Dopo quattro giorni di colloqui continui, l’accordo sul nucleare iraniano c’è. Lo ha annunciato nella notte fra il 23 e il 24 novembre a Ginevra l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton insieme ai ministri degli Esteri iraniano, Javad Zarif, e i suoi omologhi di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Cina, Russia e Germania. I negoziatori sono rimasti chiusi per ore nelle sale dell’hotel Intercontinental per definire tutti i punti del testo provvisorio che potrebbe chiudere dieci anni di contenzioso. L’accordo temporaneo, in tre fasi e per sei mesi, prevede nuove e più diffuse ispezioni dell’Agenzia per l’energia atomica internazionale (Aiea); il riconoscimento del diritto all’arricchimento dell’uranio al 5%, con conversione in ossido dell’uranio già arricchito al 20% e la sospensione di parte delle sanzioni internazionali insieme ad aiuti finanziari. Vengono scongelati i proventi della vendita del petrolio iraniano, bloccati nelle banche europee, sono sospese le sanzioni all’industria automobilistica iraniana e alle esportazioni nel settore petrolchimico. Nessun sito iraniano, incluso il controverso reattore di Arak, verrebbe chiuso. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, intervenuto in conference call con i negoziatori Usa, ha chiesto alle autorità iraniane di mantenere tutti gli impegni per evitare nuove sanzioni. Tuttavia, Israele ha definito l’intesa della notte un «cattivo accordo».
L’accordo tra i cinque Stati del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania, e Teheran genera scontento non solo tra i nemici “esterni” della Repubblica Islamica, ma anche tra chi dall’interno continua a opporsi sperando in una caduta del regime degli Ayatollah. Un miglioramento, anche se lieve, delle condizioni economiche del Paese verrebbe sfruttato dal regime degli Ayatollah per legittimare la propria permanenza al potere, messa in crisi dalle proteste del 2009 e dal peggioramento delle condizioni di vita di milioni di iraniani, stretti tra disoccupazione e inflazione.