“La versione di Barbie”: le bambole ci hanno rovinato

Lo spettacolo di Alessandra Faiella

«Le favole ci hanno rovinato». Alessandra Faiella comincia così, senza mezzi termini, il suo monologo teatrale “La versione di Barbie”, tratto dal suo omonimo libro con tanto di copertina rosa. L’attrice 51enne, ex Pippo Kennedy Show, ex Mai dire domenica ed ex Zelig, esordisce sul palco del Teatro della Cooperativa di Milano – dove è in scena fino al 13 ottobre e dove terrà anche un corso di recitazione per attori comici – e fa il pieno di risate. A dir la verità ci mette un po’ a carburare, ma poi gli sghignazzi in sala a volte finiscono per coprire anche le sue stesse battute. D’altronde parlare per un’ora di luoghi comuni legati a donne e uomini non è mica facile.

«Fin da piccole ci hanno imbottito la testa di favole, ma non ci vuole molto a rendersi conto che, più che una fiaba, la vita di una donna è un horror». Prendiamo la Bella addormentata: «Altro non era che una imbottita di Xanax». E poi: «Perché Biancaneve doveva fare la schiava per sette nani?». E ancora: «C’è una scena stupenda nel film Shrek III: alcune principesse delle fiabe vengono fatte prigioniere. Alla domanda: “E adesso che facciamo?”, una di loro risponde: “Niente, siamo principesse, aspettiamo che qualcuno venga a salvarci!”». 

«Cominciano a snervarci a sei anni con i corsi di danza, le Barbie e il dolce forno, poi diventiamo adolescenti anoressiche o obese a seconda delle nevrosi materne e dei modelli mediatici in voga». In scena ci sono lei, Alessandra Faiella, un leggìo e una Barbie. Biondissima, magrissima e con le scarpe rosa shocking. Che dopo pochi minuti viene scaraventata sul palco con violenza. Sì, perché, spiega l’attrice milanese, «a me non è mai piaciuto giocare con le Barbie. Io volevo giocare agli indiani e cowboy. Ma i ragazzini non mi facevano giocare perché ero femmina». Un giorno, dopo vari tentativi, accettarono, ma «io dovevo fare la parte della moglie che preparava da mangiare e aspettava il marito a casa». 

Ed è contenta, Alessandra Faiella, quando scopre che a un certo punto le bambine si divertono a torturare le Barbie della loro infanzia. Fino decapitarle e cuocerle nel microonde. «Lei ci ha rovinate», dice. 

Senza parlare del momento in cui bisognava scegliere il vestito di Carnevale. «Le bambine dovevano vestirsi da damine, i bambini da principi azzurri». Ma lei no, lei voleva fare il Capo indiano. E la mamma insisteva: «Almeno vestiti da squaw». Senza sapere «che il termine squaw era stato inventato da i bianchi per indicare le donne degli indiani da violentare in caso di vittoria e significava “puttanella”». «Mamma, vuoi che mi vesta da puttanella?», chiede. «Eh?»

Lo spettacolo è un percorso leggero di un’ora nelle tappe fondamentali di una donna. Il primo ciclo mestruale: «Le chiamano “le tua cose”. Cosa sono, delle valigie?». Poi c’è l’amore, il sesso (con «i suoni fantasiosi di lei e gli sgrunt di lui»), la classica visita all’Ikea («con lui svegliato alle sei del mattino con tanto di metro di carta in mano»), le pubblicità con la famiglia del Mulino Bianco. Fino alla menopausa, il momento decisamente più tragicomico dello spettacolo: sulle note di “Sei Bellissima”, Alessandra Faiella si riscopre invecchiata e piange. D’altronde solo la Barbie ha 55 anni ma non invecchia mai. Bisogna riscrivere le favole e forse anche ridisegnare le bambole. «E se per farlo bisogna mandare affa*** qualcuno, pazienza: sono i vaffa che aiutano a crescere».

@lidiabaratta

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