«Piccolina ma con un grande QI». Così la descrive un ex collega non meglio identificato sul profilo che il New York Times ha dedicato a Janet Yellen, prossimo governatore della Federal Reserve (Fed) di Washington, la banca centrale americana. La decisione del presidente Obama sulla prossima guida dell’istituto centrale è arrivata settimane fa, dopo mesi di incertezze conclusesi soltanto lo scorso 15 settembre dopo la decisione di Lawrence (Larry) Summers, l’altro contendente, di ritirarsi dalla gara. Secondo indiscrezioni riportate dalla stampa d’oltre Atlantico sarebbe stato lui la prima scelta del Presidente.
Summers proviene infatti dalla cerchia più stretta del presidente, dal gruppo con cui Obama va in vacanza a Martha’s Vineyard e con cui da quando nel 2008 è diventato presidente ha preso tutte le decisioni più importanti. Questo fino al momento in cui Obama non ha dovuto confrontarsi con l’opposizione di numerosi democrat scettici della scelta di Summers per il post-Bernanke. Larry Summers, ex membro del Council of Economic Advisors, ex ministro del Tesoro sotto Clinton ed ex rettore di Harvard, è considerato da molti – sia democratici sia repubblicani – come irascibile, incapace di lavorare in gruppo ma soprattutto troppo vicino al mondo della finanza e a Wall Street. Questo perché durante la deregolamentazione bancaria di fine anni Ottanta l’ex rettore, allora al Tesoro e tra i collaboratori più stretti anche dell’ex presidente Bill Clinton fu tra i maggiori sostenitori dell’abrogazione del Glass-Steagall Act, la legge che negli Stati Uniti manteneva banche commerciali e banche d’affari strettamente divise e ostacolò qualsiasi regolamentazione dei derivati.
Oggi, nel post-crisi 2009, sono numerosi gli analistia vedere un nesso diretto tra la deregolamentazione di quegli anni, l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia che ne è seguita e la crisi che ne è derivata. Le spiegazioni non sono mai univoche, ma il solo sospetto che Summers abbia avuto un qualche ruolo nella crisi lo ha reso inviso a numerosi politici. La nomina a capo della Fed non è infatti un processo politico semplice. I candidati devono prima sottostare a un processo conosciuto in America come vetting, una scannerizzazione completa del passato (pubblico e privato) del candidato su cui quest’ultimo viene interrogato per ore durante una Commissione parlamentare. Ma non finisce qui.
Per essere finalmente accettato l’aspirante governatore deve ottenere 60 voti favorevoli su 100. Al Senato Obama controlla 52 seggi democrat e il voto di due indipendenti e ha quindi bisogno dell’appoggio di almeno sei repubblicani per raggiungere la soglia critica. «In questo senso – spiega Mike Getler, economista della New York University ed ex collaboratore del prossimo governatore della Fed – la scelta di Yellen è anche politica. Con lei Obama è quasi sicuro di ottenere i voti necessari dato che prima della nominata a vice governatore della Fed nel 2010 la Yellen si è già dovuta sottoporre al vetting». Tuttavia, come riporta Reuters, il senatore repubblicano Rand Paul ha fatto sapere che se non verrà garantito appoggio ad una sua proposta di legge che mira a portare sotto lo scrutinio del congresso alcune decisioni che oggi spettano alla Federal Reserve in autonomia sarebbe pronto a bloccare la nomina della Yellen. La nuova procedura renderebbe la politica monetaria della Fed oggetto di un audit del congresso. Secondo alcuni dirigenti della Federal Reserve questo minerebbe l’indipendenza decisionale dell’istituto. A complicare le cose è il fatto che sono 24 i repubblicani (più un democratico) ad appoggiare questo progetto di legge.
Superato lo scoglio della nomina, il prossimo governatore, inutile negarlo, rappresenterebbe inoltre un simbolo importante: la prima donna alla guida dell’istituto finanziario più potente del mondo. In una lettera di qualche mese fa firmata da circa un terzo dei rappresentanti democrat e numerosi intellettuali ed economisti incluso, Joseph Stiglitz, Obama è stato invitato a “rompere le barriere” e compiere il grande passo verso una maggiore eguaglianza uomo donna, una proposta che il presidente non poteva rifiutare senza perdere la faccia. Ma non per questo la Yellen, 67 anni, è da considerarsi meno preparata di Summers. Originaria di Brooklyn, New York City, il prossimo governatore della Fed è un’economista formatasi prima a Yale e poi a Brown e specializzata sulle problematiche del mercato del lavoro e sull’ineguaglianza. Sposata con George Akerlof, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2001 (assieme a Joseph Stiglitz) per il suo lavoro sui mercati asimmetrici (il problema è noto nel gergo come il lemon problem), nel 1976 entra a far parte dello staff economico della Fed.
