppure l’ambasciata italiana di Brasilia, progettata dall’architetto Nervi nel ’77, è divenuta un esempio di efficienza copiato anche dagli americani. E, a quanto pare, ha anche aiutato i brasiliani a risparmiare sulla bolletta.

Per capire come bisogna tornare indietro di almeno tre anni, a quando il nostro ministero degli Affari Esteri aveva promosso Farnesina Verde. Il piano, in linea col nome ecosostenibile, prevede l’abbattimento dei costi energetici dei vari edifici e delle sedi diplomatiche, praticamente un’opportuna coniugazione tra spirito green e la spending review in corso (dal 2007 al 2011, per esempio, sono state chiuse 24 sedi consolari e i funzionari sono stati tagliati del 20%).

Ad ogni ambasciata è stata data mano libera su come applicarla. Nel 2010 il rappresentante di stanza nella capitale carioca ha deciso di chiamare un’azienda di consulenza nel ramo energia, italiana ma già presente sul territorio. Il primo passo è stato poi l’istallazione di uno smart meter, il dispositivo che valuta il dispendio elettrico in tempo reale. La perizia parlava chiaro: per ridurre le spese bisognava produrre energia. E quindi si è pensato ai pannelli solari. Attualmente sul tetto dell’edificio sono 405 e producono 50 KW di energia, cosa che ha permesso all’ambasciata di risparmiare il 18-20% dell’energia consumata.

Pannelli solari sul tetto dell’ambasciata

«Abbiamo la seconda pianta di generazione fotovoltaica del Brasile», dichiara orgoglioso Roberto Spandre, l’addetto scientifico della Farnesina a Brasilia. «Di giorno abbatte il picco del consumo. È chiaro che per noi è difficile andare a zero per via del dispendio notturno, con la cerchia elettrica e l’ambasciata che deve essere illuminata a giorno. Però è un grande passo avanti». Per cercare di alimentare il fabbisogno notturno sono stati creati anche cinque micro generatori eolici che sfruttano la brezza del lago, ma non è tutto: l’ambasciata punta a riciclare anche le acque. Un impianto di fito-depurazione raccoglie l’acqua già utilizzata e la decanta in una zona del giardino, per poi usarla nell’irrigazione. In questo modo si risparmia il 25% delle risorse idriche. «E senza rovinare l’estetica del luogo, l’impianto è un vero gioiello», spiega Spandre. Soprattutto si veicola un’immagine di politica positiva, che spinge le ambasciate cilena e tedesca a seguirne le orme. «L’ambasciata americana ci ha anche chiesto consulenza» dicono dalla Acotel, l’azienda che ha suggerito il progetto. 

Il giardino depurante che ricicla l’acqua dell’ambasciata

Ma non è l’unico motivo di fierezza: «Il fiore all’occhiello è l’essere stati pionieri in Brasile», continua Spandre, che spiega: «Grazie al partenariato con le autorità e con Aneel, il distributore nazionale di energia elettrica, nell’aprile scorso è entrata in vigore la prima legge brasiliana che regola lo scambio energetico. Adesso, come da noi, anche qui è possibile per i singoli cittadini utenti produrre energia e immetterla nella rete quando non la si consuma. Quando serve viene poi ripresa in qualsiasi momento». L’impianto della sede diplomatica è infatti collegato alla rete elettrica di Brasilia e consente la cessione dell’energia in eccesso alla Compagnia Energetica di Brasilia.

Lo scambio energetico avrebbe permesso un grande sviluppo del fotovolatico e quelli all’ambasciata italica si vantano di essere stati «i primi a proporre questa idea», resa legge grazie ad Aneel. C’è da dire che attualmente in Brasile i pannelli solari stanno comparendo ovunque, anche sugli stadi dei mondiali 2014 (su quello della finale ne sono previsti 1.500 moduli). Grazie a una politica di incentivi il Paese è ora un grande produttore di questo tipo di energia, il secondo in Latinoamerica dopo il Cile. Nel 2012, per la Camera di Commercio italo-brasiliana, le fonti rinnovabili hanno contribuito per il 44% sulla produzione e il governo Roussef avrebbe in mente di rendere competitivo il settore con le fonti tradizionali entro il 2020. 

I numeri delle energie rinnovabili in Brasile secondo la Camera di Commercio italo-brasiliana

L’ambasciata d’Italia ha dunque imbroccato il filone giusto, tanto da suscitare l’interesse della stampa e la collaborazione di diversi enti al suo progetto. «Oltre che con Aneel, abbiamo accordi con l’Università di Brasilia, le agenzie nazionali dell’energia e l’analogo dello stato del Paranà – spiegano dall’ambasciata–. Con l’ateneo della capitale e la Centrale energetica di Brasilia abbiamo anche creato Gesenet, un network internazionale che permette lo scambio di informazioni e di entrare nel mondo della produzione acquisendo informazioni dirette o presentando domande». Insomma, si è attivato un circolo virtuoso e connesso alla realtà locale.

E le altre ambasciate italiane nel mondo? Nessuna è riuscita in un’integrazione del genere, anche se quella di Pechino ha un buon livello di sostenibilità e i lavori sono in corso in molte sedi. Sicuramente nel caso di Brasilia ha contato il fatto che l’85% dei lavori sono stati fatti gratuitamente delle aziende (da Enel Green Power a Innova a Ecosistemi): per loro che avevano interesse ad aprirsi al mercato brasiliano e aprire fabbriche questa è stata una vetrina impressionante. Non ovunque, però, ci sono le condizioni per avere sponsor così generosi. Sicuramente non in Italia, dove paradossalmente un edificio pubblico di tale efficienza rimane un sogno.

L’ambasciata ripresa dal satellite

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