Pizza ConnectionEni, sull’affaire Kazakhstan Scaroni rischia il posto

A Report il mistero irrisolto

«L’Unione Sovietica è un rebus avvolto dal mistero all’interno di un enigma» sosteneva Winston Churchill. E il “caso Shalabayeva” iniziato nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013 in una villa al numero 3 di Casal Palocco, periferia di Roma, altro non è che un tassello di quel rebus così intricato. Astana, la capitale del Kazakhstan, è una via di mezzo tra Las Vegas e Babilonia, prima dell’89 era una delle tante province di Mosca, dove dalla caduta dell’Urss regna incontrastato il presidente Nursultan Nazarbayev. Sebbene sia a più di 4mila chilometri di distanza da Roma, è su questa linea d’aria che si svolge uno degli ennesimi misteri italo-russi, con il prelevamento forzato di una donna e di sua figlia di 6 anni grazie alla forze dell’ordine del nostro Paese, finito come al solito in un minestrone di voci non confermate, tra interessi economici, il petrolio dell’Eni a trazione Paolo Scaroni sul Mar Caspio o l’amicizia tra Nazarbayev e una buona fetta del potere politico italiano, dal leader di centrodestra Silvio Berlusconi fino all’ex premier Romano Prodi. In questa vicenda troppe questioni non tornano, dal presunto coinvolgimento del cane a sei zampe nell’affaire – indiscrezione smentita dall’Eni seccamente pochi giorni dopo i fatti – fino alle molteplici società di oil&gas di stanza in Kazakhstan, dove hanno interessi politici e imprenditori di mezzo mondo, in particolare quelli italiani.  

Questa storia inizia a Casalpalocco, un paese alle porte di Roma. È qui che una società di investigazione italiana, la Sira, incaricata da un’altra israeliana che opera per conto del Governo kazako, ha localizzato il dissidente ed ex oligarca Mukhtar Ablyazov. Ex ministro per l’Energia ed ex banchiere Ablyazov è accusato dal regime kazako del presidente Nazarbayev di corruzione per un ammanco all’istituto kazako BTA, che Ablyazov ha guidato fino al 2009, anno in cui la BTA è stata nazionalizzata. Nel frattempo Ablyazov fonda un movimento di opposizione e nel 2011, quando su di lui pende l’accusa di corruzione da parte delle autorità kazake, l’Inghilterra gli offre asilo politico, ritenendolo in pericolo nel Paese d’origine. Oltre alle accuse di corruzione Ablyazov è sospettato dal governo del Kazakhstan di aver finanziato le rivolte dei sindacati, scesi in piazza per avere condizioni di lavoro e salari più adeguati agli standard internazionali. Una protesta, quella di Zhanaozen, finita nel sangue.

Quella sera a Casal Palocco però Mukhtar Ablyazov non c’è. Nella villa si trovano Alma Shalabayeva, moglie di Ablyazov, la figlia Alua di sei anni e altre cinque persone tra domestici e addetti alla sicurezza. Di Ablyazov nemmeno l’ombra. La sera precedente però l’ambasciatore kazako a Roma, Andrian Yelemessov, è informato sulla presenza di Ablyazov, e tenta di contattare il ministro dell’Interno Angelino Alfano senza esito. Si rivolge quindi al capo della Squadra Mobile di Roma, cui rivela la presenza nella capitale di Mikhtar Ablyazov. Parte dunque lo scambio di informazioni tra la Questura di Roma, Criminalpol e Interpol del Kazakhstan dalle quali risulterebbe la «pericolosità» di Ablyazov, «ricercato per reati commessi in Kazakhstan, Russia e Ucraina, consistenti in appropriazione indebita di ingenti quantità di denaro e truffa».

Parte così il blitz che però non porta all’arresto di Ablyazov, ma all’espulsione e al rimpatrio della moglie Alma Shalabayeva e della figlia Alua. Un blitz caotico e zeppo di cose che non tornano, raccontato dalla stessa Shalabayeva all’interno di un memoriale. Espulsa in tutta fretta con la figlia, con un aereo privato della Avcon Jet, al costo di 400 mila dollari, senza che venisse consultato il ministro degli Esteri Emma Bonino. Un caso che apre una frattura tra la Procura di Roma, il ministero dell’Interno e la Polizia. Si salverà il ministro dell’Interno Angelino Alfano, ma salteranno teste nel gabinetto del ministro, che sarebbe stato all’oscuro di tutto. E il caso non è ancora chiuso, dopo la scoperta che la foto della piccola Alua sarebbe stata taroccata con Photoshop per espatriare. I magistrati stanno cercando di fare chiarezza sua una vicenda che potrebbe danneggiare il governo Letta.

La storia però non si riflette solo nei rapporti interni, ma diventa un caso di politica e politica economica estera (l’Italia è uno dei primi partner commerciali de Kazakhstan). Dalle contestazioni di violazione dei diritti umani sull’espulsione della moglie e della figlia di Ablyazov, alle questioni di politica interna, arrivando agli interessi economici che le aziende energetiche italiane hanno in essere o pronti a partire con il governo di Astana, ultimo in ordine di tempo l’avvio della produzione nel giacimento petrolifero offshore di Kashagan nel bacino del Caspio e del ricco giacimento di gas e condensati di Karachaganak (Kazakhstan occidentale).

La partita geopolitica in atto rende attuale e di primo piano la questione dell’espulsione delle due cittadine kazake. Intanto Ablyazov è stato arrestato lo scorso luglio a Parigi ed è oggi in attesa di estradizione verso il Kazakhstan, dove la moglie Alma e la figlia Alua si trovano agli arresti domiciliari. «Nazarbayev è un energumeno, un satrapo che non guarda in faccia nessuno: quando vuole una cosa la ottiene», spiega un ex dirigente dell’Eni che preferisce mantenere l’anonimato, ma che ben conosce quella zona del mondo dove la fanno da padrone gli interessi economici, i ricatti e i servizi segreti. «Noi stupidi occidentali italiani applichiamo il metodo della democrazia, ma quelli se ne fregano». Il punto infatti è il rapporto di sudditanza nei confronti di Nazarbayev, da parte del nostro governo. Come pure quello di Eni, che ha gestito tramite Agip Kco la costruzione del giacimento off shore di Kashagan. Da più di due mesi questo pozzo petrolifero ambizioso, che coinvolge altre compagnie petrolifere internazionali, tra cui Exxon e Shell, è fermo perché i tubi della pipeline non si sono rivelati all’altezza del trasporto di H2s (Acido Solfidrico) dall’isola artificiale alla terraferma. 

C’è chi dice fossero semplicemente troppo vecchi, dal momento che la posa avvenne nel 2005 e di anni ne sono passati ormai quasi nove. Secondo quanto rivelato da Linkiesta il consorzio di esplorazione li starebbe cambiando, anche se ormai pure i kazaki sostengono che le operazioni di estrazione potrebbero ripartire solo nel 2015. Tra i viali di San Donato, sede dell’Eni, c’è chi sostiene che su questa partita possa giocarsi il futuro di Paolo Scaroni nel 2014, quando il governo dovrà decidere chi sarà il prossimo amministratore delegato del cane a sei zampe. Sul Kazakhstan ha indagato la procura di Milano con un’inchiesta del Pm Fabio De Pasquale che da 18 mesi attende ancora di essere archiviata o accolta dal Gip: indagine che prevede appunto il commissariamento della Agip Kco. «Il destino di Scaroni è legato a quello di Berlusconi e del Pdl» spiega una fonte molto informata. Di certo non un buon augurio per il manager vicentino.

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