Diciamolo subito. Eva Illouz non sostiene che in amore le donne soffrano più degli uomini. Non crede che il sesso maschile sia inadeguato per natura all’amore «romantico». E non pensa che le cose andavano meglio all’epoca dei matrimoni combinati.
Tuttavia, questa sociologa della Hebrew University di Gerusalemme, autrice del libro Perché l’amore fa soffrire (Mulino, 2013), è convinta che oggi per amore le donne soffrano molto. E che all’origine di questo male ci siano «strutture» proprie della società contemporanea (quella occidentale, per lo meno). In particolare la libertà sessuale – conquista del femminismo – e l’autonomia individuale. Senza condannarle, la Illouz ritiene queste pratiche (non valori astratti, secondo lei) la causa di una nuova disuguaglianza tra sessi, e quindi di una nuova sofferenza femminile. «Intendo trattare l’amore alla stessa stregua in cui Marx trattò le merci, cioè mostrare che esso viene generato e prende forma da relazioni sociali concrete, che esso circola all’interno di un mercato di attori che competono tra loro in condizioni di imparità e che alcuni dispongono di maggiori capacità di altri di stabilire le condizioni della relazione».
«Per capire le pene d’amore non dobbiamo guardare solo dentro di noi, ma anche e soprattutto fuori», scrive Illouz, che spiega: «Questo libro potrebbe sembrare un atto di accusa all’amore moderno, ma sarebbe più utile leggerlo come un tentativo di contrastare l’idea dominante che per sua natura l’uomo sia psicologicamente e biologicamente inadatto a legarsi, e che la donna dovrebbe modificare il proprio atteggiamento psichico per trovare e mantenere l’amore»
Parità di genere e libertà sessuale: un’economia di abbondanza
Perché in un «regime di autenticità» (in cui ci si sposa non per consuetudine sociale ma perché personalmente coinvolti) le donne soffrono più degli uomini? Questione di libertà sessuale, spiega la sociologa. Ma non solo. Nelle condizioni poste dalla modernità è l’uomo a godere di «una possibilità di scelta molto maggiore della donna» e questo squilibrio crea il loro dominio emotivo. Il perché è presto detto. In un contesto in cui al mercato matrimoniale preesiste un libero mercato sessuale, a dominare è l’uomo. È l’uomo infatti che ha la possibilità «di soffermarsi in questa condizione (quella pre matrimoniale, ndr) più a lungo», non essendo biologicamente e culturalmente condizionato dalla funzione riproduttiva. Non ci sono limiti di tempo per gli uomini, e – in un contesto culturale in cui solo la seduttività femminile è legata alla giovinezza – man mano che un uomo invecchia la selezione di donne tra cui scegliere per lui cresce, mentre diminuisce per una donna. «Questa maggiore possibilità di scelta conferisce all’uomo (soprattutto se appartiene alla classe medio-alta) l’autorità per dominare il campo sessuale». Un dominio che genera la riluttanza maschile (o «fobia da impegno») a impegnarsi in legami duraturi e a lasciare il campo sessuale per entrare in quello matrimoniale.
La «fobia da impegno»
È un panorama, quello contemporaneo, caratterizzato dalla scomparsa dell’«impegno», in cui «le relazioni vengono costruite sulla base di una maggior flessibilità, di una contrattualità più a breve termine, di una maggior capacità di tirarsene fuori e di una totale mancanza di impegno a priori».
E sebbene la «fobia da impegno riguardi tanto le donne quanto gli uomini», essa appare – spiega la Illouz sulla base delle sue ricerche – una prerogativa per lo più maschile.
Come spiegare questo fenomeno? «Piuttosto che patologizzare il comportamento maschile, dovremmo chiederci che genere di relazioni sociali rendano possibile e persino desiderabile la “paura” o la mancanza d’impegno».
La risposta che la sociologa avanza un po’ stupisce. Perché la causa sarebbe da cercare nell’abbondanza di disponibilità sessuale ed emozionale della donna e nella necessità per l’uomo di «dare valore» alle esperienze vissute. «Il problema – scrive la sociologa – qui sta nel fatto che la libertà sessuale genera abbondanza, la quale, a sua volta, genera il problema di attribuire valore all’oggetto del desiderio, e solo un oggetto di valore decreta la vittoria nella competizione con altri uomini. cioè, nella modernità il contesto in cui si incontrano l’uomo e la donna è caratterizzato da un’ampia scelta sessuale da entrambe le parti, ma se il ruolo riproduttivo della donna la induce a interrompere presto la ricerca, l’uomo non riceve alcun incentivo culturale o economico che lo singa a interrompere la sua ricerca».
«A dire la verità, se qualcuna scrivesse che vuole una relazione seria, mi scoraggerebbe. Penso che queste donne siano stupide, perché tu sai che potrai manipolarle facilmente. Una donna che vuole qualcosa di serio fondamentalmente la tieni in pugno. E diventa meno interessante»
E infine, «Le strategie di elusione messe in atto da tutti questi uomini non sono affatto il segno di una psiche sofferente di qualche forma patologica, ma costituiscono il tentativo di “creare scarsità”, e di conseguenza valore, in un mercato in cui non riescono ad attribuire valore, perché la disponibilità sessuale ed emozionale della donna è in eccesso». Una fobia da impegno che la Illouz definisce «edonistica», propria di uomini che non riescono a «fermarsi su una donna» per la costante sensazione di avere aperte altre possibilità.
