Internet delle cose: il problema è l’uomo?

Internet delle cose: il problema è l'uomo?

Che la naturale evoluzione della web economy sia la connessione gliobale pochi hanno dei dubbi. I veri interrogativi sorgono su come si sosterrà questa nuova economia e se gli uomini saranno pronti a gestirne problemi ed a sfruttarne i possibili vantaggi.

Da un lato l’entusiasmo per le rosee previsioni sul mercato generato dall’ Internet delle cose cozza con legittimi dubbi sulla provenienza dei nuovi indotti. Se infatti hanno ragione Cisco e General Eletrics immaginando un mercato dai 2,7 ai 15,3 biliardi di dollari entro il 2030 con previsioni fino a 1,9 biliardi all’anno per i prossimi dieci anni c’è da chiedersi cosa sosterrà una simile forza d’acquisto. 

Dall’altro lato anche se dovessimo davvero assistere a questa espansione come faranno le aziende ad adattarsi ad un simile overload di informazioni? La struttura piramidale e per reparti/comparti di quasi tutte le grandi imprese del mondo come dovrebbe gestire un flusso di dati in realtime così “ingombrante”? Una volta che gli oggetti venduti racconteranno ai loro produttori come vengono usati nel dettaglio sapranno questi ultimi utilizzare i dati per ottimizzare di continuo la produzione?

Certamente i tempi di questa rivoluzione non sono ancora maturi e il mondo non cambierà domani ma quando avverrà sarà comunque una doccia fredda per tutti quelli che non si sono preparati e che verranno soppiantati dalle piccole realtà nate durante questi anni di trasformazioni. Se non ci facciamo accecare dall’hype per l’internet delle cose dobbiamo davvero fermarci  a pensare su chi alimentarà questo giro d’affari e qual’è il reale valore commerciale di quetse tecnologie. Senza investimenti e senza un mercato rimarranno infatti solo un miraggio

La vera domanda di fondo quindi è: in un mondo completamente fondato sull’informazione è davvero l’uomo l’unico anello debole della catena dello sviluppo tecnologico?

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