Poco meno di due mesi fa, Giuseppe Galasso, in un bell’elzeviro sul Corriere della Sera, si interrogava sulla possibilità che possa esistere un’etica della globalizzazione. Il ragionamento parte dall’assunto che il tempo delle «filosofie della storia», che disegnavano punti di partenza, percorsi e approdi del mondo e dell’uomo, appare del tutto consumato. E se in passato il progresso spingeva alle certezze e all’ottimismo, oggi il mutare veloce di tutto, a cominciare dagli strumenti e dai meccanismi più comuni ed elementari della vita quotidiana, induce a incertezze molto maggiori delle certezze. In questo contesto, scendendo un po’ di livello, il senso delle lunghe durate viene sempre più messo in crisi. E ciò vale in molti campi, dall’economia all’energia.
Ci ha quindi un po’ sorpreso leggere nel documento congressuale di Giuseppe Civati, noto come Pippo – DALLA DELUSIONE ALLA SPERANZA, Le cose cambiano, cambiandole – la seguente frase: «L’Italia ha bisogno di un piano energetico nazionale che ancora – incredibilmente – non c’è». Ora, Civati, che di filosofia se ne intende non poco, potrebbe avere da ridire sull’assunto di cui sopra. Il problema, però, resta: la frase in questione è sbagliata. Questo perché il 14 marzo gli allora ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, Corrado Passera e Corrado Clini, presentarono la versione finale della Strategia Energetica Nazionale (SEN). Come avevamo scritto già allora il ponderoso documento è passato piuttosto inosservato, nonostante esso miri a delineare, in 135 pagine contenenti quattro obiettivi e sette priorità, le scelte energetiche dei prossimi decenni.
La non troppa considerazione rivolta alla SEN probabilmente è spiegabile anche con la sua tardiva approvazione, arrivata incredibilmente quasi venti giorni dopo la celebrazione delle elezioni e a quasi quattro mesi dal termine della XVI Legislatura, che si è conclusa il 22 dicembre 2012. Circostanza, che oltre a generare una discreta incertezza sugli effetti concreti dell’iniziativa ha, evidentemente, contribuito ad avviarla sulla strada dell’oblio. Del resto, in quel periodo ben altri fatti erano all’ordine del giorno, basti ricordare che l’incontro in streaming di Bersani con i capi gruppo del MoVimento 5 Stelle è del 27 marzo. L’errore di Civati, comunque, non è poi così grave di per sé: il punto è che è proprio l’evocare un piano energetico ad essere, già da un po’, abbastanza fuori luogo.
I tempi dei Piani Energetici Nazionali (PEN), oltre a non essersi mai distinti per efficacia, come hanno subito rimarcato osservatori più autorevoli di chi scrive (tra i più rapidi e puntuali Alberto Clò), sono decisamente passati. I sei Piani e relativi aggiornamenti elaborati dal 1975 al 1988, in media un intervento ogni 26 mesi, venivano approvati dal Governo, tradotti in ordini del giorno del Parlamento, e trasformati in delibere CIPE. Queste ultime avevano valore cogente per gli enti pubblici energetici (ENI ed ENEL) e gli organi amministrativi. Lo Stato quindi interveniva direttamente e indirettamente nel settore energetico. Oggi è il contrario: a decidere sono o dovrebbero essere le imprese, non lo Stato. Se, infatti sono trascorsi 25 anni dall’ultimo Piano Enegetico, ne sono già passati 15 anni da quando la Commissione Europea ha avviato il processo di liberalizzazione nei principali servizi di pubblica utilità (energia elettrica, gas, telecomunicazioni) degli Stati membri, attraverso Direttive quadro che definivano i caratteri generali dei piani di riforma.
Gli Stati membri erano chiamati a darvi attuazione disintegrando le filiere, separando le fasi in monopolio tecnico (tipicamente le reti) da quelle che potevano essere messe in concorrenza (produzione, fornitura) per unire i mercati in un unico e più concorrenziale mercato europeo. Certamente questa fase non può dirsi ultimata: anzi, di recente, non mancano i ripensamenti. Tuttavia, non si può tener conto che gli obiettivi vengono fissati in Europa, che peraltro già implica la stesura di diversi piani: dal Piano d’Azione Nazionale (PAN) per la promozione delle Rinnovabili al Piano d’Azione per l’Efficienza Energetica (PAEE), tema molto richiamato da Civati. Lo stesso vale per gli obiettivi d’azione, stabiliti prevalentemente a livello sovranazionale (si pensi agli obiettivi di riduzione di Kyoto o alla strategia del “20-20-20”). Né si può dimenticare che l’energia dopo la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione è materia concorrente e lo Stato nel decidere (e nel pianificare) non può non tener conto delle Regioni.
Pertanto, è opportuno che qualsiasi proposta di revisione o di adeguamento che viene avanzata tenga conto del mutamento di contesto. Ovviamente, si può anche provare a fare un Piano o una Strategia dove si auspica il superamento di tutti questi vincoli e si fissano obiettivi ancora più ambiziosi, ma non è solo sulla carta, o con la carta, che si risolvono i problemi.