Istat ha pubblicato nei giorni scorsi un nuovo rapporto, estratto dal censimento imprese, che mostra – se ce ne fosse ancora bisogno – come tutta l’enfasi posta da media, esperti economici e anche banche sui processi di internazionalizzazione sia tanto giustificata quanto sproporzionata.
Le nostre Pmi sono ancora fortemente dipendenti dal mercato domestico, anzi da un mercato locale, provinciale. Se non si vuole comprendere che la sopravvivenza del nostro sistema economico dipende in prevalenza dallo stato della domanda nazionale, se ci si continua a cullare nell’illusione che le nostre imprese siano aperte e competitive sui mercati internazionali, si commette un errore banale, quello di non leggere bene i numeri delle nostre imprese.
Secondo i dati pubblicati nel rapporto “Mercati, strategie e ostacoli alla competitività” che registra lo stato di oltre un milione di imprese con almeno 3 addetti:
Il 57,8 % delle imprese dell’industria e dei servizi con almeno 3 addetti svolge la propria attività esclusivamente su un mercato locale; circa una su cinque amplia il suo raggio di azione al mercato nazionale e una quota di poco superiore si affaccia anche sui mercati esteri. Tale risultato medio sintetizza comportamenti diversi in termini sia di dimensione aziendale sia di attività economica.
Solo poco più del 20% del totale delle imprese italiane ha uno sbocco sui mercati dell’export e il 60% vive addirittura di un mercato locale, questa è la dura realtà che va affrontata. Per l’80% delle piccole e medie imprese ciò che conta è il mercato domestico.
La ripartizione tra classi dimensionali rende un’immagine più chiara ma non certo esaltante: solo le imprese con oltre 50 addetti raggiungono un livello vicino al 50% nella presenza sull’estero, si tratta però di meno di 25.000 unità. Per tutte le altre imprese, per le tanto citate Pmi, la strada è ancora lunga.
Nella bassa presenza sui mercati esteri gioca anche un fattore geografico associato a quello dimensionale, che gioca a sfavore delle regioni del Centro-Sud, come si comprende dalla prossima illustrazione:
Necessario poi distinguere tra tipologie di imprese, in particolare per capire il peso del commercio rispetto all’industria manifatturiera. Le imprese del commercio che operano sul mercato locale sono 153.200 contro solo 62.000 imprese manifatturiere. Viceversa sono con un piede all’estero poco più di 100.000 imprese manifatturiere contro 64.400 del commercio.
Certamente spicca il dato di oltre 1/3 di piccole imprese manifatturiere artigianali che operano su territori molto limitati e sta difendendo nicchie vulnerabili.
Teniamo sempre presenti questi numeri quando nei mille convegni e nelle mille interviste di questo paese bloccato si discute dei processi di internazionalizzazione delle imprese, sempre con troppa superficialità e poca comprensione dei numeri: 600.000 imprese campano di un mercato che ha un raggio di forse non più di 50 km attorno alla propria sede, la gran parte non ha alcuna intenzione o possibilità di andare all’estero. Per questo va bene fare tutto quanto possibile per promuovere la crescita del numero di imprese che hanno sbocco all’estero, ma nessuno si illuda sull’effetto complessivo. Senza un mercato interno che cresce la moria di imprese sarà ancora lunga.
E a proposito della crescita delle imprese sui mercati export, ci sono notizie dell’Agenzia per l’Export?
* articolo originariamente pubblicato su www.linkerblog.biz
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