La lezione del geek Gutenberg, “lo Steve Jobs del ’400”

Profilo di un “imprenditore tecnologico”

Quanto a lungo, ancora, troverà spazio la stampa di inchiostro su carta? Forse in occasione del 600esimo anniversario della stampa di Gutenberg, nel 2040 o giù di lì, le stampanti verranno relegate nei musei. Non c’è da vergognarsi. Vi viene in mente un’altra tecnologia creata da un singolo inventore e un’altra industria costruita da un unico fondatore che è durata così a lungo e ha avuto un tale impatto sul mondo? Durante un viaggio in Germania, mi recai in pellegrinaggio a Magonza e al Gutenberg Museum.

Rimasi a bocca aperta davanti ad un piccolo pezzo di pagina, qualche centimetro per qualche centimetro, ritrovato nel 1892 nella rilegatura di un libro contabile. Si ritiene essere il primo reperto conosciuto della stampa di Gutenberg, poche righe dal Sibylline Prophesies, un libro bizzarro scritto dal capo di una setta di flagellanti e stampato con il primo font di Gutenberg, quello usato anche per il suo libro di grammatica.

Dunque, tutto cominciò così. Nella stessa stanza buia, in un’altra teca a pochi metri di distanza, era riposto il capolavoro massimo di Gutenberg: tre delle sue Bibbie. Sono lavori di arte e genio. Guardando ogni lettera nera, perfettamente impressa, ho immaginato le mani dell’uomo che la realizzarono. Qualche stanza più in là, in un’altra teca, altri oggetti sbalorditivi: un paio di opuscoli pubblicati durante la lotta dei vescovi a Magonza, stampati dai successori di Gutenberg, Fust and Schöffer, con le stampanti che lui stesso aveva costruito, ed un po’ di indulgenze Cattoliche, sempre realizzate da loro. Lì accanto, ecco tre dei trattati di Martin Lutero che predicavano contro quelle indulgenze definite «furto ipocrita ai fedeli». Da un lato, la stampa permise la vendita delle indulgenze su larga scala. Dall’altro, consentì a Lutero di riunire ed informare la massa critica necessaria ad iniziare la sua rivoluzione. La tecnologia non causò questo cambiamento – non più di quanto Twitter abbia causato la Primavera Araba – ma ne fu indubbiamente uno degli elementi chiave.

Quale imprenditore, oggi, non sogna di avere un centesimo dell’impatto che ebbe Gutenberg? Fu lui l’inventore della più grande piattaforma della storia. Su di essa, un numero incalcolabile di persone ha costruito rivoluzioni politiche, scientifiche, artistiche, culturali, commerciali, educative, e non solo. Credo che Internet possa rivelarsi tanto un’invenzione epocale quanto una piattaforma potente. Per questa ragione, è nostro dovere proteggere la rete dal controllo dei governi e delle corporazioni – sono proprio loro, infatti, i primi obiettivi del disordine cui la tecnologia dà vita.

Solo rimanendo open source come fu la stampa per alcuni – anzi, per tutti -, la rete può concretizzare il suo potenziale, e noi il nostro. Chi è il Gutenberg di internet? Forse Vint Cerf e gli scienziati che immaginarono per primi l’architettura della rete e la costruirono? Forse Sir Tim Berners-Lee, che creò il web? Forse gli imprenditori che hanno fondato Google, Facebook o Twitter? Forse un bambino che, oggi, coglie qualche possibile utilizzo della rete che noi non riusciamo neanche ad immaginare? Sono tutti loro, un migliaio, un milione di Gutenberg, che creano piattaforme e prodotti che, come quello del loro predecessore, aprono nuove strade e nuove possibilità e nobilitano il pubblico.

Ogni appassionato di tecnologia dovrebbe cercare di diventare un po’ più simile a Gutenberg. E il nostro obiettivo come pubblico è quello di proteggere gli strumenti di pubblica utilità che Gutenberg e i suoi successori hanno creato. È per questo che, durante le ricerche per il libro Public Parts, mi sono fissato con la storia di Gutenberg. Questo è il motivo per cui ho scritto quel libro, esortando tutti noi ad unirci in una discussione sui principi che governano la società pubblica e su come proteggere gli strumenti – di Gutenberg e di internet – dal controllo dei governi e delle corporazioni.

Tra quei principi, c’è anche questo: «Proprio come godiamodi libertà di espressione e di stampa, così abbiamo il diritto di connetterci e riunirci ed agire online. Proprio come i libri non dovrebbero essere censurati, così non dovrebbero esserlo nemmeno i bit. Proprio come la macchina per la stampa di Gutenberg rimase accessibile e si diffuse e non potè essere controllata, così Internet deve rimanere libero».

*Estratto dell’edizione italiana di Gutenberg il Geek, curata da Valerio Bassan ed edita da goWare. In questo ebook, Jeff Jarvis, uno dei più importanti giornalisti ed esperti di media della nostra epoca, autore di “Public Parts: How Sharing in the Digital Age Improves the Way We Work and Live” e di “What Would Google Do?”. Dirige il Tow-Knight Center for Entrepreneurial Journalism alla City University di New York. Scrive su Buzzmachine.com, su The Guardian ed è co-conduttore di “This Week in Google” . Potete trovarlo su Twitter, su Facebook, su Google+. Il libro racconta la storia di Gutenberg da una prospettiva imprenditoriale, spiegando come egli abbia superato gli ostacoli tecnologici, sviluppato il proprio prodotto in segreto e poi virato verso l’open source, come abbia raccolto capitale e ridotto il rischio, e come, alla fine, siano stati il flusso di cassa e l’assetto patrimoniale a fermarlo.

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