Due milioni di italiani sono “diabesi”

Rubrica Scienza&Salute

Mai come in questi anni diabete e obesità hanno formato un binomio così stretto e consolidato. Tanto da portare l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a coniare un nuovo termine: la diabesità. In Italia le persone “diabese”, obese e affette da diabete, sono circa due milioni. Considerando che i diabetici in Italia sono circa 3,3 milioni appare evidente come quasi il 70% dei diabetici sia anche obeso, e come questi due fenomeni siano strettamente correlati, ed entrambi in aumento.

Nel 2012, secondo i dati Istat, un italiano su tre era in sovrappeso (circa 22 milioni di italiani) e uno ogni dieci obeso (6 milioni), con preponderanza per il sesso forte. Il 5,5% della popolazione italiana è invece affetto da diabete, con prevalenza maggiore nel Sud e nelle Isole dove raggiunge il valore di 6,2%, seguita dal Centro (5,5%) e dal Nord (4,9%). Percentuali che potrebbe salire se venissero inclusi anche i casi che soddisfano i criteri per la diagnosi di diabete, ma alla quale non è ancora stata fatta diagnosi (1-2% degli Italiani).

Dati: Italian Barometer Diabetes Report 2013 (diabete di tipo 2)

Appena dieci anni prima secondo l’Istat a soffrire di diabete erano il 3,7% degli italiani, e solo in Lombardia la prevalenza è cresciuta del 40% in sette anni. Secondo l’Oms «entro il 2030 il diabete rappresenterà in Europa la quarta causa di morte e contribuirà alla mortalità della popolazione più di quanto non facciano collettivamente AIDS, Malaria e Tubercolosi». Una vera e propria epidemia, il cui responsabile non è un virus o un batterio, ma in alcuni casi l’uomo stesso.

Il confine tra obesità e diabete è ormai talmente sfumato e la loro associazione così stretta da destare parecchie preoccupazioni, anche perché, come ha dichiarato Paolo Sbraccia, presidente eletto Società Italiana dell’Obesità (Sio) «di diabesità si muore. Il rischio di morte raddoppia ogni 5 punti di crescita dell’indice di massa corporea, il Bmi: un diabetico sovrappeso raddoppia il proprio rischio di morire entro 10 anni rispetto a un diabetico di peso normale; per un diabetico obeso il rischio quadruplica».

Dei 3,3 milioni di diabetici italiani il 10% è affetto dal diabete di tipo 1, che si presenta nei primi anni di vita ed è causato da una ridotta produzione di insulina da parte del pancreas. Il restante 90% presenta il diabete di tipo 2, la forma più comune che si manifesta dopo i 40 anni. Nel diabete di tipo 2 le cellule dell’organismo diventano meno sensibili all’insulina, per cui assorbono più lentamente il glucosio, utilizzato al loro interno come fonte energetica. Lo zucchero rimane così libero di circolare nel sangue alzando la glicemia e causando gravi conseguenze ai più svariati organi. Tra le cause di quest’ultima forma ci sono diversi fattori di rischio, come la familiarità, la pressione alta, l’elevata quantità di grassi nel sangue, lo stile di vita sedentario e l’obesità. Le complicanze del macro e microcircolo a lungo andare possono portare a cecità e glaucoma, insufficienza renale, difficoltà di cicatrizzazione, ulcere agli arti inferiori (soprattutto piedi) e complicanze cardiovascolari. Chi soffre di diabete ha, infatti, il doppio delle possibilità di avere un infarto rispetto a una persona sana.

Secondo i dati dell’Italian Barometer Diabetes Report 2013, ogni minuto nel nostro Paese viene effettuata una nuova diagnosi di diabete, ogni 3 minuti e mezzo un diabetico ha un attacco cardiaco e ogni dieci un diabetico muore. Dati allarmanti che in parte si spiegano con l’invecchiamento della popolazione. Soprattutto in Italia l’età media è sempre più alta e la fascia di persone oltre i 65, quella più a rischio, si sta allargando. Ma questo non è l’unico motivo, complici sono anche le cattive abitudini alimentari e lo stile di vita sedentario che stanno portando a un aumento dell’obesità. La conseguenza è che il diabete di tipo 2 aumenta sia nelle persone sopra i 65 anni di età ma anche in quelle fasce della popolazione prima considerate poco a rischio. Tanto da iniziare a comparire anche fra i più giovani e gli adolescenti fino agli anni ’90 praticamente immuni,  soprattutto in America dove il problema dell’obesità è più consistente. Anche in Italia però la situazione “sovrappeso”  non è delle migliori: secondo i dati raccolti dal Ministero della Salute nelle scuole primarie, attraverso il programma “Okkio alla salute” il 22,2% dei bambini è risultato in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità, con percentuali più alte nelle regioni del centro e del sud. L’unico dato positivo è che la tendenza sembra in leggero calo rispetto gli anni precedenti.

Un’altra conseguenza è che una malattia con una prevalenza così elevata e numerose complicanze ha un impatto notevole anche dal punto di vista economico: in media ogni malato spende 2600 euro l’anno per la sua salute, più del doppio rispetto ai concittadini senza diabete, incidendo per lo 0,29% sul Pil. «Sono costi pesanti, ma comunque più bassi rispetto Germania, Francia, UK e Spagna – si legge nell’Italian Barometer Diabetes Report 2013 – ed è estremamente importante sottolineare che di questi 2600 euro solo il 7% deriva dalla spesa per i farmaci, mentre il 25% è legato ai costi delle complicanze cardiovascolari, renali, oculari e neuropatiche (si calcola che il costo per i pazienti che presentano complicanze sia addirittura quadruplo rispetto ai pazienti non complicati) e una fetta ancora più cospicua è relativa alle ospedalizzazioni per diabete (circa il 20% delle persone in ricovero ospedaliero sono affette da questa patologia)».

Cosa fare è ormai noto da tempo, esercizio fisico, attività motoria e una corretta alimentazione sono gli strumenti più efficaci che abbiamo in mano. Occorre perciò attuare delle politiche di prevenzione della diabesità, promuovendo l’attività fisica a scopo salutare. La conferma di quanto ribadito da anni da diversi studi scientifici è arrivata lo scorso ottobre, quando sul British Medical Journal è stata pubblicata una meta-analisi (studio che analizza più studi scientifici) che ha riguardato oltre 300 mila persone e ha dimostrato che l’esercizio fisico è efficace, in termini di riduzione della mortalità cardiovascolare o legata al diabete, quanto il trattamento farmacologico.

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute