L’Italia è notoriamente un paese in crisi, ormai da molto tempo. Sono così numerosi i parametri internazionali rispetto ai quali siamo in fondo alle classifiche che sarebbe troppo noioso, oltre che deprimente, elencarli tutti. Proprio per questa ragione, le primarie per il ruolo di segretario del Pd dovrebbero rivestire un ruolo centrale: definire il programma che il maggiore partito italiano vuole adottare per far ripartire il nostro paese.
L’Italia ha bisogno di una scossa, di energie nuove e riforme incisive oltre che di una attenta lettura e analisi della crescita anemica degli ultimi dieci anni e delle sue cause. Tutto questo – purtroppo – non si trova nelle ventidue pagine del documento congressuale di Gianni Cuperlo.
Non che il documento non sia ambizioso, anzi. Già nella prima pagina si dichiara addirittura l’obiettivo di “ridisegnare economia, scienza, cultura, il bene comune”. Non manca neanche il tentativo di analizzare le cause della crisi, anzi. “La crescita assurda delle disuguaglianze che ha segnato l’ultimo ventennio non è solo insopportabile sul piano morale, ma costituisce una delle massime cause della crisi esplosa negli ultimi anni”. Leggiamo anche che – senza forse accorgercene – abbiamo vissuto in un paese dal capitalismo sfrenato, caratterizzato da un “liberismo senza freni e vincoli” e da “una economia piegata alla speculazione finanziaria”. Leggiamo ancora che “l’ideologia secondo la quale il privato è sempre più efficiente del pubblico e il mercato determina da se’ l’allocazione migliore delle risorse ha dilapidato una parte consistente del patrimonio industriale e produttivo del paese, allargando la forbice tra Nord e Sud, provocando una brusca caduta della produttività e depauperando saperi, civismo e beni pubblici”.
Nessun cenno, nelle prime pagine del documento, alle difficoltà di aprire un’impresa in Italia, alla burocrazia soffocante, a un mercato del lavoro con regole bizantine, a una giustizia civile lenta, ai costi dell’energia più elevati rispetto a quelli dei nostri competitors, a banche spesso controllate da fondazioni in cui la politica è padrona, a tasse elevatissime e qualità dell’istruzione inferiore a quella di tanti altri paesi sviluppati. Tutti elementi su cui la politica potrebbe e dovrebbe fare qualcosa. Ma l’autocritica non è il forte del documento di Cuperlo e infatti si trovano solo frasi come “non abbiamo avuto la capacità di un cambiamento radicale a iniziare da luoghi, strumenti e linguaggi della politica” e poco altro.
Veniamo al dettaglio delle proposte in tema di economia contenute nel documento
La speranza che tra le righe (e il politichese) si possano rintracciare proposte avanzate in grado di far ripartire il paese si spegne molto presto.Mentre è del tutto condivisibile che il documento sottolinei l’adesione a un progetto europeo, i primi dubbi vengono quando si legge di modifiche alla “Legge di Stabilità” sia in termine di dimensione che di struttura. Consiglio a chi spera in un intervento molto più deciso sul cuneo fiscale di raffreddare subito ogni entusiasmo: non è questo quello che si ha in mente. Cuperlo vuole garantire le pensioni fino a 6 volte il minimo (poco meno di 2.900 euro lordi al mese, il 97% delle pensioni erogate dall’Inps), salvaguardare gli esodati, intervenire contro la povertà (come non lo dice, e sarebbe importante visto che pochi vogliono intervenire “a favore” della povertà), portare il deficit 2014 al 2,7 percento del Pil e non al 2,5 utilizzando la differenza – “ben” 3 miliardi – per “esodati, occupazione giovanile e programma straordinario di investimenti per messa in sicurezza di scuole e territorio”. Per avere un metro di paragone, 3 miliardi è il costo stimato per la sola linea Metro C di Roma, al netto di arbitrati (altri 500 milioni) e oneri complementari di tutela archeologica (un altro miliardo).
Ma non ci si ferma alla Legge di Stabilità, e anzi si delinea un nuovo “Patto per l’Italia”. I punti principali sono un “piano straordinario per l’occupazione”, la “qualificazione della spesa pubblica”, la “riforma del carico fiscale”, “le liberalizzazioni dei mercati”, “politiche espansive anticicliche” e “sostegno all’innovazione, lotta alla povertà e esclusione sociale”.
Purtroppo non vi sono molti dettagli su questi punti cardine del documento, e quindi bisogna affidarsi all’interpretazione di obiettivi e idee espressi in termini molto generali. Iniziando dal piano sull’occupazione, è interessante notare il rifiuto da parte di Cuperlo della tesi secondo cui la nostra legislazione sul lavoro costituisca un deficit di competitività per le nostre imprese. Non c’è da attendersi nessuna apertura in tema di flessibilità in uscita secondo le linee tracciate da Pietro Ichino. Il piano “straordinario” si traduce sostanzialmente in assunzioni in massa da parte dello Stato Infatti, si dice “un piano che consenta di impegnare centinaia di migliaia di giovani in attività legate all’ambiente, alla cultura, alla tutela e valorizzazione del nostro patrimonio artistico e paesaggistico, all’economia digitale e allo sviluppo di attività e modalità di produzione innovative”. Come finanziarlo? Con minori spese per interessi sul debito (chissà cosa ne pensano gli investitori internazionali), contrasto all’evasione fiscale (quindi maggiori tasse), maggiori margini d’azione contrattati a livello europeo (quindi, maggiore debito sempre sperando che qualcuno lo voglia acquistare). Da economista direi che non c’è da dormire sonni tranquilli.
