A Pisa record di trapianti di fegato

Rubrica Scienza&Salute

La storia dei trapianti inizia molti anni fa, all’inizio del 1900, quando Alexis Carrel, un chirurgo e biologo francese premio Nobel per la Medicina, mise a punto una tecnica per congiungere due vasi sanguigni. Da quel momento iniziarono una lunga serie di studi che nel 1954 portarono al primo trapianto di rene (tra gemelli identici, quindi da donatore vivente), grazie al professor Murray. Negli anni a seguire la tecnica venne perfezionata portando anche ai primi esperimenti da donatore cadavere e solo negli anni ’60 si ebbero i primi trapianti di fegato, polmone, pancreas e cuore. Dal 1963, anno in cui Thomas Earl Starz, eseguì il primo trapianto di fegato, fino al perfezionamento della tecnica sono passati ancora molti anni e studi, soprattutto mirati al controllare del rigetto d’organo. Oggi il Centro trapianti di Pisa, ha raggiunto un primato di tutto rispetto: a fine novembre i trapianti effettuati da questo centro erano arrivati a quota 1500. Inserendolo di fato tra le eccellenze nazionali e internazionali.

Ma quel è il segreto di questa eccellenza italiana? «La donazione – risponde a Linkiesta Franco Filipponi, direttore dell’Unità operativa di Chirurgia epatica e trapianti di fegato, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana – elevatissima in Toscana, praticamente il doppio della media nazionale. Questo è un punto chiave, perché ovviamente senza donazioni non si fanno trapianti». Nato nel 1996, dopo un iniziale periodo di training con Rafael Matesanz, direttore dell’Organizzazione nazionale trapianti spagnola (la massima autorità in tema di donazione e trapianto), oggi  il centro esegue una media di 100 trapianti l’anno, 114 finora nel 2013. Al pari dell’ospedale Molinette di Torino, altra eccellenza italiana nel campo dei trapianti di fegato. «In Italia i centri che effettuano trapianti di fegato sono una ventina, di questi la metà non supera i 25 trapianti l’anno, mentre gli altri hanno una media che va dai 50 ai 90 trapianti l’anno, mai oltre i 100» continua Filipponi.

In Toscana ci sono circa 40 donazioni ogni milione di abitanti, un numero molto elevato quasi pari a quello della Spagna, prima Nazione al mondo per donazioni. In Italia ogni regione è autonoma e in ognuna di esse si trova un centro regionale di trapianto, una sorta di centrale operativa. «Il fegato viene offerto in prima battuta alla regione che genera questo dono – spiega Filipponi –poi ovviamente ogni tanto ci sono delle urgenze anche in altre regioni e cediamo il fegato che poi ci viene restituito. Ma nella maggior parte dei casi la donazione viene usata in Regione». Il trapianto d’organo quindi riesce a essere elevato solo nelle regioni con un alto tasso di donazioni, e alcuni centri italiani, dove gli organi a disposizione sono pochi, faticano a restare aperti e a lungo andare sono destinati a spegnersi.

Una peculiarità del Centro pisano è di essere l’unico programma regionale di trapianto di fegato capace di assistere anche pazienti extra-regionali. Circa la metà degli assistiti provengono infatti da regioni limitrofe, la maggior parte dalla provincia di Napoli  (che ha un elevato tasso di richieste per ragioni epidemiologiche e condizioni igienico-sanitarie) ma anche dalla Puglia, Calabria e Liguria. Per quanto riguarda queste ultime regioni Filipponi spiega che «la Liguria ha il proprio centro trapianti chiuso da sei mesi, e perciò cerchiamo si supportare questa situazione; mentre la Calabria, che ha 1 milione e 800mila abitanti è una regione piccola in termini di numeri e non ha un centro regionale di trapianti. Per cui supportiamo anche alcuni aspetti dei colleghi della regione Calabria».

Se il Centro di Pisa riesce a fornire un servizio simile, restando aperto 24 ore su 24 e riuscendo a eseguire anche 9 trapianti in una settimana, lo deve anche all’elevato ricambio di personale. In particolare il centro svolge anche un’azione di formazione: in questo momento oltre a Filipponi che dirige il centro, altri quattro chirurghi formati da lui sono operativi e quattro sono in formazione. «Non siamo legati a un solo chirurgo, come avviene nella maggior parte dei centri italiani e questo moltiplica la possibilità di trapianto perché si possono fare più momenti di sala operatoria – afferma Filipponi – un centro che voglia rimanere nel tempo non può avere un solo chirurgo in grado si eseguire il trapianto».

Oggi in Italia circa 9mila pazienti sono in lista d’attesa per un trapianto d’organo. Di queste circa 1000 aspettano un trapianto di fegato, e le iscrizioni sono circa il doppio.  Il tempo medio di attesa prima di ricevere un fegato è di circa due anni e il 7,3% degli iscritti muore prima di ricevere il trapianto. Nonostante i trapianti di fegato siano passati dai 685 del 1999 ai 1019-986 del 2011-2012 c’è ancora molto da fare, soprattutto per sensibilizzare i cittadini alla donazione (dati Associazione italiana per la donazione d’organi, tessuti e cellule, Aido).

In generale secondo il report 2011 realizzato dal Centro Nazionale Trapianti i donatori sono aumentati, le lista di attesa diminuite e  gli Italiani si confermano ai primi posti in Europa per le donazioni d’organo, con 21,7 donatori per milione di abitanti. Davanti a noi solo la Spagna con 29,2 donatori e la Francia con 22,8. 

Fra tutti gli organi fegato e rene sono quelli più richiesti. Il fegato però ha il vantaggio di poter essere impiantato anche se proviene da un donatore anziano, se è in buone condizioni. Lo stesso non si può dire per il rene o per il cuore, che vista l’età media della nostra nazione, in continuo aumento, è limitato a pochi numeri. «Il fegato resta uno degli organi più importanti, anche perché da qualche tempo si sta assistendo a una crescita esponenziale di fegati cirrotici. I nostri pazienti nella maggior parte dei casi sono persone che hanno superato i 50 anni e hanno un carcinoma  epato-cellulare» conclude Filipponi. «Ma stanno crescendo anche i casi di soggetti più giovani, che assumono alcol e compromettono la salute del loro fegato già in giovane età. Diciamo che stiamo riprendendo il vizio della Francia e della Spagna dove si fanno gli happy hour o i rave, e in questo modo si creano le basi per la cirrosi». 

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute

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