Canada: non solo Arcade Fire

Musica

È una questione di frontiere. Valeva per il colonialismo, vale per le droghe, figuriamoci se non può valere anche per la musica. E, infatti, dopo che le band USA hanno saturato il mercato andando a riempire ogni nicchia possibile, dallo psychobilly al twinkle core, da qualche anno a questa parte sembra essere arrivato il turno del Canada.

Certo, ancora all’esordio degli anni Zero, il Canada era universalmente sinonimo di conclamate zozzerie (Nickelback, diciamo a voi), pop mainstream (Avril, anche basta, eh) e vecchie glorie dai capelli sempre più unti (ti vogliamo comunque tanto bene, Brian). I tempi di Neil Young erano lontani, Alanis Morrisette scivolava sempre più nel pop ombelicale da bancarella, e il florido sottobosco alternativo era pressoché sconosciuto ai più, nonostante bastasse grattare un po’ la superficie per trovare band interessanti e a tratti fondamentali (dai Godspeed You! Black Emperor ai Billy Talent, passando per i Broken Social Scene e i New Pornographers, per dire).

C’è voluto il botto planetario degli Arcade Fire a costringere anche le orecchie pigre, assuefatte ai dettami anglosassoni, a guardare con meno diffidenza verso nord o a smetterla di accogliere quelle novità con la supponenza del «Toh, anche sopra Detroit sanno tenere in mano una chitarra».

Onore al merito ai Québécois, ovviamente: mica è da tutti avere così tanti singoli in catalogo che fanno cantare oh-ohhh-oh-ohhh a migliaia di persone tutte assieme. Il problema con gli Arcade Fire, però, è che quando arriva la loro stagione – come in questo momento – vista l’uscita dello strachiacchierato Reflektor – quel sottobosco che tanta fatica ha fatto per trovare luce, rischia di rimanere seppellito dalle ceneri dell’inevitabile esplosione mediatica, restando fisiologicamente qualche tacca sotto nel termometro dell’attenzione.

Perciò, se il mondo riempie la Rete delle trovate virali e dei live-act degli Arcade Fire, affrancandoli con post intrisi di intellettualismo snob, noi vi consigliamo tre ottime vie di fuga – sono tre generi ben diversi, non fate i difficili – per non lasciarvi sfuggire sotto il naso il meglio che la scena canadese ha da offrire ora. Mal che vi vada, riuscirete a risultare ancora più snob degli arcade firers di professione.

The Darcys

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Se tutte le fan di Jane Austen li conoscessero, sarebbero miliardari. Invece il quartetto art rock di Toronto è pressoché sconosciuto in Italia. I pochi, però, che avevano pianto di gioia nell’ascoltare Aja – secondo disco, in cui hanno riletto per intero in chiave post-jazz-rock-qualcosa l’omonimo capolavoro degli Steely Dan – sanno che di musicisti così, in giro ce ne sono davvero pochi. Il loro nuovo album, Warring, è l’ulteriore conferma di una capacità compositiva in grado di regalare un’intensità emotiva rara, già al primo ascolto. E poi è uscito sempre per la Arts & Crafts, una label clamorosa: potreste ordinare tutto il catalogo e morire felici.

Metz

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Non sono esattamente freschi di stampa – Metz, l’esordio del trio di Toronto targato Sub Pop è di un anno fa. E pace se il concerto del febbraio scorso a Milano è stato una delusione (troppo breve il set, simpatia vicino allo zero) e se, viste le parentele sonore con un certo approccio noise e post-hardcore spigoloso, un disco così non reggerebbe il confronto con la media delle uscite della Touch & Go di vent’anni fa (era Shellac e Jesus Lizard). Nessun altro gruppo canadase ha messo su nastro dei chitarroni così negli ultimi 12 mesi, e tanto ci basta.

Seas

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Se l’emo è servito a qualcosa, è stato far capire a musicisti di talento quale fosse la strada da evitare. Dopo aver esaurito tutte le cartucce possibili con i Moneen (probabilmente la band canadese più sottovalutata di sempre), Chris Huges e compagni hanno smontato il baraccone per tirarne su uno più arabescato e pop. I Seas sono quel progetto parallelo che finisce per far dimenticare le band primigenie. Il loro primo disco si chiama Fade out into the night, i puristi della segregazione di genere si spremeranno inutilmente le meningi per decidere se siano indie, emo, rock, dream pop, o chissà cos’altro. Fatevi un favore, ascoltateli e basta.

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