Se mai doveste scrivere un libro su Amazon assicuratevi che piaccia alla moglie del capo. È la lezione impartita a Brad Stone, giornalista e autore di The Everything Store: Jeff Bezos e l’età di Amazon. Libro che non è piaciuto a Mackenzie Bezos, la quale ha scelto di delegittimarlo nel modo più sprezzante che la nostra società conosca: dandogli una misera stella su Amazon. (Un libro su Amazon recensito su Amazon dalla moglie del CEO di Amazon. Il grado di autoreferenzialità è pari solo all’involontaria pubblicità procurata al libro).
L’accusa di Mackenzie Bezos a Brad Stone è di inaccuratezza. Stone fa il giornalista da quindici anni, ha passato mesi a intervistare oltre trecento persone, ma non Bezos, che si è rifiutato (pur avendo rilasciato con l’autore in precedenza altre interviste). Ne è venuta fuori la tipica parabola americana dal Garage alla Conquista del Mercato. Stone spiega che Amazon è tante cose insieme: una data service (che fa concorrenza a IBM); un e-commerce che vende ogni cosa, dai libri alle scarpe (che fa concorrenza a Wal-Mart); un produttore di dispositivi, come il KindleHD (che fa concorrenza ai tablet Apple e Google). E ancora, è una piattaforma di pubblicazione di libri (che fa concorrenza al sistema editoriale del vecchio secolo), presto un negozio di frutta e verdura, e in futuro chissà, un giornale? E-commerce pare riduttivo, infatti qualcuno preferisce matrix-commerce, cioè una big data company. O come direbbe semplicemente Jeff Bezos: Amazon è il futuro.
Il libro è piaciuto a tutti dal New York Times a TechCrunch. Tutti tranne Mackenzie Bezos dicevamo. Il problema di Brad Stone sarebbe quello di non aver intervistato direttamente suo marito, Jeff Bezos, e di aver commesso errori fattuali per piegare la realtà alla costruzione drammaturgica di una narrazione avvincente ma inesatta. A infastidirla sono stati i punti in cui il marito viene descritto come poco empatico e verbalmente aggressivo. MacKenzie, che è anche una scrittrice, ricopia i biglietti lusinghieri ricevuti da dipendenti di Amazon pieni di riconoscenza, nel tentativo di dimostrarci quanto amorevole sia il marito. Quanto poco ci importa non lo saprà mai.
(Se questo libro l’avesse scritto lei molto probabilmente sarebbe più noioso: a chi importa di leggere solo di come Bezos gratifica i suoi dipendenti? La tensione narrativa si crea mettendo in luce gli aspetti umani, a volte poco lusinghieri. E quindi è bello leggere che interpreta il mondo in modo analitico continuamente, e che prima di sposarsi aveva considerato il fattore n woman, cioè quello per rimorchiare — secondo lui iscrivendosi a un corso di ballo, quindi quella «n» sta per nerd. Oppure di quando un team di ingegneri gli ha presentato un resoconto su come rendere più efficiente i movimenti dei lavoratori: ci hanno messo 9 mesi di lavoro, Bezos arriva, legge il resoconto e dice che è completamente sbagliato. Poi si mette alla lavagna e dimostra loro quanto, perché e come si sbagliano nel loro mestiere. «Quella era una tipica interazione con Jeff. Ha questa incredibile capacità di essere intelligente su cose di cui non si occupa direttamente, ed è totalmente spietato nel modo in cui ti comunica che ha ragione», dice Bruce Jones, uno degli ingegneri coinvolti. O ancora, i creativi e irresistibilmente maligni modi in cui insulta i suoi dipendenti: «Devo scendere e prenderti il certificato che dice che sono il CEO di quest’azienda per non farmi mettere alla prova da te?», o «Sei pigro o semplicemente incompetente?», o dopo la presentazione di un ingegnere: «Perché stai sprecando la mia vita?».)
AMAZON COME LUOGO DI CRITICA
La cosa più curiosa è che McKanzie Bezos non polemizza dalle colonne del New York Times o Wall Street Journal. Sceglie invece Amazon come luogo critico. E questo già dice molto.