Da allora, a parte un periodo tra il ‘97 e il ‘99 in cui siede sul Council of Economic Advisors di Clinton e qualche anno di insegnamento a Berkeley, non lascia quasi mai la Banca centrale. Brillante e simpatica a tutti scala velocemente i ranghi dell’istituto fino a diventare governatore della banca centrale di San Francisco (una delle nove degli Stati Uniti) e dal 2010 vice di Bernanke. Negli anni la Yellen, raccontano in forma anonima al Washington Post alcuni suoi ex colleghi, si è costruita la reputazione di una donna che al rumore e alle discussioni ha sempre preferito il silenzio e l’analisi dei dati.
Nella corsa a capo dell’istituto economico più potente del mondo non ha mai promosso la sua candidatura per vie trasversali e non ha mai accettato i numerosi inviti di colleghi e amici potenti di far pressione su Obama. Il credo irremovibile della Yellen è che la Fed debba mantenersi indipendente dalla politica a tutti i costi, una convinzione ereditata da anni di lavoro spalla a spalla con Bernanke. «Anche in questo senso – continua Getler – Yellen è il candidato della continuità».
Anni di esperienza all’interno della Fed la rendono un governatore che conosce nei dettagli i procedimenti della Banca centrale, una qualità essenziale durante una congiuntura economica fragile come quella attuale. Come ha spiegato Linkiesta qualche giorno fa, il prossimo governatore della Fed dovrà infatti prima di tutto confrontarsi con il programma di quantitative easing (QE) voluto da Bernanke che dopo la frenata sui programmi di tapering continua a immettere nell’economia americana nuova liquidità per 85 miliardi di dollari al mese. Prima o poi però il QE dovrà finire o almeno ridursi anche se ci sono due enormi variabili da fatturare nella decisione: l’instabilità dei mercati dopo un rallentamento (o la paura di un rallentamento) del quantitative easing come accaduto lo scorso maggio e la promessa di Bernanke di non fermare l’iniezione di liquidità prima che il livello di disoccupazione, al momento fermo al 7,3 per cento, non sia sceso al 6,5.
Con la Yellen, come sembra confermare la sua etichetta di “colomba”, il livello di disoccupazione avrà molto probabilmente la priorità. Ma attenzione: sono numerosi i media ad aver riportato questo fatto senza specificare che la Yellen reputa quasi inesistente il rischio di inflazione nell’attuale economia. Se questa convinzione dovesse mutare molto probabilmente la “colomba” non si comporterebbe più nella stessa maniera. Yellen si è infatti dimostrata un “falco” in numerose altre occasioni. Per esempio, prima che il target inflazionistico della Fed diventasse l’esplicito 2 per cento di oggi (dal precedente 3 per cento) l’attuale vice-governatore della Fed, già dieci anni fa, spingeva l’ex governatore della Fed Alan Greenspan verso questa direzione. E non solo. All’università, quando Yellen studiava sotto l’economista premio Nobel James Tobin, i suoi appunti erano così lucidi e chiari che ancora oggi vengono usati dagli studenti di economia di Yale mentre nel 2007, prima della crisi, l’allora capo della Fed di San Francisco era l’unica voce ad ammonire su una possibile bolla del settore immobiliare.
In una delle trascrizioni delle riunioni della Fed di allora (vengono pubblicate 5 anni dopo) si scopre una Yellen che ammonisce su come la situazione del mercato immobiliare americano sia paragonabile ad avere «un gorilla di 600 chili presente in sala»: in altre parole, un problema da risolvere con assoluta rapidità. I suoi timori non si tradussero però in azioni pratiche. Ed è questa una delle maggiori accuse fatte al prossimo governatore della Fed dai suoi oppositori: se sapeva perché non ha agito? Situazione per certi versi analoga alle accuse mosse a Summers per il suo ruolo nella deregolamentazione di fine anni Ottanta. La Yellen non è un homo novus, una persona esterna al sistema, in quegli anni lavorava nel governo esattamente come Summers ed è impossibile che non sapesse anche se la decisione finale non dipendeva da lei. Sapere con certezza con farà il prossimo governatore dopo la fine del mandato di Bernanke il 1 febbraio 2014 non è possibile. Unica cosa certa è che pensare in termini di “falco” o “colomba” ha poco senso perché quello che conta sono i numeri e ciò che interessa alla Yellen è la continuità con il suo predecessore.
Twitter: @albertomucci1