I confidi di Confartigianato delle province di Treviso, Verona e Belluno non esistono più. Si sono uniti in un organismo regionale, che oggi è la maggiore organizzazione di garanzia per le imprese in Veneto (superiore per dimensioni a quello che fa capo a Confindustria) e la settima a livello nazionale.
Per il litigioso Veneto è una novità: mentre nel resto d’Italia in un decennio i confidi si sono aggregati sempre più spesso, passando dai 450 dei primi anni Duemila ai 148 di oggi, nella regione del Nord-Est le realtà, almeno nel mondo di Confartigianato, erano rigidamente separate. E avevano minore forza contrattuale. «La motivazione della fusione è fare massa critica, e presentarsi davanti alle banche dicendo la nostra con più forza», commenta Mario Daniele Citron, artigiano di San Polo di Piave del settore termoidraulico, che guida il nuovo consorzio.
Il Consorzio Regionale di Garanzia per l’Artigianato (Crga), per la verità, esisteva già, ed era di “secondo grado”: vi aderivano tutti i confidi provinciali veneti e aveva il compito di tenere i rapporti con la Regione Veneto. Ora con la fusione è diventanto di primo grado, ossia in diretto rapporto con le aziende associate.
Sono rimasti fuori dalla fusione i confidi di Venezia, Polesine e Padova, che rimangono associati al Crga come prima. Del tutto autonoma è invece l’organizzazione di Vicenza. Ma l’obiettivo, aggiunge Citron, è di «avere un unico confidi regionale su tutto il territorio veneto».
Le divisioni tra i consorzi di garanzia del credito sono comunque ancora accentuate: se quelli artigiani di matrice sindacale (afferenti a Confartigianato, Cna, Claai, Casa) sono uniti in una federazione, chiamata Fedart Fidi, con le nuove “organizzazioni” l’ostilità è aperta. «I confidi di origine sindacale non hanno mai fatto della garanzia un business – commenta Citron, che è anche vicepresidente di Fedart -. Le commissioni sono basse e le perdite venivano sopperite con contributi pubblici. I confidi che non hanno matrice sindacale, invece, hanno tariffe molto più alte e speculano sulle imprese, proprio nel momento in cui hanno bisogno».
Gli effetti della crisi per le società garantite dai confidi (fonte: Crga)
Un altro motivo di polemica riguarda proprio i fondi pubblici, che sono quasi spariti. «Per molti anni la Regione, con i comuni, le province e le Camere di commercio, finanziavano i fondi rischi dei consorzi – attacca Citron -. Da tre-quattro anni, cioè proprio da quando sono aumentate le richieste di credito da parte delle imprese, le garanzie richieste dalle banche e le sofferenze, dalle istituzioni non arriva più niente, se non dalle Camere di Commercio».
Oggi la situazione economica in Veneto, vista da chi ha a che fare con i crediti delle aziende, appare tutt’altro che in risalita: «Non vedo segnali di ripesa – aggiunge il presidente del Crga -, nel settore delle costruzioni ma anche negli altri. L’impressione è che la crisi, all’inizio sentita soprattutto da noi piccoli, ora abbia colpito in pieno anche le medie imprese».
La battaglia è anche a livello nazionale. «Ci stiamo battendo perché sia più semplice accedere al Fondo centrale di garanzia. Oggi le pratiche sono molto complesse, fuori portata per le piccole imprese artigiane. Con la legge di Stabilità c’è stata una presa di coscienza da parte del Parlamento della necessità di ricapitalizzare il Fondo, che potrebbe essere un grandissimo supporto per la copertura delle eventuali perdite di aziende e confidi. Ogni decisione sui criteri di distribuzione è però in itinere e non si sa che piega prenda».
Dietro la fusione veneta c’è anche una spinta esterna. Oltre una soglia di operatività di 75 milioni di euro, scatta da qualche anno l’obbligo di trasformarsi in un soggetto vigilato dalla Banca d’Italia. I soggetti vigilati, chiamati “107” (dall’articolo 107 del T.U.B) hanno più oneri ma danno dei vantaggi alle imprese garantite, perché comportano un minor assorbimento del patrimonio di vigilanza delle banche stesse. Oggi sono una ventina tra i 148 confidi di artigiani esistenti.