L’intesa di questa settimana – che il colosso russo Gazprom e quello ucraino Naftogaz hanno raggiunto sul pagamento di una bolletta arretrata di oltre un miliardo di dollari per forniture di Mosca a Kiev non saldate puntualmente – ha messo il coperchio alla pentola che bolle. Almeno per il momento. Guerra del gas scongiurata, con l’inverno alle porte e la partita ancora in corso tra il Cremlino e la Bankova (la sede della presidenza ucraina) sulla questione dell’avvicinamento all’Europa da parte dell’Ucraina. Dopo il 28 novembre, quando Kiev e Bruxelles potrebbero firmare l’Accordo di associazione che sottrarrebbe l’ex repubblica sovietica all’ombra di Mosca, sarà più chiaro se l’Occidente dovrà guardare a quest’angolo di spazio postsovietico con preoccupazione oppure la tregua tra Russia e Ucraina consentirà a tutti sonni caldi e tranquilli. Se non altro sul breve periodo.
Il problema è infatti che le relazioni energetiche tra i due paesi sono tanto complesse quanto poco trasparenti e proprio per questo instabili. Da sempre. Le guerre del gas non sono un’invenzione di Vladmir Putin, che nel 2006 – anno in cui l’Europa ha scoperto anche a livello mediatico che l’oro azzurro può essere usato come un’arma impropria – ha messo in allarme mezzo continente, ma hanno radici più profonde. Già negli anni novanta ai tempi di Boris Eltsin a Mosca e Leonid Kuchma a Kiev, il tavolo energetico è stato una piattaforma che Russia e Ucraina hanno utilizzato per risolvere tutt’altre questioni. Basti pensare che già nel 1997 la decisione ucraina di concedere l’utilizzo della base militare di Sebastopoli per la flotta russa passò per una riduzione dei prezzi del gas. E la cosa si sarebbe ripetuta nel 2011.
Da una parte è stata Gazprom a condurre in gioco, dall’altra Naftogaz. Ma a differenza della Russia, dove è monopolizzato dal gigante controllato dal Cremlino, in Ucraina il mercato del gas è stato il teatro della nascita e della crescita di piccoli e grandi “robber barons” che hanno costruito nel corso degli anni veri a propri imperi energetici privati, assumendo un ruolo ben maggiore di quello di semplici imprenditori. Come ha ben sottolineato in una recente analisi (The Oligarch Democracy) Slowomir Matuszak del Center for Eastern Studies di Varsavia. Con il risultato che tra Mosca e Kiev è ormai appesa una ragnatela che riguarda non solo i rapporti politici tra due Stati e quelli economici tra compagnie statali o private, ma che coinvolge un sistema di poteri forti in cui gli interessi nazionali si sovrappongono a quelli personali. A oltre vent’anni dall’indipendenza dalla Russia, l’Ucraina e il comparto energetico si sono talmente oligarchizzati, che il destino del Paese è determinato da un pugno di persone.
Non è certo un caso che al centro del duello tra Ucraina e Unione Europea ci sia la vicenda di Yulia Tymoshenko, arrivata alla politica dopo i fasti da “Principessa del gas”. È stata lei, alla metà degli anni novanta, a gestire con la sua Uesu, l’import di gas dalla Russia. Cooptata dal primo ministro Pavlo Lazarenko, finito poi nove anni in galera negli Usa, prima di diventare l’eroina della rivoluzione arancione nel 2004, è stata ministro dell’Energia, mettendo tra l’altro bastoni tra le ruote a quei magnati che poi si sarebbero vendicati, contribuendo non poco al suo tracollo, facendola finire da primo ministro a carcerata più illustre della nazione. Primo fra tutti Dimitri Firtash (DF Group), colui che negli ultimi anni, da quando Victor Yanukovich arrivato alla Bankova nel 2010, ha approfittato della nuova situazione. Nel 2009 la premier Tymoshenko, dopo la firma dei nuovi contratti tra Naftogaz e Gazprom che l’avrebbero poi portata al processo e alla condanna per abuso d’ufficio nel 2011, aveva dato un duro colpo alla Rusukrenergo di Firtash, escludendola improvvisamente dal lucrativo mercato di intermediazione con la Russia. Ma nel 2010 l’arbitrato di Stoccolma ha prima dato ragione all’oligarca condannando Naftogaz a restituirgli 12 miliardi di metri cubi di gas sequestrati, e poi il nuovo presidente nel 2011 ha ridato la possibilità a compagnie private di importare gas dall’estero.
La Ostchem di Firtash lo fa oggi acquistando in Asia centrale e ovviamente in Russia, dove lo paga circa un terzo di meno rispetto al prezzo fatto dai russi a Naftogaz. Nel 2013 accanto a Naftogaz che ha importato da Mosca oltre 30 miliardi di metri cubi, la holding del miliardario vicino a Yanukovich ne ha comprati da Gazprom circa 10. Tendenza in crescita. Nel primo trimestre del 2013 Ostchem ha coperto di fatto l´80% dell’import di gas dalla Russia, mentre Naftogaz ha continuato la propria strategia di riduzione e diversificazione delle fonti. Le mani di Firtash potrebbero allungarsi anche sulla stessa Naftogaz, quando il colosso statale verrà privatizzato: dopo la trasformazione delle succursali Ukrtransgaz, che gestisce i gasdotti, e UkrGasVydobuvannia, che si occupa di estrazione, il processo di oligarchizzazione – anzi di “Dimitrizzazione”, come l’ha definito il settimanale Tyzhden – potrebbe continuare insomma in grande stile.
La questione è legata a doppio filo agli sviluppi politici tra Ucraina e Russia. La privatizzazione del sistema dei gasdotti ucraino interessa molto anche a Gazprom, che proponendo il solito baratto (sconto sulla bolletta dietro una fetta di gts) vorrebbe ripetere a Kiev la strategia adottata a Minsk, dove ha già fagocitato il sistema bielorusso. Lo spezzatino di Naftogaz in mano di oligarchi compiacenti sarebbe certo gradito al Cremlino. Accanto a Firtash potrebbero approfittarne i grandi nomi come Rinat Akhmetov (SMC Management) e quelli nuovi come Serghei Kurchenko, la stella nascente nel palcoscenico oligarchico-energetico ucraino. Grazie all’amicizia con il figlio del presidente, Alexander Yanukovich, la sua Vetek (ex GasUkraina) sta diventando un player sempre più importante nel settore. Fra una decina di giorni però, se Yulia Tymoshenko verrà liberata (le speranze sono al lumicino, ma ci sono, come ha ricordato il politologo Volodymyr Fesenko del Centro Penta di Kiev) e se il fatidico vertice di Vilnius porterà a una svolta positiva sulla direttrice Kiev-Bruxelles, conti e progetti dovranno essere rifatti. Anche e soprattutto dagli oligarchi del gas.