Cibo buttato, con la crisi non siamo meno spreconi

Il Rapporto Waste Watcher 2013

Con la crisi abbiamo smesso di sprecare il cibo? Neanche per sogno. Il Rapporto Waste Watcher 2013 lo dimostra: ogni anno nelle nostre pattumiere finiscono ancora 8,7 miliardi di euro di alimenti, pari a 7 euro e 6 centesimi e 213 grammi a famiglia ogni settimana. Numeri che equivalgono allo 0,5% del Pil e al 32% del gettito Imu del 2012. Quindi «se non sprecassimo più avremmo meno Pil, che significa anche posti di lavoro in meno», spiega Furio Camillo, docente di Statistica economica dell’Università di Bologna che ha curato il rapporto con Andrea Segrè ed Swg. «Il salto di qualità che dobbiamo fare è trasformare questo spreco in investimenti e Pil».

Ma nonostante i portafogli più magri, la spazzatura nei nostri secchi aumenta. «Perché a essere colpiti dalla congiuntura economica sono soprattutto le persone che già sprecavano poco e che in questi anni hanno visto diminuire ancora di più il proprio reddito», dice Camillo. Se è vero che con un potere d’acquisto minore «sono diminuiti i consumi e quindi anche i rifiuti», aggiunge Segrè, inventore del Last Minute Market (che riutilizza il cibo dei supermercati che altrimenti andrebbe perso), «gli sprechi al contrario aumentano perché la quantità di prodotti negli scaffali dei supermercati è la stessa, ma le persone comprano meno». E quindi barattoli, scatole e confezioni finiscono spesso al macero senza neanche essere aperti.

Non è un caso che negli angoli dei supermercati si stiano diffondendo reparti dedicati ai cibi prossimi alla scadenza, venduti con sconti dal 30 al 50 per cento. «Stiamo spingendo da molti anni per la diffusione di questo tipo di prodotti», spiega Segrè, «in questo modo si programmano gli acquisti: compro uno yogurt che scade il giorno dopo e lo mangio subito, evitando quindi gli sprechi. La cosa importante, però, è che questa modalità venga normata».

D’altro canto, si legge nel rapporto, la crisi ha prodotto anche «un forte aumento nella sensibilità e nell’attenzione degli italiani per lo spreco domestico. Il 57% dichiara di non gettare “quasi mai” gli avanzi e il cibo non più buono, il 27% meno di una volta a settimana, il 55% lo riutilizza». La Fao ci aveva messo in guardia: «Nel 2050 sulla Terra saremo 9 miliardi, dovremo tutti mangiare e bere e la produzione dovrà crescere del 60 per cento. Il problema è che oggi da un terzo alla metà della produzione mondiale di cibo si perde o si spreca, a monte o a valle nelle nostre case».

Ma perché si spreca? Questa è una delle prime domande alle quali ha risposto il panel 2mila consumatori interpellati per realizzare il rapporto. Si tratta di “autopercezioni dello spreco”, ci tengono a precisare i sondaggisti, quindi vanno presi per quello che sono. «Solo al quinto posto per frequenza troviamo una risposta in cui gli italianisi assumono una colpa, affermando di aver cucinato “troppo”. Le risposte rimandano per lo più a cause che non hanno a che fare con la volontà del consumatore», spiega Camillo. E poi ci sono delle differenze regionali notevoli: «In Campania “ho cucinato troppo cibo” è preponderante. Mentre in Sardegna, dove c’è una forte cultura del cibo, prevale “ho acquistato cose che non mi piacevano”».

Gli alimenti che finiscono con più probabilità nei cassonetti sono frutta (51,2%), verdura (41,2%), formaggi (30,3%) e pane fresco (27,8%) tra i cibi “freschi”. Tra gli alimenti cotti, primeggiano invece pasta (9%), cibi pronti (7,9%) e precotti (7,7%). 

Gli italiani, però, non sono tutti uguali neanche di fronte allo spreco domestico. Nel rapporto vengono individuati nove “spreco-tipi”, dal “sensoriale che getta solo se costretto” – con uno spreco procapite di 1,75 euro a settimana – all’“accumulatore ossessionato” – con uno spreco procapite di 4,37 euro. «Vengono fuori profili differenti tra chi spreca molto e chi lo fa poco. I primi sono tendenzialmente giovani, con un titolo di studio elevato, una situazione socioeconomica medio-alta e per lo più meridionali. Sono soggetti molto attivi che vanno al cinema o al teatro, navigano su Internet, hanno almeno 3 settimane di ferie all’anno. E non sanno “cos’è il compostaggio”», spiega Camillo. «Dall’altra parte, quelli che sprecano di meno sono per lo più anziani, del Nord Est, con uno stile di vita dimesso, conoscono la dicitura “preferibilmente entro” e sanno “cos’è il compostaggio”».

La tendenza è più o meno questa: più sei anziano meno sprechi, più ti diletti ai fornelli (senza ricorrere a cibi pronti e snack) meno sprechi, più partecipi alla vita sociale più aumenta «il rischio di generare spreco». E soprattutto più spendi per la spesa alimentare più sprechi. Con una impennata oltre i 300 euro di spesa settimanale per famiglia.

Non solo. Nel sondaggio è stato possibile anche recuperare l’appartenenza politica degli “spreco-tipi”. Quelli attenti all’ambiente, che vorrebbero confezioni di prodotti più piccole e che propongono di far pagare le tasse in base allo spreco sono tendenzialmente di sinistra o centrosinistra. Chi invece vorrebbe far pagare di più il cibo per eliminare lo spreco non ha una precisa collocazione politica. Di destra sono quelli convinti che servirebbero confezioni di prodotti più grandi. 

Sullo spreco alimentare non esistono però ancora confronti internazionali tra l’Italia e gli altri Paesi più o meno spreconi di noi. «Bisogna mettere a punto un metodo comune per valutare lo spreco», spiega Segrè, «ma sulla base degli ultimi dati europei che risalgono al 2007, la sensazione è che siamo nella media». E che la sensibilità verso questo argomento sia in crescita. «L’80% dei cittadini dichiara che l’azione quotidiana può contribuire a salvare l’ambiente», dice Maurizio Pessato, presidente di Swg, «ma solo il 20% si impegna davvero a farlo e un cittadino su tre pensa che vi sia un allarme eccessivo sulla questione ambientale o che la difesa dell’ambiente sia solo una moda».

E alla domanda su che cosa propongano di fare gli intervistati per ridurre la quantità di cibo che finisce nella spazzatura, la risposta più comune è fornire una maggiore informazione su questo tema. «Per noi è fondamentale investire sull’istruzione nelle scuole», dice Segrè. «I più ignoranti in materia e i più spreconi sono infatti i giovani fino a 24 anni. Loro non danno alcun valore al cibo. Più si è adulti e più invece si fa attenzione. Col passare del tempo abbiamo perso un’economia, quella domestica, che ci permetteva di ridurre gli sprechi, e ne abbiamo recuperata un’altra: quella dell’accumulo. Il cibo viene visto cioè come merce che si può sostituire o rottamare come una macchina. È qualcosa che costa poco rispetto al nostro reddito. E quindi buttiamo ciò che magari è ancora utilizzabile. Spesso non apriamo nemmeno la linguetta dello yogurt che scade quel giorno stesso per odorarlo o assaggiarlo. Così finisce dal frigorifero direttamente nella pattumiera». 

Twitter @lidiabaratta

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter