Viva la FifaHa ancora senso parlare di calciatori patriottici?

La Fifa favorisce le scelte convenienti

Ha ancora senso parlare di patriottismo da parte dei calciatori? La domanda – come avrebbe detto qualcuno – nasce spontanea, dopo i recenti casi di Adnan Januzaj e Diego Costa. Considerati questi due casi, nasce un’altra domanda: ha ancora senso parlare di selezioni nazionali, quando ci si riferisce alle rappresentative di calcio? Già, perché il problema, come spesso accade, è a monte. E coinvolge direttamente i due casi in questione, oltre ad altri come quello di Camoranesi e di molti oriundi che hanno vestito la maglia azzurra.

Il problema a monte è rappresentato dal regolamento Fifa, che prevede che un giocatore “indeciso” possa scegliere in quale nazionale giocare fino a quando non riceva una convocazione dalla selezione del proprio Paese (quindi non solo quella maggiore, ma anche le giovanili come l’Under 21). Non solo. Un giocatore ha diritto di giocare per la nazionale di un determinato Paese se vi ha vissuto continuativamente per almeno cinque anni a partire dai 18 anni. Una regola che però vale solo per le competizioni ufficiali e che quindi, di fatto esclude le partite amichevoli. Accade così che il Governo del calcio mondiale permetta a giocatori come Diego Costa, brasiliano di nascita ma di nazionalità spagnola, di scegliere di giocare con la Spagna nonostante fosse stato già convocato per due amichevoli con la Seleçao.

La questione della scelta di Diego Costa ha fatto infuriare un Paese ed inorgoglire un altro. Non è difficile capire quale ci sia rimasto male e quale no. Lo scorso 7 novembre, il ct della Roja Vicente Del Bosque ha convocato Diego Costa in nazionale, nonostante l’attaccante 25enne dell’Atletico Madrid avesse già debuttato con il Brasile nell’amichevole del 21 marzo 2013 contro l’Italia. Il giocatore ha scelto la televisione ufficiale del suo attuale club per spiegare la sua voglia di cambiare nazionale: «è qui (in Spagna, ndr) che ho realizzato tutto quello che ho fatto. Tutto ciò che possiedo nella mia vita me l’ha dato questo paese. Per me questo è molto importante: qui mi sento valorizzato per il lavoro che svolgo ogni giorno, e sento di essere davvero apprezzato dalla gente». Apriti cielo. Mentre Costa parlava di «scelta difficile», la Federcalcio brasiliana apriva di fatto la guerra contro l’ingrato giocatore, reo di aver abbandonato la gloriosa casacca verdeoro per motivi di opportunità economica: Lo ha fatto per soldi dopo aver ricevuto pressioni dalla Federazione spagnola, anche se non ha specificato di quali vantaggi si tratti. Nel frattempo, la stessa Federcalcio brasiliana lo ha bollato come “Persona non grata”, non gradita, come accadde a Paolo Rossi dopo la tripletta rifilata a Zico e compagni ai Mondiali 1982. Un bel problema per Costa, che ha ancora in Brasile tutta la sua famiglia, con la quale conta di riunirsi una volta terminata la carriera da calciatore. E che non sia gradito, i brasiliani glielo hanno fatto capire molto bene con il solito tam tam su Twitter. Tutto è partito da un concessionario di auto dello stato brasiliano di Cearà, che ha creato la pubblicità di un’automobile con lo slogan “A differenza di Diego Costa, quest’auto riempie i brasiliani di orgoglio”. Il tutto condito dall’hashtag #ChupaDiegoCosta, che ha subito spopolato. 

Probabile che Diego Costa abbia sentito di premiare in questo modo il Paese che lo ha adottato, ma a livello di regolamento è indubbio che a guadagnarci sia il suo club: con la nazionalità spagnola affibbiata a un suo giocatore, l’Atletico Madrid ha avuto liberato un posto da extracomunitario. La stessa motivazione che guidò la scelta di un oriundo come Mauro German Camoranesi. Nato a Tandil, in Argentina, Camoranesi arrivò in Italia nel 2000, ingaggiato dall’Hellas Verona. Approdato poi alla Juventus, gli venne consigliato dalla dirigenza di valutare la possibilità di diventare cittadino italiano: un escamotage usato anche da altre squadre per avere un posto in più in rosa per un extracomunitario e che ha portato anche allo scandalo dei passaporti falsi di Juan Sebastian Veron e Alvaro Recoba. La scelta di Camoranesi fu, quindi, un fatto puramente sportivo: non venne mai convocato dall’Argentina di Bielsa nonostante fosse uno dei migliori laterali di centrocampo in circolazione, così fu Trapattoni ad approfittarne, sfruttando quel bisnonno del giocatore che a fine Ottocento partì dalle Marche per cercare fortuna in Sudamerica.

