Gorky ParkAccordo Kiev-Ue, Yulia è solo il più evidente dei Niet

Alla vigilia dell’Accordo con l’Ue

Il 28 novembre a Vilnius, in Lituania, l’Ucraina potrebbe compiere un passo storico verso l’integrazione europea: al summit del Partenariato orientale potrebbe essere sottoscritto l’Accordo di associazione, comprendente l’intesa per la creazione di un’area di libero scambio, che porterebbe Kiev verso la strada di Bruxelles, sottraendola all’orbita della Russia. Il condizionale ripetuto è d’obbligo, dato che secondo gli ultimi sviluppi il piano potrebbe saltare. A mettere i bastoni tra le ruote ucraine sulla via della casa comune europea è arrivato infatti il Cremlino, preoccupato che l’ex repubblica sovietica possa intraprendere un cammino un po’ troppo indipendente, emancipandosi dal rapporto, talvolta un po’ torbido e turbolento, che lega inevitabilmente le due repubbliche ex sovietiche. Questione di gas, ma non solo.

rischiare di mandare all’aria il summit di Vilnius è in primo luogo la vicenda di Yulia Tymoshenko  L’ex premier ucraina è stata condannata nel 2011 a sette anni di reclusione per abuso d’ufficio. L’accusa è stata quella di aver valicato le sue competenze di primo ministro nel gennaio 2009, quando firmò a Mosca con Vladimir Putin contratti energetici a condizioni sfavorevoli per l’Ucraina. Allora disse che per Kiev non c’era alternativa, spacciando in patria l’inchino allo zar come un successo per aver fermato l’ennesima guerra del gas. Nel 2010 Tymoshenko perse poi le elezioni presidenziali contro Victor Yanukovich e iniziò il suo calvario. Isolata all’opposizione, abbandonata dagli ucraini delusi dalle promesse non mantenute della Rivoluzione arancione e dagli oligarchi che un tempo la sostenevano, è stata vittima di quella che Bruxelles ha definito «giustizia selettiva»: i processi a suo carico (oltre alla prima condanna, ne pendono altri due sulla sua testa, uno per evasione fiscale per fatti avvenuti alla metà degli anni Novanta quando era chiamata «la principessa del gas» e gestiva il colosso energetico Uesu, l’altro per il coinvolgimento del deputato Evgeni Shcherban, avvenuto nel 1996) non sarebbero altro che un complotto organizzato da Yanukovich per metterla fuori dai giochi politici.

Le posizioni sono inconciliabili. Da un lato l’Unione europea ha posto all’Ucraina una serie di condizioni per arrivare alla firma dell’Accordo di associazione. Tra queste proprio quella imprescindibile della liberazione di Yulia Tymoshenko. Dall’altro Yanukovich  pur avendo inviato in questi mesi segnali positivi in direzione di Bruxelles – come quello della liberazione di Yuri Lutsenko, ex ministro degli Interni, finito in carcere dopo il solito processo sommario – si è mostrato irremovibile: l’ex premier non sta in prigione per aver rubato noccioline, la giustizia ucraina, che piaccia o no all’Europa, deve fare il suo corso. Anche i tentativi di mediazione degli ultimi giorni, con una missione speciale dell’Ue in Ucraina alla ricerca di un compromesso, paiono essere finiti nel vuoto. “È tutto difficilissimo”, ha affermato sconsolato Alexander Kwasnieski, ex presidente polacco e inviato di Bruxelles in Ucraina. Yanukovich ha fatto orecchie da mercante a ogni ultimatum dell’Unione – l’ultimo scade martedì 19 novembre – con il risultato che l’eroina della rivoluzione arancione è sempre dietro le sbarre e l’Ucraina sta per perdere il treno europeo. A meno di improbabili capovolgimenti dell’ultima ora, il 28 novembre 2013 non sarà insomma una data da ricordare, né a Kiev, né a Bruxelles.

Tutt’al più a Mosca. La realtà è che dietro la firma dell’Accordo di associazione non c’è solo il caso Tymoshenko, ma il complesso sistema di relazioni, politiche ed economiche, che legano l’Ucraina alla Russia. Il Cremlino, pur di bloccare l’avvicinamento di Kiev all’Europa, ha rispolverato tutte le armi del suo repertorio, dal lobbismo soft alle più dure guerre commerciali: per oltre due anni, da quando Yanukovich non solo a parole, ma anche a fatti, ha annunciato di voler portare l’Ucraina verso Occidente (i primi tentativi per giungere a quello che ancora non si chiamava Accordo di associazione, ma Accordo di partnership, si erano arenati ai tempi della Tymoshenko), Vladimir Putin ha messo enormi pressioni sul presidente ucraino perché recedesse dal suo intento. Ma solo all’inizio di novembre, quando anche a Bruxelles circolava già ottimismo in vista della scadenza di Vilnius e si lodavano le doti di resistenza di Yanukovich, è arrivata la svolta: dopo un paio di faccia a faccia decisivi tra i due presidenti, la situazione è mutata radicalmente. a far cambiare idea alla Bankova sono state le offerte sul tavolo energetico.

I contratti Putin-Tymoshenko che Yanukovich sta tentando invano di rinegoziare sono validi sino al 2019. Attualmente l’Ucraina paga per l’import di gas russo oltre 400 dollari per 1000 metri cubi. compreso uno sconto di circa 100 dollari stabilito con il patto di Kharkiv del 2011 che prevede lo sconto sulla bolletta in cambio della permanenza della flotta russa a Sebastopoli, in Crimea. La Russia avrebbe offerto un prezzo di 260 nel caso l’Ucraina abbandonasse l’idea dell’Europa e ritornasse nella culla dell’ex Urss partecipando al progetto putiniano dell’Unione doganale con Bielorussia e Kazakistan. In più Gazprom sarebbe interessata alla gestione del sistema di gasdotti ucraino sul modello bielorusso (dove il colosso russo ha rilevato le quote di Beltrangaz). Con le casse statali e ancor più quelle di Naftogaz che piangono miseria, Yanukovich starebbe insomma per dire di no all’Europa, sorridendo a Mosca. Giocoforza, vista la debole posizione: “La Russia non fa certo concessioni, se le aspetta dalla controparte ucraina”, ha detto realisticamente Volodymir Omelchenko, responsabile del dipartimento energetico del Razumkov Center di Kiev. Senza contare che secondo le indiscrezioni Putin avrebbe promesso una linea di finanziamenti per una quindicina di miliardi di dollari, per supplire ai mancati accordi tra Kiev e il Fondo Monetario Internazionale, il cui programma di aiuti è congelato da quasi due anni.

Sulla firma dell’Accordo di associazione pesa quindi l’ombra di Mosca e il gran finale arriverà davvero a Vilnius. È però certo che la posizione ucraina non cambierà e Yulia Tymoshenko resterà perciò in carcere. Come ha ricordato il politologo Kostantin Bonadarenko, direttore dell’Istituto Gorshenin nella capitale ucraina: “Sarà l’Unione a decidere se firmare o no”. Kiev e Mosca hanno fatto i loro giochi, la palla passa a Bruxelles

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