Tre persone diverse a tavola: Cecilia, «una millefoglie di tofu marinato con crema di radice di prezzemolo e paté di pomodori biologici»; Agata, «un hamburger dietetico di fassona piemontese, con maionese light e patatine fritte»; Tessa, «una carbonara incerta, con la pancetta al posto del guanciale, con abusi di panna, perennemente indecisa tra il pepe sì o il pepe no, e se uovo intero o solo tuorlo». In una di loro di sicuro vi identificherete. Se non voi, sarà il vostro stomaco a farlo.
Sono le protagoniste di Manuale di cucina sentimentale (Baldini&Castoldi), “romanzo enogastronomico” di Martina Liverani, di professione giornalista freelance e foodblogger dalla penna raffinata (la trovate su “Curvy, Foodie, Hungry”). Quarta di copertina: «Gli uomini passano, le amiche restano, i peperoni ritornano». Poco meno di duecento pagine di sapori forti, che fanno dimenticare (a fatica, ma solo per colpa di una delle protagoniste) le calorie. Il libro ideale per rimettersi ai fornelli dopo le privazioni estive pre prova costume.
Tutto comincia un venerdì sera in una casa bolognese («senza la scomodità dei tacchi troppo alti, la frangia che si gonfia per l’umidità e l’ansia del parcheggio»). Un comodo venerdì sera tra amiche, sedute insieme allo stesso tavolo imbandito di piatti meravigliosi cucinati a rotazione. Una tradizione settimanale che è qualcosa in più di una semplice cena tra amiche. Un punto fermo in una vita precaria. «La vita è quello che racconti il venerdì sera a cena con le amiche», ricorda Agata.
E di un libro femminile si tratta. Il punto di vista è femminile e le protagoniste sono donne, con qualche comparsa maschile sfocata qua e là e per lo più con connotazioni negative. Quello che non manca mai, come nella casa delle nonne, è il cibo. Te lo ritrovi ovunque, nelle pagine del libro, e ti fa venire l’acquolina in bocca. Il racconto comincia e finisce, anzi riparte, dal cibo.
Discussioni, ansie, paure, risate, test di gravidanza, sogni erotici: c’è sempre un pasticcino, una torta, una frittata, una marmellata o una carbonara ai peperoni che fa capolino. Fino alla fiamma ossidrica per crème brulée infilata nella borsetta, e alla storia tragica di un panetto di lievito madre di nome Romeo. Con una presenza fissa che torna di tanto in tanto: il sandwich pastrami di “Kat’z” nella scena dell’orgasmo simulato di Harry ti presento Sally.
Ed è inevitabile. Martina Liverani è quella che tutti chiamerebbero una foodie, una di quelle «che passa le notti a comprare accessori di cucina su Internet». E per lei parlare dei fiori di acacia fritti in pastella di farina integrale equivale a discutere dell’ultimo film in uscita al cinema. Ma il suo non è un libro per fanatiche dello scalogno. Anzi. Leggendolo, imparerete a cucinare una crostata imperfetta con la marmellata fatta in casa, piuttosto che delle perfette cupcake alla banana. La scrittura vivace e leggera apre a un mondo che potrebbe piacere anche agli habituè dei “quattro salti in padella” o della pizza surgelata (bandita dagli appuntamenti del venerdì sera: «Non avremmo mai e poi mai rischiato di slogarci la mascella mangiando pizze surgelate» è la regola numero uno).
Tra un piatto agrodolce e un buon bicchiere di vino, scorre la vita delle tre amiche. Una sorta di “Food and the city” senza borse Hermes e vestiti Yves Saint Laurent e tanti programmi di Real Time visti dal divano di casa. C’è quella che si sente l’unica taglia 46 in un mondo di taglie 38. Quella vegetariana che ordina su eBay un matterello di legno di faggio canadese. E la FoodbloggerQualunque, alter ego della scrittrice, incastrata nel corpo di un avvocato. Con qualche fissa, come spulciare il “gastroprofilo” dei ragazzi carini. “Eat Girls” è il titolo del primo post del suo blog. Con un consiglio: «Diffidate delle amiche prive di cellulite: chi ha un rapporto con l’alcol e col cibo di sano e temerario abbandono deve necessariamente avere la pelle a buccia d’arancia».
Perché in fondo pure la cucina può essere terreno di metafore per la vita. «Anche le ricette sono un compromesso, per questo mi trovavo così bene in mezzo a loro», dice Tessa. Per non parlare del QuantoBasta, il q.b. dei manuali di cucina: «Odiavo prendere decisioni, i cambiamenti e gli azzardi, e allora il mio QB, il QuantoBasta, era un QuantoBasta a sopravvivere in modo non completamente orribile. Ma dentro quel QuantoBasta ci restavo imbrigliata come nella mia relazione con Mario». Fino alla “paura di fare la frittata”: «Fare una frittata era credere in se stessi. Non c’era un altro piatto che ti mettesse così alla prova. E io non volevo rischiare, non lo facevo mai».
Martina Liverani, che per un libro ci era già passata con “10 Ottimi Motivi per Non Cominciare Una Dieta”, non ci propone solo un racconto. Ma, come suggerisce il titolo, il suo è anche un libro di ricette da ritagliare tra una pagina e l’altra (se solo si potessero ritagliare) o da ricopiare a mano con cura su un’agenda ingiallita. Come quella della torta di riso, rigorosamente cotto nel latte. Anche se, alla fine, come nel più classico dei libri femminili, il miglior insegnamento viene dalla mamma: «Le ricette servono per darti un’idea, ma poi devi metterci del tuo…». Lo aveva già detto qualcuno, un certo Pellegrino Artusi. Ma si sa, la mamma è sempre la mamma.