Forse gli YouTube Music Awards non entreranno nell’immaginario collettivo ma di sicuro piaceranno a hipster e giovani alternativi. Lo show, presentato dal nervoso e impacciato attore Jason Schwartzman (Marie Antoinette, Moonrise Kingdom), era in live streaming dall’enorme Pier 36 di Manhattan—il posto giusto per un super party—ed è stato visto da una media di 220 mila contatti. Pochi, se comparati con i 10 milioni degli MTV Video Music Awards di questo Agosto.
Ma quella era la TV che andava online, qui è il percorso inverso. Il servizio di video streaming più popolare del mondo ha deciso di occupare un nuovo canale (o un’intera emittente), ma con una propria specificità: i vincitori e i concorrenti sono scelti dai fan, i video vengono diffusi (copyright a parte, che non si capisce perché rimuovano i video degli Awards di YouTube su YouTube). Ai dirigenti non interessano i numeri auditel ma quelli sul lungo periodo: le condivisioni, i commenti, il buzz. Come spiega Danielle Tiedt, vice presidente per il marketing online di YouTube: «Stiamo cercando una percezione del marchio a lungo termine».
A dirigere lo show c’era Spike Jonze. «Che bisogno c’è di un altro festival musicale?» ha candidamente sbottato Jonze, il regista di videoclip storici per Arcade Fire, Beastie Boys, e Björk, quando ha supervisionato il progetto, come riporta il New York Times. Il motivo è semplice: lo chiede Google.
In Agosto l’agenzia di misurazione Nielsen ha pubblicato un sondaggio in cui il 64% degli adolescenti americani intervistati ammettevano di ascoltare musica da YouTube. Per questo Google, che ha comprato YouTube nel 2006 acquisendo un mercato video online, ora vuole conquistare anche gli eventi mediali pop oggi dominati da Grammy Awards, MTV Video Music Awards e Billboard Music Awards, tra molti altri. O per lo meno ritagliarsi uno spazio nel business dell’intrattenimento indie-pop. Se già tutti guardano e ascoltano video lì perché non farne un evento?
Nonostante lo show sia stato promosso da Jonze come del tutto improvvisato («Nessuno di noi ha mai fatto uno show live prima, in un certo senso siamo tutti dilettanti su YouTube, stiamo girando il nostro video».) è interamente progettato nel dettaglio («Quindi anche se sarà un casino, sarà vivo»). Dietro l’apparente caos c’è un’organizzazione delle comparse, degli attori e dei tempi, veramente notevole. Jonze ha ricreato tutto live, anche i video, dei quali alcuni diretti da lui. Lasciando una libertà di movimento per gli intermezzi. (Qui ne trovate alcuni)
Più che un evento è un party. I momenti migliori sono proprio quelli con uno script. Le riprese continue, il montaggio serrato e in presa diretta di otto multi-camera, la messa in scena di performance live che sembrano video-clip—persino i dietro le quinte, indistinguibili dal resto. Un caos controllato e regolato per dare senso di autenticità. Il primo video è stato History of Youtube, del gruppo CDZA, Collective Cadenza, i creatori di video sperimentali come History Of Lyrics That Aren’t Lyrics, da milioni di visualizzazioni.
Questo però non è la prima volta per YouTube. Come ricorda The Verge, YouTube ha già provato nel 2008 a creare qualcosa di simile, ma ha fallito perché aveva scelto di basare tutto sulle star virali ipercliccate. Il risultato era la celebrazione dei soli contenuti grassroots, cioè quelli resi famosi da YouTube stesso. Ma solo perché troviamo divertenti i gattini o freak online non significa che siamo disposti a guardare uno show che ce li mostri.
Lo YouTube Music Awards è uno spettacolo alternativo. A cominciare dalla collaborazione con Vice. E poi ci sono i registi. James Larese, Chris Milk e Ray Tintori all’artista Fafi, e poi l’attore Jason Schwartzman, la sceneggiatrice HBO Lena Dunham, la ribelle M.I.A (la quale la scorsa settimana si è fatta aprire il concerto via Skype da Julian Assange) e gli Arcade Fire. Ci sono tutti quelli che devono promuovere un disco in uscita. È un tipico evento promozionale ad alto tasso di intrattenimento con i codici di un regista che è stato sposato con Sofia Coppola. I giovani che aprono Pitchfork la mattina apprezzeranno.
Qui Google ha imparato la lezione del 2008 e ha scelto di mischiare nomi affermati da generi più consolidati, non c’è spazio per il dilettantismo: Eminem, M.I.A., Avicii—e Lady Gaga, la star da 1 miliardo di visualizzazioni online, e che ha intitolato il suo ultimo album ARTPOP. Quindi abbiamo i candidati votati dal pubblico: Miley Cyrus, Macklemore e Bieber, al fianco di K-pop Girls Generation e Demi Lovato. I premi? «Best response of the year», per i musicisti che hanno avuto più cover del loro pezzo, o remix o parodie dagli utenti di YouTube. L’obiettivo è ritagliarsi uno spazio nel pop senza neppure tentare velleitariamente di competere con gli MTV VMA, ma con un cult di nicchia, simpatico, da rivedere con piacere. Secondo TechCrunch lo spettacolo funziona, secondo Variety no.
Sembra lontanissimo il tempo in cui Google non voleva essere una media business company ma occuparsi solo di tecnologia. Le cose sono cambiate. Dal 2000 Google inizia a vendere annunci pubblicitari associati alle parole chiave. Oggi, o più precisamente l’11 novembre, Google ha modificato i termini di servizio, e dispone del diritto di vendere foto di adulti (noi), di nomi profilo (nostri), e dei commenti in recensioni e pubblicità che abbiamo fatto.
No, non ci ha mai chiesto il permesso. Proprio come l’attività di Facebook anche quella di Google Plus sarà utilizzata per pubblicizzare e supportare prodotti, mostrando alla tua rete sociale ciò che ti piace o hai recensito. Per Facebook e Google le tue interazioni non ti appartengono. Non sono veramente tue. Anche quelle su YouTube. Quello che guardi, commenti e ti piace è tutto potenzialmente pubblicizzabile.
«Ci hanno dato un sacco di spazio per fare un gran casino». No, non sono Larry Page e Sergey Brin che commentano il loro strapotere tra le media co lo ha detto Spike Jonze.