Dopo le ultime dichiarazioni desecretate del boss Carmine Schiavone davanti alla “Commissione ecomafie” del 1997, non ci sono più dubbi. La Campania è una terra avvelenata dalla monnezza che per anni è stata l’oro della camorra e non solo. “Terra dei fuochi” l’aveva chiamata per prima l’associazione Legambiente nel suo rapporto Ecomafia del 2003, riferendosi in particolare all’area tra le province di Napoli e Caserta dove le discariche abusive della criminalità organizzata bruciavano senza fine. E la stessa Legambiente, a distanza di dieci anni, torna in quei territori per snocciolare cifre e numeri di un “ecocidio”.
Il rapporto “Terra dei fuochi: radiografia di un ecocidio” ripercorre la storia dell’affare milionario dei rifiuti che per anni hanno inquinato la regione. Nel lontano 1988 il primo boss dell’ecomafia, Nunzio Perrella, confidò all’attuale Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti che «altro che droga», la monnezza era da tempo il vero oro della camorra: si rischiava di meno e si guadagnava di più. Ma fino al 2001 per chi trafficava rifiuti non c’erano sanzioni adeguate. Solo a marzo di quell’anno entra in vigore nel nostro ordinamento il delitto di “traffico organizzato di rifiuti”, sostanzialmente l’unico delitto ambientale esistente. Dalle dichiarazioni di Perrella nasce l’inchiesta “Adelphi” che comincia a definire i contorni di un fenomeno ancora del tutto socnosciuto: la Campania era stata scelta dalla camorra, insieme ai suoi sodali nel mondo della politica e dell’economia, come unico grande immondezzaio per gli scarti tossici dell’Italia produttiva.
La successiva operazione “Cassiopea” dal 1999 al 2002 condotta da Donato Ceglie, allora magistrato alla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, quantificò in un milione di tonnellate il volume di rifiuti gestiti illegalmente dagli indagati. A svelare il sistema messo in piedi dai clan è stato però Gaetano Vassallo, definito il “Buscetta dei rifiuti”: Vassallo racconta agli inquirenti come dal 1988 al 2005 centinaia di migliaia di Tir hanno attraversato mezza Italia per sversare una quantità incalcolabile di tonnellate di veleni in ogni angolo della Campania. Ma il copyright del modello casalese nei traffici illeciti di monnezza appartiene a Carmine Schiavone: usare ogni spicchio di terra per seppellirvi fino a che c’è spazio veleni provenienti da tutta Italia e dall’estero.
Nel frattempo la strategia della criminalità organizzata è anche peggiorata. Come scrive la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 2011, «mentre prima soggetti notoriamente conosciuti come camorristi avevano imprese che gestivano i rifiuti, ora alcuni imprenditori hanno un controllo quasi monopolistico di alcuni ambiti di questo settore, che però sono il braccio economico dei clan».
I NUMERI
Negli ultimi cinque anni tra Napoli e Caserta si sono concentrati 205 arresti per traffici e smaltimenti illegali di rifiuti, pari al 29,2% del totale nazionale, poco meno di un terzo in sole due province. Negli stessi luoghi si è registrato quasi il 10% dei sequestri effettuati (1.062), più dell’8% delle infrazioni (2.068) e quasi l’8% delle persone denunciate (2.246).
Un’aggressione continua, accompagnata quotidianamente da denunce, sequestri di nuove discariche e nuovi roghi, con il costante lascito di nuovi veleni. Dal primo gennaio 2012 al 31 agosto 2013, in base ai dati raccolti dai Vigili del fuoco i roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci sono stati ben 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta. Un’altra fotografia inquietante arriva dall’Arpac, Agenzia per l’ambiente della Regione Campania: 2.001 sono i siti inquinati censiti nelle rilevazioni compiute nel 2008 tra le province di Napoli e Caserta. Nel 2009 il Commissario per le bonifiche mette nero su bianco l’esistenza di 1.122 aree avvelenate da smaltimenti illegali in 70 Comuni, sempre tra le due province.
Dal 2001 a oggi le inchieste per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti condotte dalle procure attive nelle due province sono state 33, più del 15% di quelle svolte in tutto il Paese. I magistrati hanno emesso 311 ordinanze di custodia cautelare, con 448 persone denunciate e 116 aziende coinvolte. Inchieste che in molti casi hanno consentito di smascherare alcune delle principali holding mafiose attive nel ciclo dei rifiuti, capaci di muovere milioni di tonnellate di veleni.