I critici giudicano le opere e non sanno di essere giudicati da esse, scriveva Jean Cocteau. In realtà sono giudicati da altri utenti, che è peggio. Miss Bezos sceglie l’unico posto in cui è una meta-recensione a stabilire se sei stata utile o meno. (In questo caso tutti le dicono di sì, ma poi danno cinque stelle al libro, chissà che intendevano dire). Generalmente il sistema di voto delle recensioni serve a modellare una gerarchia basata su quanto utile sia stata per chi l’ha letta. Ognuno può votare quella che gli è stata più utile. È un metodo adottato per stilare una lista di recensioni valide, di cui fidarsi, per opporsi alle pubblicità mascherate da recensioni — immancabili. L’anno scorso il New York Times ha raccontato la storia di un recensore di prodotti. Si chiama Todd Rutherford, il suo lavoro consiste/va nel creare buzz pubblicando centinaia di recensioni su qualsiasi cosa venduta su Amazon. Quando la cosa è divenuta pubblica, Rutherford è stato allontanato (la società utilizza algoritmi e personale per bannare contenuti di recensioni che interpreta come fasulle).
Sulla qualità delle recensioni generale ci si dovrà fidare di quanto afferma la Harvard Business Review in uno studio chiamato: What Makes a Critic Tick? Connected Authors and the Determinants of Book Reviews. Secondo gli autori i giudizi degli esperti e dei dilettanti sono concordi nel valutare la qualità di un libro (c’è una ricorrenza di temi e ranking). Lo studio giustifica la concordanza di parere dell’esperto e amatoriale utilizzando quello che i sociologi chiamano la “saggezza della folla”, sostanzialmente riassumibile in: l’opinione media di tutti i recensori è più imparziale di quella di un solo esperto. Il problema rimane capire se gli influencer concordano con i pareri degli esperti perché li hanno letti, e quindi li ripropongono in una chiave grassroots, oppure se il valore dei libri è così indiscutibile da mettere d’accordo dilettanti e professionisti.
Diverso è l’atteggiamento verso i nuovi scrittori (più apprezzati dai dilettanti rispetto agli esperti, che prediligono un atteggiamento autoriale basato su premi letterari vinti, opere precedenti ecc.). Inoltre, mentre i critici professionisti soffrono di nepotismo e danno giudizi più favorevoli ai loro colleghi, su Amazon c’è un problema di integrità del recensore: una buona parte delle recensioni è corrotta (cioè molti ricevono gratuitamente i prodotti e li valutano positivamente per mantenere questo vantaggio, cioè libri e oggetti gratis). In più: il ruolo dell’expertise è secondario in Amazon. Ali Julia è uno dei top recensori, è quella che comunemente chiameremmo un tuttologa. Ha recensito 1724 prodotti.
LA CRITICA ONLINE TRA BUZZFEED E TWITTER
Nel frattempo anche BuzzFeed si dà alla critica, ma il modo in cui lo fa ricorda quello dei recensori di Amazon che vogliono pubblicizzare anziché analizzare. In «Much Ado About Niceness» (un gioco di parole per dire molto rumore per nulla/educazione), il New Yorker critica le scelte del nuovo editor di BuzzFeed Isaac Fitzgerald, il quale ha anticipato che non scriverà recensioni negative: solo positive.
La critica online è sotto attacco da più fronti: società che offrono a pochi dollari un giudizio positivo (o negativo, per i concorrenti), accuse di nepotismo, meta-critiche, corruzione del giudizio. Quella di Mrs Bazos non è una critica del libro molto più di quanto non sia il mezzo per difendere i propri interessi, e in questo dimostra di essere troppo di parte.
Infine c’è Adam Kirsch che, sul New York Times, si chiede se la critica abbia la sola funzione di orientare al consumo, come sembra suggerire l’architettura web: «Mai nella storia è stato più facile di quanto lo sia oggi registrare la propria approvazione o disapprovazione su qualsiasi cosa. L’emblema della nostra epoca è il pollice in su del pulsante ‘mi piace’. Se la critica non è altro che una versione estenuante di un pollice in su o pollice in giù, non c’è ragione per cui non dovrebbe essere resa obsoleta dal retweet o dalla revisione cinque stelle Amazon. Per arrivare al sodo delle richieste Internet dei critici e di tutti gli altri: dovremmo comprare questa cosa o no?»
Lo chiediamo a Mackenzie Bezos?