Secondo Cuperlo la spesa pubblica non va diminuita, ma deve essere “qualificata”. Questa è la tesi del viceministro Fassina, e si basa sulla “osservazione” che la spesa pubblica in Italia sia sugli stessi livelli di altri paesi europei e che quindi debba “solamente” essere meglio allocata. In particolare, secondo Cuperlo bisogna rimuovere sprechi e inefficienze – ma non sono dettagliati quali – e aumentare le risorse per scuola, università, ricerca e operare una stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione con contestuale inserimento dei vincitori e idonei di concorso.
Ora, anche tralasciando il fatto che l’osservazione secondo la quale nostra spesa pubblica sia simile a quella di altri paesi è assolutamente fuorviante (rimando per questo all’ottimo articolo di Sandro Brusco sul blog NoiseFromAmerika), non può che lasciare forti perplessità la proposta di assunzioni pubbliche di massa non su basi meritocratiche e che lascerebbero necessariamente da parte – per esempio – tutti i giovani che attendono di entrare nel mondo del lavoro. Forse non è solo un caso che pochi tra i giovani dai i 18 e i 24 anni abbiano votato Pd alle ultime elezioni. Nessun cenno invece a un intervento di equità sulle pensioni basato sulla differenza tra contributi versati e erogazioni pensionistiche secondo le linee descritte da Tommaso Nannicini per Linkiesta.
Per Cuperlo la pressione fiscale non deve – o forse non può – diminuire anche se ammette che è a un “livello massimo”. Il carico fiscale deve però essere redistribuito. Qui la proposta è condivisibile: meno tasse su lavoro e imprese, più tasse sulle rendite e il patrimonio. Manca però il coraggio di dire se per patrimonio si intende anche la casa, e in particolare la “prima” casa, che costituisce gran parte della ricchezza delle famiglie italiane. Infatti, per ragioni di equità una tassa sul patrimonio dovrebbe includere “tutto” il patrimonio di un individuo (o una famiglia), posto che è sempre possibile inserire soglie di esenzione e scaglioni di imposta progressivi. Vista l’onnipresenza nel dibattito politico, e non solo, della “questione Imu” bisognerebbe essere molto precisi su questo punto.
Cuperlo parla anche di disimissioni. In particolare, pensa a dismissioni del patrimonio pubblico immobiliare, ma non a scelte che “portino a perdere il controllo dei grandi asset strategici del Paese come Eni, Enel, Finmeccanica, Poste”. Questo non dovrebbe sorprendere. Altrimenti, come continuare con le famigerate operazioni di sistema, di cui Alitalia è solo l’ultimo esempio? D’altronde, la posizione di Cuperlo in tema di dismissioni si concilia con la sua idea di uno Stato attore attivo nell’economia. Cuperlo pensa a “garanzie pubbliche”, “partecipazione al rischio” e “nuove forme di intervento pubblico nella compagine azionaria dei grandi complessi strategici”. Probabilmente, pensa a un intervento attivo tramite soggetti come Cassa Depositi e Prestiti. C’è da chiedersi cosa accadrà quando i correntisti e risparmiatori postali si accorgeranno che forse stanno correndo qualche rischio di troppo.
Cuperlo parla anche di Sud, di beni comuni, propone di mettere insieme “comparti tradizionali che restano strategici, come la siderurgia e la chimica, e metterli in rete con quell’altra economia, figlia della rivoluzione digitale che oggi consente di ricomporre la mente e la mano superando definitivamente un secolo di cultura fordista”, qualsiasi cosa ciò voglia significare, e infine Europa.
Su quest’ultimo punto, le proposte contenute nel documento sono importanti per comprendere quale sarebbe la politica europea che Cuperlo porterebbe avanti. Nella sostanza, Cuperlo vorrebbe che l’Europa (quella più ricca) aiutasse finanziariamente i paesi della periferia (quelli più poveri). nfatti, pensa a un Fondo Europeo di riscatto del debito “per ridurre gli spread” e a un Fondo Europeo di Stabilizzazione che finanzi ammortizzatori sociali. L’Europa troverebbe le risorse per questi strumenti attraverso nuove tasse (sulle transazioni finanziarie) e nuovo debito (Eurobond). E come difendersi dalla concorrenza dei paesi emergenti? Attraverso politiche protezionistiche, basate sulla “introduzione di criteri sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali per contrastare la delocalizzazione delle imprese e la deindustrializzazione dell’Europa”.
In conclusione, quello di Cuperlo è un programma con un sapore d’antan che ripropone le stesse politiche che non hanno portato molta fortuna al Pd – nelle sue varie ultime incarnazioni – e al nostro paese. Good night, and good luck.