Camoranesi non hai mai nascosto che per lui la maglia azzurra fosse un trofeo («quando torno in Argentina la regalo a parenti e amici»). Travolto dalle polemiche per il fatto che non cantasse mai l’inno, spiegò: «figuriamoci, non conosco nemmeno le parole». Infatti «sarei uno stupido se non mi sentissi argentino ed è lì che tornerò quando avrò chiuso con la Nazionale», cosa che è puntualmente avvenuta. E che ha fatto infuriare le istituzioni di Potenza Picena, che dopo avergli consegnato la cittadinanza non lo hanno mai più visto in paese.Un fattore di convenienza, quello di Camoranesi, che ha guidato anche le scelte di altri oriundi come Cristian Ledesma, Amauri, Pablo Daniel Osvaldo: contenti i club, contenti loro che possono riciclarsi in una nazionale piuttosto che in un’altra che magari non li avrebbe mai convocati. Non solo loro. Anche a Giuseppe Rossi conviene la maglia azzurra piuttosto che quella Usa, dove è nato da genitori italiani: è lo stesso “Pepito” a chiarire sul proprio profilo Twitter che per “homeland” intende il New Jersey. 

Lo stesso fattore di convenienza che potrebbe guidare la scelta di Adnan Januzaj. Che non ha ancora scelto ma in Inghilterra, dove gioca per il Manchester United, ha già sollevato le dovute polemiche. Januzaj, 18 anni di puro talento, è esploso quest’anno con la maglia dei Red Devils, con i quali ha debuttato dopo la gavetta in prima squadra con una doppietta contro il Sunderland.Che fosse un predestinato, lo si era capito non solo quando a 10 anni la squadra belga dell’Anderlecht lo mise sotto contratto, ma soprattutto quando nel 2011 venne acquistato da Alex Ferguson, che se ne innamorò. Esterno d’attacco, Januzaj è un giocatore completo nonostante la giovane età. E la sua particolare situazione lo rende appetibile a più nazionali. Già, perché il giocatore può scegliere se giocare tra 6 diverse selezioni. Riassumendo: Januzaj è nato a Bruxelles da genitori albanesi-kosovari. Può quindi già scegliere tra Belgio, Albania, Serbia e Kosovo, che non ha una nazionale maggiore ancora riconosciuta ma ha quella giovanile. La quinta scelta è quella della Turchia, da dove provengono i  nonni. 

La sesta è la nazionale inglese, ammesso che il giocatore ottenga la cittadinanza di Sua Maestà. «Keep England for the english», ha chiarito subito Jack Wilshere, centrocampista inglese dell’Arsenal e della nazionale dei “Tre Leoni”: «Per me, se sei inglese, sei inglese e giochi per l’Inghilterra. Le sole persone che dovrebbero giocare per l’Inghilterra sono gli inglesi. Se hai vissuto in Inghilterra per cinque anni, per me, questo non ti rende inglese. E non dovresti giocare per la nazionale. Se io andassi in Spagna e vivessi lì per cinque anni, non giocherei per la Spagna. Per me un inglese deve giocare per l’Inghilterra». Secondo la regola per cui devi aver vissuto 5 anni in un Paese citata da Wilshere, oltre ad essere una stoccata più o meno voluta a Diego Costa, significa che Januzaj dovrebbe aspettare il compimento dei 23 anni prima di vestire la maglia inglese. Il presidente della Football Association ha subito risposto, chiarendo che il fattore di convenienza aiuterebbe e non poco: «Non vogliamo rifiutare i giocatori solo sulla base di un certificato di nascita, sarebbe sbagliato. Stiamo valutando la situazione di Januzaj, le regole ci consentirebbero di farlo giocare con noi. Secondo il ragionamento di Wilshere, Mo Farah non avrebbe corso per l’Inghilterra alle Olimpiadi del 2012, regalando due medaglie e orgoglio alla nazione». Nazione che non vince la Coppa del mondo di calcio dal 1966. Chi non l’ha mai vinta è invece il Belgio, dove Januzaj è nato. Ed anche se il ct Wilmots si è visto rifiutare la convocazione da parte del giovane talento, a Bruxelles non si struggono più di tanto. Già, perché il Belgio, storicamente diviso tra fiamminghi e valloni, sta cercando una nuova unità attraverso una nazionale multietnica. Tanto che il partito separatista, che fino a poco tempo fa faceva furore in Parlamento ora cala nei sondaggi grazie a questa nazionale che non solo si è qualificata ai Mondiali (mancava dal 2002), ma ne sarà pure testa di serie accanto al Brasile e all’Argentina. Qui giocano molti discendenti del passato coloniale belga e che belgi si sentono (Witsel, Kompany, Lukaku), o che hanno deciso di sentirsi tali come Chadli, che ha giocato nelle giovanili del Marocco prima di abbracciare la causa giallo-nero-rossa.

Convenienza sì, ma anche senso di appartenenza. Lo stesso che ha mosso i nuovi italiani come Balotelli, Ogbonna, Okaka. E allora, nonostante tutto, in parte ha ancora senso parlare di giocatori patriottici. D’altronde, dai giovani ogni tanto si può imparare qualcosa. Anche se hanno la pelle diversa dalla tua.