In 450 pompe di benzina Tesco si stanno installando centinaia di schermi per il riconoscimento facciale in grado di riconoscere l’età e il sesso dei clienti e che serviranno ai pubblicitari per suggerire loro messaggi personalizzati. «Sì, è come Minority Report, ma questo potrebbe cambiare il volto del retail britannico e i nostri piani sono di espandere le schermate in quanti più punti vendita possibile», ha detto candidamente a The Grocer Simon Sugar, figlio dell’amministratore delegato Tesco.
Si chiama OptimEyes ed è molto simile a una impronta digitale. Funziona con una camera integrata in un quel che sembra un innocuo schermo televisivo ma permetterà di indirizzare i dati in tempo reale agli inserzionisti.
In Minority Report Tom Cruise è bombardato di annunci pubblicitari calibrati su di lui (o su chi il sistema di riconoscimento di GAP pensa lui sia: in realtà sono gli occhi di tale Yamamoto, impiantati per rendere l’agente ignoto a questi dispositivi di sorveglianza), in base alla retina che funziona come un’ impronta digitale. Ogni pubblicità dura dai dieci ai cento secondi, e si attiva ogni volta che lo schermo vede la nostra retina. Era un film ora è la realtà.
Se per i pubblicitari è un modo alternativo di ricevere dati in grosse quantità, tracciando informazioni su di noi anche attraverso dei sensori, e non solo con Google o Facebook, c’è un problema: la privacy.
Nick Pickels, direttore di Big Brother Watch, associazione britannica in difesa della privacy dei cittadini ha dichiarato che: «scansionare i consumatori mentre entrano nel negozio, senza il loro permesso, è un grosso problema», aggiungendo: «Se le persone sapessero che ogni qual volta entrano in un negozio un sensore rileva informazioni su di loro probabilmente cambierebbero abitudini d’acquisto». OptimEyes ha il problema di essere l’ennesimo dispositivo di sorveglianza.
In realtà i sensori di diverso tipo già esistono in numerose catene da Wal-Mart a Target, due colossi americani. Ogni comportamento del cliente viene tracciato sin da quando entra nel negozio. Ma uno sguardo che ci registra in modo così invasivo e personale, come la nostra retina, si spinge ben oltre. Tesco in Gran Bretagna è un colosso da tremila punti vendita. Nonostante il numero uno Peter Cattel minimizzi: «la capacità di personalizzare contenuti in tempo reale, basati sul genere e l’età dei nostri clienti, può permetterci una interazione migliore», non è esattamente rassicurante.
I clienti si divideranno in due fazioni: quelli che non entreranno più nei negozi Tesco e quelli a cui non importerà se i messaggi saranno personalizzati su di loro. È già successa una cosa simile a Target, una catena che riusciva a prevedere se una donna fosse incinta già dal terzo mese. Il sistema si basava su un incrocio di dati in base agli acquisti: le donne incinta pare comprassero una combinazione di prodotti. Con altissime probabilità ad una determinata combinazione di acquisti seguiva ache quello di passeggini e pannolini. Quando le clienti hanno iniziato ad accorgersi che Target sapeva di loro molto di quanto fossero disposte a dichiarare (un celebre caso vuole di un padre informato sulla gravidanza della figlia da un coupon), si diffusero le reazioni negative. Target ha dovuto dissimulare la personalizzazione delle pubblicità, mischiando prodotti calibrati sull’individuo insieme a quelli per tutti. È la segmentazione del pubblico che solo i big data può raggiungere.
Da una parte c’è il mantra dell’esperienza dei clienti, basata tutta su un aggancio tempestivo ed efficace, dall’altra c’è che in tempo di NSA e di Datagate, i nostri dati stanno sollevando problemi sempre più grossi di tutela della privacy. Le mie interazioni a chi appartengono? Se entro in un negozio possiedo i miei movimenti? Facebook ci direbbe di no, e ora anche Tesco. A quando il trapianto di retina?