Nonostante il nuovo peggioramento nei rapporti tra Ucraina e Russia, nonostante il calo dei flussi dall’Algeria e dalla Norvegia (che in realtà diminuisce per scelta di mercato, più che per disponibilità), e nonostante l’inverno in arrivo, non si può parlare di “Crisi del Gas”. Basterebbe ricordare che i consumi italiani di gas sono al livello del 2003 – ma tanti altri fattori sembrano scongiurare l’incedere di una nuova crisi.
L’azzeramento dei flussi destinati all’Italia di gas naturale proveniente dalla Libia, a causa del blocco del terminale di Mellitah (da cui parte il gasdotto Greenstream) per l’intervento di numerosi dimostranti della minoranza berbera, ha riportato l’attenzione del mercato sulla questione dell’approvvigionamento di metano. Per fortuna il gas libico, a differenza del gas algerino e russo, non è determinante nella copertura dei consumi italiani e quindi, specie a inizio inverno con gli stoccaggi pieni, c’è ben poco di cui preoccuparsi. Anche perché, peraltro, i consumi italiani di gas naturale da tempo continuano a diminuire. In ottobre (rilevazioni Staffetta Quotidiana) la flessione rispetto all’anno precedente è stata del 2,3% che, pur in recupero rispetto al dato di settembre (-5,8%), conferma la tendenza al ribasso che ha caratterizzato anche il 2013.
Per capire dunque la dinamica non congiunturale del fenomeno è necessario un confronto con i consumi degli ultimi 10 anni. Dopo la flessione del 2011, che ha fatto segnare un totale dei prelievi pari a 77.417,2 milioni mc, registrando una contrazione del 6% sul 2010 e in linea con i livelli del 2009 (meno 0,3%), anche il 2012, attestandosi a 74.252,8 Mmc, ha mostrato un ulteriore significativo calo, con valori molto lontani dai valori superiori agli 84 milioni segnati, dopo il picco del 2005, nel triennio dal 2006 al 2008.
{C}{C}{C}
Esclusa, dunque, l’eccezione rappresentata dal 2010, l’anno più freddo del decennio, caratterizzato da temperature ben al di sotto delle rispettive medie stagionali (il freddo incide non poco sui consumi residenziali e dei servizi, che rappresentano più del 40% della domanda complessiva), si è tornati quasi ai valori di consumo del 2003, annullando così tutti i sostenuti incrementi visti a partire dal 2004 fino al tracollo del 2008.
Ma cosa sta causando il crollo? Per affrontare più nel dettaglio la dinamica dei consumi gas è utile analizzare l’evoluzione dei consumi disaggregandola per settori di riferimento: industriale, termoelettrico e residenziale, incluso il terziario.
Il gas prelevato dalle imprese industriali rappresenta certamente un buon indicatore dello stato di salute del settore. È evidente tuttavia come la lettura dell’andamento relativo agli ultimi nove anni sia ben poco confortante. Se, infatti, le riduzioni dei consumi osservate a partire dal 2005 potevano essere attribuite alle innovazioni di processo che hanno generato maggiore efficienza nelle varie fasi della filiera, i cali osservabili a partire dalla seconda metà del 2007, culminati poi con il crollo tra il 2008 e il 2009, sono, al contrario, da ascriversi al drammatico effetto della crisi economica. E non è facile stimare quanto sarà lento e difficile il recupero dei livelli pre-crisi, anche perché sono numerose le aziende, anche di dimensioni medio-grandi, che hanno ridotto stabilmente i volumi produttivi, e tante quelle che hanno colto nella minaccia della recessione un incentivo alla delocalizzazione. Interi comparti sembrano irrimediabilmente destinati a un massiccio ridimensionamento.
Più articolata è la questione del gas naturale che viene impiegato per generare circa la metà dell’energia elettrica prodotta in Italia. Già nel lontano 2003, il sistema elettrico accusava un evidente deficit di potenza: l’offerta di energia elettrica generata entro i confini nazionali era, nelle ore di massima richiesta, molto inferiore alla domanda.
La situazione culminò nel mese di giugno, quando le alte temperature (sempre più combattute dalle famiglie tramite l’aria condizionata), e una certa difficoltà ad importare energia dall’estero, condussero ad una serie di distacchi programmati in alcune aree del Paese. Da allora, ci si è mossi con rapidità per colmare il ritardo infrastrutturale ricorrendo in modo quasi esclusivo all’installazione di nuove centrali a ciclo combinato, alimentate a gas. I vantaggi rilevanti associati a questa tipologia di impianti sono il basso costo unitario di investimento, un utilizzo del suolo relativamente contenuto, e ridotti tempi di realizzazione ed elevato rendimento associato a costi di produzione più contenuti rispetto ad altre fonti. Queste centrali oggi rappresentano la principale tecnologia del parco di produzione nazionale, che – non va dimenticato – è tra i più efficienti al mondo.
Ma i livelli del 2008, allorché i consumi di energia elettrica avevano raggiunto il massimo storico e il gas era arrivato a contribuire per il 54 % alla produzione elettrica, paiono sempre più lontani. Da allora, la sovraccapacità degli impianti di generazione alimentati a gas è andata ancora costantemente aumentando, per contro parallelamente si è ridotto il tasso di utilizzo delle nuove centrali, stabilitosi nel 2009 attorno alle 3.000 ore/anno, circa la metà delle condizioni ottimali di esercizio. Negli ultimi anni, infatti, il gas si è trovato esposto a una crescente competizione con le altre fonti. L’affermarsi delle nuove rinnovabili è stato prima progressivo, poi febbrile e inarrestabile.
I consumi elettrici nazionali, invece, dopo il calo subito nel corso del biennio 2008-2009 e la successiva ripresa nel 2010, a cui è seguita una lieve crescita nell’anno successivo, è risultata nuovamente in calo nel primo semestre del 2012 (–2,8%). Senza dimenticare che la diffusione di impianti alimentati a carbone non si è fermata. Ne è un esempio l’impiego a pieno regime, fin dalla metà del 2010, della centrale Enel di Torrevaldaliga.
Infine, per quanto riguarda i consumi delle abitazioni e dei servizi, quelli soddisfati dalle reti di distribuzione, che trasportando il gas in media e bassa pressione riscaldano borghi e città, non va trascurato come la metanizzazione del Paese sia ormai stata completata. Da registrare tuttavia la recentissima istituzione di una Cabina di Regia tra Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Coesione Territoriale, Regione Campania e sindaci per la metanizzazione del Cilento.
In attesa del Galsi (il grande gasdotto sottomarino proveniente dall’Algeria – per la verità sempre più improbabile) l’unica grande area senza metano resterebbe dunque la Sardegna, che però è caratterizzata dall’essere poco popolata e da temperature relativamente miti.
In questo contesto, estrema dovrà essere l’attenzione nell’individuare nuovi terminali di rigassificazione e gasdotti considerati così strategici da beneficiare di iter autorizzativi accelerati e di un fattore di garanzia a copertura dei costi di investimento, anche qualora l’impianto non venga utilizzato. Queste infrastrutture, infatti, se, da un lato, rappresentano la condizione necessaria perché l’Italia diventi il principale «hub sud-europeo» del gas (come vorrebbe la “Strategia Energetica Nazionale” varata dal governo Monti), dall’altro presentano lo spiacevole effetto collaterale di essere finanziate con la bolletta del gas – e quindi dai consumatori.
L’autore ringrazia Alessandro Fiorini e Gionata Picchio (Staffetta Gas)