Quando si parla di immigrazione spesso prevale il pregiudizio sull’analisi. L’atavica paura del diverso, dello straniero, dell’ignoto toglie lucidità e scardina le categorie concettuali più ferree. Anche i liberali più convinti che invocano il libero mercato in ogni ambito fanno volentieri un’eccezione per l’immigrazione. Gli immigrati sono delinquenti, rubano posti di lavoro e sono un peso per le casse dello stato. Quindi, sì al libero scambio dei beni; no alla libera circolazione delle persone.
Eppure la mobilità geografica del lavoro è importante perché contribuisce a ridurre le differenze economiche tra aree e attenua l’impatto negativo delle fasi recessive, sia per coloro che si muovono che per coloro che non si muovono. Infatti, se una parte della forza lavoro abbandona un’area che offre scarse opportunità di lavoro, la probabilità di trovarne uno per coloro che sono rimasti aumenta e, contestualmente, la durata media della disoccupazione diminuisce. Questo è importante poiché lunghi periodi di disoccupazione possono avere effetti negativi di lunga durata sulla vita delle persone: alcuni lavoratori scoraggiati potrebbero scegliere di uscire dal mercato del lavoro, altri, dopo un lungo periodo di disoccupazione, potrebbero decidere di accettare salari sostanzialmente inferiori.
Va bene. Ma cosa importa a noi, che siamo ormai diventati un paese prevalentemente di immigrazione piuttosto che di emigrazione, di questo ragionamento?
Ragionando per analogia può importarci. Da uno studio di Brian Cadena e Brian Kovak che esamina gli effetti della recessione 2007-2009 sul mercato del lavoro americano, emerge che i lavoratori immigrati provenienti dal Messico, soprattutto quelli meno qualificati, sono estremamente mobili al contrario dei lavoratori statunitensi nativi, soprattutto quelli meno qualificati: una riduzione del 10 percento della domanda di lavoro a livello locale provoca una riduzione del 7,6 percento della popolazione locale immigrata e nessun effetto fra i nativi con qualifica comparabile.
La conseguenza è che i nativi (meno qualificati) che vivono in città nelle quali una frazione rilevante della popolazione è costituita da immigrati di origine messicana non risentono delle fluttuazioni del mercato del lavoro, a differenza dei nativi che vivono in città nelle quali la presenza di immigrati messicani è scarsa. Perché? Perché quando la domanda di lavoro in una città diminuisce, gli immigrati messicani si spostano, a tutto vantaggio dei meno mobili lavoratori nativi che conservano il loro posto grazie alla minore concorrenza sul mercato del lavoro Laddove gli immigrati non sono presenti questo meccanismo non si attiva e a perdere il lavoro sono i nativi.
La mobilità degli immigrati funziona quindi come una assicurazione per i nativi: attenua l’impatto negativo delle fasi recessive inducendo i lavoratori più mobili, gli immigrati, a spostarsi verso aree in fase espansiva; in maniera speculare attenua, ovviamente, l’impatto positivo delle fasi espansive perché induce i lavoratori più mobili a spostarsi proprio verso quelle aree, creando maggiore concorrenza sul mercato del lavoro.
Lo studio appena descritto riguarda gli Stati Uniti e non esistono studi comparabili per l’Italia. Ma data la scarsa mobilità dei lavoratori italiani tra regioni, c’è da supporre che anche noi, come e forse più degli USA, possiamo avere bisogno della mobilità della forza lavoro immigrata per ridurre l’incidenza delle fluttuazioni locali e per ridurre le disuguaglianze geografiche tra i lavoratori meno qualificati.
Da questo punto di vista, quindi, ragionando in modo un po’ cinico, per minimizzare i costi di aggiustamento che la nostra scarsa propensione alla mobilità interna comporta, dovremmo – noi italiani –favorire una maggiore immigrazione, dato che gli immigrati svolgono una funzione di buffer a nostro vantaggio. In maniera cinica, perché questo significa scaricare i costi degli aggiustamenti prevalentemente sugli immigrati (anche se questo potrebbe essere non del tutto sotto-ottimale, se gli immigrati hanno costi – psicologici e materiali – di mobilità interna minori rispetto agli italiani).
Ovviamente questo non è che un aspetto — spesso ignorato — del tema immigrazione, che è vasto e complesso. Due ulteriori aspetti da considerare per farsi un’opinione informata sul tema riguardano l’impatto fiscale dell’immigrazione e la relazione tra immigrazione e criminalità, temi che Link Tank tratterà prossimamente.