AnalisiDal voto esce un’America stanca di ideologie

Le urne di novembre

Tre vittorie elettorali per un’America che cambia. La prima a New York, la seconda nell’adiacente stato del New Jersey e la terza in Virginia, costa est del paese. A vincere sono stati rispettivamente il prorompente repubblicano Christ Chrstie già governatore del New Jersey adesso al suo secondo turno, il liberal-democratico Terry McAuliffe in Virginia e Bill De Blasio, neo sindaco di New York e il primo cittadino più a sinistra che la città abbia avuto negli ultimi decenni. Tre eventi simbolo, seppur diversi, di un paese stanco delle estenuanti divisioni politiche fatte di una retorica vuota, causa dello shutdown del governo federale del mese scorso.

Bill De Blasio

New York

Il più significativo dei tre eventi elettorali è forse la vittoria a New York del 52 enne De Blasio con il 68 per cento delle preferenze e un margine di quasi quaranta punti sul suo avversario repubblicano Joseph J. Lhota la cui piattaforma elettorale si è basata su un messaggio di continuità pro-business con il predecessore Michael Bloomberg. In poco più di due mesi da politico locale semi sconosciuto De Blasio ha costruito una solida coalizione centrata su liberal e minoranze, una base che un gran numero di commentatori d’Oltreatlantico ha definito come una risposta ai tre mandati dell’ex sindaco visto spesso come troppo legato a Wall Street e come il promotore di politiche economiche volte ad aiutare più i milionari che i newyorchesi.

Sotto Bloomberg i livelli di diseguaglianza tra i cittadini più abbienti e quelli più poveri sono cresciuti di diversi punti percentuali e il numero di residenti in città sotto la soglia di povertà, secondo gli ultimi dati del censimento del 2012, è salito a 21.2 rispetto al 20.1 per cento di due anni prima portando il totale di persone sotto la soglia di povertà a 1.7 milioni. Non a caso De Blasio si è inserito nella corsa elettorale con il titolo del libro di Dickens A Tale of Two Cities (“Racconto di Due Città”). Questo sono la “New York reale” e “la New York della Finanza”. Mentre la seconda non ha bisogno di molte spiegazioni, la prima è la città dove il reddito medio delle famiglie è sceso dai $54,695 nel 2008 ai $50,895 attuali, dove il 14 per cento delle persone non ha copertura sanitaria, il 50 per cento di chi ha una casa spende il 30 per cento circa del proprio reddito su mutuo o affitto e il 21 per cento delle persone non arriverebbe a fine mese se non fosse per i food stamps, aiuti del governo che permettono di comprare beni di prima necessità.

Questa narrativa deve molto a quella di Occupy Wall Street e il suo slogan di un 99% opposto all’1%; e non a caso De Blasio ha difeso il movimento in diverse occasione e condivide alcuni suoi elementi di fondo: lotta alla crescente diseguaglianza e un incremento delle tassazione per chi guadagna di più, in questo caso per tutti coloro il cui reddito è superiore ai 500 mila dollari. Se De Blasio riuscisse a far passare la proposta di legge promessa in campagna elettorale le tasse cittadine andranno dal 3.9 per cento al 4.4. per cento e l’extra gettito finanzierà un migliore sistema di scuole pubbliche oltre a un maggior numero di case popolari.

Chris Christie

New Jersey

Appena al di là del fiume Hudson ha vinto invece Chris Christie, un personaggio del tutto diverso da De Blasio, ma pur sempre importante per captare l’umore dell’America di oggi. Il suo stampo politico pragmatico al di là delle narrazioni ideologiche ha attratto una base elettorale aliena al partito repubblicano di oggi: afro-americani, giovani, membri delle minoranza e donne. E nonostante in New Jersey ci siano 700 mila iscritti in più al partito democratico rispetto a quello repubblicano la contendente dem allo scranno di governatore, Barbara Buono, in campagna elettorale è stata quasi invisibile e non è riuscita ad assicurarsi né l’appoggio finanziario del partito democratico nazionale né un’apparizione di Obama.
Il successo di Christie (le percentuali finali sono state di 60 a 39) deriva in parte dalla sua gestione durante la crisi dell’urgano Sandy. In un momento in cui il partito repubblicano – guidato più dall’odio verso il Presidente che da una visione di lungo periodo – rifiutava qualsiasi compromesso sul debito, Christie si è lanciato anima e corpo nell’aiutare il titolare della Casa Bianca ed ha elogiato più volte il suo managment della crisi Sandy. Atteggiamento simile Christie lo ha mantenuto durante la battaglia sullo shutdown. In quei giorni il governatore ha duramente criticato il suo partito e definito «come un assoluto disastro» il risultato ottenuto con la strategia di ostruzionismo ad ogni costo. Anche ieri, durante il discorso di insediamento in New Jersey, Christie non ha perso occasione di distanziarsi dal Gop al Congresso puntando il dito contro Washington: se «ce la facciamo a Trenton [la capitale, ndr] a trovare accordi con i democratici, possono farcela anche a Capitol Hill».

Terry McAuliffe

Virginia

Nelle stesse ore, appena più a sud, in Virginia, uno degli swing state più importanti, il candidato dei repubblicani Ken Cuccinelli ha perso di due punti percentuali contro il candidato dem Terry McAuliffe il cui messaggio elettorale è stato fortemente a favore del matrimonio gay, dell’aborto e della restrizioni sul possesso di armi da fuoco. Ma ciò che ha sorpreso di più numerosi osservatori è il cambiamento di uno stato il cui voto pende spesso in favore dei repubblicani e che il Gop pensava di poter conquistare con Cucinelli, politico vicino al Tea Party il cui principale messaggio elettorale è stato contro l’aborto, contro il matrimonio gay e a sostengo di Ted Cruz, il senatore del Texas responsabile dello shutdown dello scorso mese. Non solo. Cucinelli, il primo procuratore a contestare per vie legali Obamacare, ha improntato la sua narrazione elettorale sulla promessa di non far approvare la riforma della sanità del presidente nello stato, un messaggio che secondo i primi exit-poll ha poco interessato gli elettori e dovrebbe dunque far riflettere i repubblicani non solo in Virginia ma anche nel resto degli Stati Uniti.
Perché si tratta di questo: il dato politico di questi tre eventi elettorali mostrano un’America (o almeno una sua parte) che vuole affrontare il crescente problema della diseguaglianza economica e sociale del paese, è stanca dell’ideologia a tutti i costi e non sembra aver più pazienza per gli estremismi del Tea Party. L’anno prossimo ci sono le elezioni di mid-term in cui 435 seggi alla Camera e 33 al Senato saranno in palio. Se i repubblicani non vogliono diventare il partito della minoranze (quella bianca, cristiana e intransigente) forse dovrebbero ripensare la propria piattaforma.

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