Seppur lentamente qualcosa inizia a muoversi nell’ingarbugliato settore delle sigarette elettroniche, e iniziano a comparire i primi dati scientifici. Sebbene l’e-cig resti ancora il pomo della discordia per gli esperti italiani, che non trovano un punto d’accordo. Lo scorso sei novembre Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), e Carlo Cipolla, direttore della divisione di cardiologia dell’Ieo, hanno riferito alla stampa i risultati preliminari di uno studio pilota sulle e-cig, guidato da Cipolla e condotto presso lo stesso Ieo, il Centro cardiologico Monzino e l’Ospedale San Raffaele: «Lo studio non è ancora finito – spiega Cipolla a Linkiesta – ma in un momento di confusione legislativa e politica come questo, in cui le sigarette elettroniche rischiano di essere penalizzate fortemente e tagliate fuori dal mercato, era molto importante dire quanto già sappiamo in base ai dati preliminari dello studio».
Ovvero che sui primi 70 pazienti arruolati, che hanno finito lo studio, riusciva a smettere di fumare il 60% dei pazienti che usavano le e-cig contro il 30% di quelli trattati con solo counseling. Un risultato positivo, che se fosse confermato da ulteriori studi scientifici, dimostrerebbe come le e-cig potrebbero davvero diventare un buon alleato contro la lotta al fumo. «Ma – continua Cipolla – è importante sottolineare che noi, nel nostro studio, abbiamo usato solo e-cig senza nicotina. Questo perché il 50% dei fumatori sopra i 50 anni soffre di una patologia cardio-cerebro-vascolare, e in persone con queste caratteristiche l’uso della nicotina è inappropriato».
«Lo studio è partito due anni fa, approvato dalla autorità scientifiche italiane e americane su una popolazione totalmente omogena», ci tiene a sottolineare il cardiologo dell’Ieo, perché fare uno studio sui fumatori è molto difficile, proprio perché il fumo è influenzato da molti fattori diversi, è trovare una popolazione omogenea è molto difficile. I pazienti arruolali nello studio, hanno però tutti in comune il fatto di essere malati: tutti hanno, infatti, improvvisamente manifestato un episodio di cardiopatia o di tumore al polmone e dovevano necessariamente smettere di fumare.
In totale sono stati reclutati 120 pazienti, ma i dati preliminari si riferiscono ai primi 70 pazienti. Di questi 35 sono stati sottoposti a counseling più sigaretta elettronica per smettere di fumare e altri 35 sono al counseling, svolto per entrambi i gruppi sempre dallo stesso psicologo. Ogni mese i pazienti erano sottoposti a una visita di controllo, anche qui, effettuata sempre dallo stesso pneumologo, che usava lo stesso approccio, domande, visita ecc. con ognuno di loro, in modo da ridurre i fattori che potevano influenzare lo studio. Cipolla continua a spiegare che «i risultati sono positivi, non solo perché il numero di fumatori che smetteva di fumare usando le e-cig è doppio rispetto gli altri che facevano solo counseling, ma anche perché la percentuale è molto elevata: il 60% non lo raggiungono neanche i farmaci antifumo in commercio. E chi non ha smesso di fumare ha comunque ridotto il numero di sigarette giornaliere».
Sì alla sigaretta elettronica insomma, ma senza nicotina, secondo Cipolla, perché non solo fa male e induce dipendenza come tutte le altre sostanze da abuso, ma soprattutto perché sono state vendute soluzioni non controllate, non sterili, con concentrazioni ignote di nicotina, alcune altissime. «Abbiamo calcolato che alcuni prodotti nei quali c’erano 10 ml di liquido contenevano 18 mg di nicotina – continua Cipolla – l’equivalente di 360 sigarette a settimana. Ci sono stati ragazzi finiti in pronto soccorso con aritmie e ipertensione proprio per aver fumato con gli svapatori delle quantità di nicotina assolutamente abnormi».
La proposta del gruppo Ieo è di far diventare la sigaretta elettronica un prodotto medicale – in modo da abolire l’assurda tassa che rischia di far crollare il mercato – che sia venduto in farmacia o nei negozi autorizzati, in maniera assolutamente controllata e senza nicotina. «Allora sarebbe un delitto non utilizzare le e-cig come presidio medico per smettere di fumare» precisa Cipolla. Anche perché, come ha affermato Veronesi durante la conferenza stampa dello scorso 6 novembre: «Se coloro che fumano sigarette tradizionali le sostituissero con le sigarette elettroniche potremmo salvare 30 mila vite all’anno in Italia e 500 milioni nel mondo». Fuori dall’Italia, intanto, iniziano ad essere pubblicati i primi lavori scientifici (come questo su Lancet) che dimostrano l’utilità della e-cig come presidio antifumo, seppur con qualche perplessità sul disegno dello studio stesso. E alcuni esperti si sono espressi a favore delle e-cig durante un convegno presso la Royal Society, anche se restano i dubbi sulla sicurezza, che potranno essere risolti solo con ulteriori studi.
Umberto Veronesi ha anche accusato il Governo di «remare contro», con la pesante imposta del 60% applicata alle sigarette elettroniche, che ha messo in crisi il settore rischiando di far sparire le e-cig. «Tassa assolutamente inutile – secondo il direttore dell’Ieo – perché lo Stato ci guadagna sul momento, ma poi deve fare i conti con i tre miliardi di euro spesi ogni anno per curare le 50 mila persone che, in Italia, sviluppane tumori a causa del fumo». Dopo aver chiesto al ministro della salute, Beatrice Lorenzin, di impegnarsi a diffondere l’utilizzo della sigaretta elettronica, ecco arrivare qualche giorno dopo la legge che permette di svapare nei luoghi pubblici.
«Una decisione assolutamente incomprensibile – secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri – perché permettere l’utilizzo delle e-cig nei luoghi pubblici, non solo trasmette la gestualità di fumare, che è negativa, ma è anche un disturbo per le altre persone. Anche perché non si conosce ancora la quantità di nicotina che viene dispersa nell’aria». Dello stesso parere Roberto Bertollini, rappresentante dell’Organizzazione mondiale della sanità presso l’Unione Europea, perché «con questa legge passiamo da una situazione in cui non esiste nessun tipo di fumo passivo nei luoghi pubblici a un’esposizione a vapore, nicotina, forma aldeide, propilenglicole e altre sostanze di cui l’organismo non ha bisogno». Insomma per chiarire ogni dubbio, per gli scienziati c’è ancora molto da lavorare.
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In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute
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