«Al giorno d’oggi – scrive Bridget Jones nel suo diario – la via per arrivare al cuore di un uomo non è né la bellezza, né il cibo, né il sesso, né avere una personalità interessante, ma semplicemente essere capace di non apparire troppo interessata a lui»
L’annullamento del desiderio, «fobia da impegno abulica»
C’è un ulteriore passaggio dell’analisi di Eva Illouz che merita di essere considerato. Scrive la sociologa: dai racconti «emerge la difficoltà di proiettare il sé nel futuro, che è l’aspetto oppressivo della promessa. Si manifesta una forma del sé profondamente conflittuale, in cui gli attori vorrebbero poter volere qualcosa che non riescono a desiderare o si pentono in anticipo di qualcosa che hanno voluto»
«Lascio che mi piantino, credo. O almeno questa è la storia che racconto a me stesso. Di sicuro è sempre finita perché non ero in grado di dare di più… Loro volevano convivere, condividere con me il conto in banca, il letto e i libri, ma io non potevo farlo. Volevano sempre più di quanto potessi offrire»
«Mi piace tutto dell’uomo con cui esco, ma come hanno già detto altri prima di me, quando penso a lui e ai miei sentimenti verso di lui mi sento vuota, priva di emozioni e inadeguata»
Si tratta in questo caso di una paura di impegnarsi che sfocia in annullamento della capacità di desiderare. Alla base ancora una struttura sociale propria della modernità: il modo in cui oggi compiamo le scelte. «Nella modernità la scelta sentimentale (…) prevede un numero considerevole di possibilità. reali e/o immaginarie; inoltre è l’esito di un processo di introspezione nel quale vengono valutati i bisogni, le emozioni e le preferenze relative allo stile di vita». Forme decisionali, ritiene la Illouz, sempre più simili a quelle utilizzate nel mercato dei consumi. «Soppesare e comparare le alternative, reali o immaginarie, implica la scomposizione di un oggetto, di una persona o di una situazione e il tentativo di valutarne e misurarne le parti attraverso un confronto ragionato». Un modo di sceglie che, se applicato alle scelte amorose, «blocca la capacità di assumersi un impegno emotivo forte», perché l’impegno amoroso è formato sia da scelte strumentali e affettive. E per prendere decisioni che sfuggono alla razionalità, in cui «la misurazione formale delle possibilità non offre alcun contributo alla intensità delle emozioni», l’intuizione «è necessaria».
Il senso di sé e la dipendenza dagli uomini
E se a dominare il mercato sessuale è l’uomo – che sceglie quanto e come fermarsi e rifugge da relazioni impegnative -, la conseguenza per le donne è di «dipendenza emotiva». Per spiegarla, Illouz crea un confronto tra contemporaneità e tempi pre-moderni, quando vigeva un sistema di valori patriarcale espresso al meglio nei romanzi dell’epoca: «Le eroine di Jane Austen non solo hanno sorprendentemente il pieno controllo di sé, ma sono anche stranamente libere dal bisogno di essere, come diremmo oggi, confermate dai loro pretendenti». Qui, spiega Illouz, il valore di una donna e di un uomo dipende dalla capacità personale di agire conformemente al codice e agli ideali morali condivisi, in un contesto in cui il corteggiamento avviene sotto gli occhi di parenti e amici, attraverso rituali e regole precise e comporta un impegno definitivo. Ma è anche, quello alla Jane Austen, un contesto in cui «la decisione di sposare qualcuno è basata esplicitamente sulla classe sociale». In quel caso l’essere rifiutati va attribuito non tanto all’essenza intima del sé, quanto alla posizione sociale che si ricopre.
«Quando un uomo ti lascia, la cosa peggiore è la consapevolezza che lui ti ha messa alla prova: alla fine, la persona che amavi ha messo sulla somma delle parti che ti compongono il terribile timbro RESPINTO»
Finito quel mondo, si passa dal «regime dell’impegno» a quello della «autenticità emotiva», in cui la scelta amorosa avviene in base ad attrazione sessuale e compatibilità psicologica. Con questo passaggio, scrive Illouz, «amare significò conferire valore direttamente alla persona e il rifiuto diventò rifiuto del sé».
La paura di amare e di soffrire. Il nuovo femminismo
Il femminismo si è fermato alla parità in campo professionale e alla libertà sessuale, sostiene la Illouz. Ma l’obiettivo della parità di genere in questo modo ha portato – in campo amoroso – a una «parità di distacco». Dovrebbe piuttosto, portare al «maturare di una pari capacità di vivere emozioni forti e appassionate». Alla base del ragionamento c’è il presupposto che «il calo di passione e intensità emotiva» sia un’importante perdita culturale: «se l’affievolimento delle emozioni può renderci meno vulnerabili, esso rende anche più difficile il nostro metterci in relazione con gli altri attraverso impegni appassionati». Lo studio della Illouz «concepisce la capacità di amare in una forma che mobilita la totalità del sé come una capacità cruciale per entrare in relazione con gli altri e per crescere, come un’importante risorsa umana e culturale». Solo l’amore appassionato libera dall’irresolutezza, e ci dà – chiude la sociologa – uno «strumento per orientarci nella vita».