Solo nel 2007 sono state individuate 222 discariche abusive di tutte le dimensioni: il 40% a Napoli, seguito con il 24% la provincia di Salerno e con i 14% quella di Caserta, a seguire con il 12% Avellino e con il 10% Benevento. Nel paese di Alife, in provincia di Caserta, il ritrovamento più inquietante: le provette e il barattolo di vetro con dentro un embrione conservato in una soluzione di formaldeide, scoperto nel 2008 in una discarica abusiva di 60mila metri quadri.
Nel mese di luglio dello scorso anno, le forze dell’ordine sono intervenute nei campi a ridosso di alcune discariche casertane: Masseria del Pozzo, Schiavi, Novambiente e soprattutto la famigerata Resit, gestita dal già citato Cipriano Chianese. Gli agenti sono intervenuti dopo numerose segnalazioni sulla fuoriuscita di uno strano fumo che si addensava a piccole nuvole proprio sui campi coltivati a ortaggi. Si tratterebbe di fumarole, scrivono da Legambiente, «esalazioni provenienti direttamente dal sottosuolo. Si tratta di un campo dove vengono coltivati i famosi friarelli. Le fumarole compaiono a giorni alterni, con l’umidità sono più visibili. Con ogni probabilità sarebbero causate dal collasso del fondo delle discariche e dai bidoni che si troverebbero in profondità, che rompendosi innescherebbero reazioni chimiche a catena, diffondendo veleni nel sottosuolo. Le denunce dei cittadini nemmeno si contano».
INCENDI DI RIFIUTI E DI ALTRE SOSTANZE NELLA PROVINCIA DI NAPOLI
INCENDI DI RIFIUTI E DI ALTRE SOSTANZE NELLA PROVINCIA DI CASERTA
Le fiamme vengono appiccate in prevalenza la sera, tra le 18 e le 24: nel periodo di tempo gennaio-giugno 2013 se ne sono registrati oltre 300 in provincia di Napoli e più di 100 in quella di Caserta.
LE CONSEGUENZE PER LA SALUTE
Partendo da questi numeri, le conseguenze tratte dall’Istituto superiore di sanità sono allarmanti: i continui smaltimenti illegali di rifiuti sarebbero in stretta collaborazione con l’incremento significativo di diverse patologie tumorali. Proprio negli otto comuni con il maggior numero di discariche di rifiuti censiti nell’ambito dello studio “Sentieri” si registrano, non a caso, i picchi maggiori: Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno, Giugliano in Campania, Marcianise e Villaricca.
Nello studio intitolato “Analisi di correlazione geografica tra esiti sanitari ed esposizioni a rifiuti in un’area con sorgenti diffuse: il caso delle province di Napoli e Caserta”, emergono “eccessi statisticamente significativi di mortalità e di malformazioni” concentrati “nelle zone dove è più intensa la presenza di siti conosciuti di
smaltimento dei rifiuti”. L’Iis ha suddiviso le zone di rischio: un gruppo di 8 Comuni a maggior rischio, un gruppo di un centinaio di Comuni a rischio minimo, e 3 gruppi caratterizzati da situazioni intermedie. Fanno parte del famigerato primo gruppo di 8 comuni Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno (che ha il record di siti inquinati censiti nello studio, ben 30), Giugliano in Campania (al secondo posto con 25), Marcianise e Villaricca. Sono questi i territori dove si muore di più per patologie legate agli smaltimenti illegali di scorie di ogni tipo. «È qui che l’ecomafia fa sentire più forte la sua puzza di morte», si legge nel rapporto.
Secondo l’analisi dei ricercatori dell’Iss, “per la mortalità generale, nelle 5 categorie di Comuni il rischio cresce mediamente del 2%, in entrambi i sessi, da una categoria a minor pressione ambientale alla successiva a pressione più elevata, con un trend statisticamente significativo. Confrontando il gruppo dei Comuni a maggior rischio ambientale con quello di riferimento si osserva un eccesso di mortalità generale del 9% per gli uomini e del 12% per le donne”.
Andando nello specifico delle singole patologie, nel caso del tumore epatico si è registrato l’aumento statisticamente significativo del rischio di mortalità al crescere dell’IR, l’indicatore comunale di esposizione ai rifiuti (4% negli uomini e 7% nelle donne), con un aumento esponenziale del 19% per gli 8 Comuni con alto indice IR. In questi ultimi, per le donne si registra addirittura un picco del +29 per cento.
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