La Commissione dei 50 ha concluso la discussione della Costituzione egiziana che sarà sottoposta a referendum il prossimo gennaio. Il testo sostituirà la Carta voluta dagli islamisti e approvata nel dicembre 2012 con un referendum che ha visto una scarsissima partecipazione. Con mesi di ritardo rispetto alla serrata roadmap, annunciata dopo il colpo di stato del 3 luglio scorso, e poche settimane dopo la fine dello stato di emergenza, questo primo passo verso le elezioni si compie tra non poche incognite. Il testo definitivo sarà ora trasmesso dalla Commissione per le riforme al presidente pro tempore Adly Mansour.
La precedente Costituzione era stata definita da molti esperti «anti-moderna», soprattutto per lo spazio accordato alla legge islamica nel diritto ordinario. Non solo, il lavoro dei Costituenti, già segnati dalle spaccature tra islamisti e laici, era stato piuttosto accidentato per via dello scioglimento del parlamento del luglio 2012.
Ma cosa cambia con il nuovo testo? «In un contesto rivoluzionario non c’è mai una costituzione rivoluzionaria», commenta a Linkiesta Zaid Al Ali, costituzionalista dell’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale (Idea), con sede al Cairo. «Per questo nel nuovo testo non ci sono cambiamenti rilevanti». Restano tuttavia alcuni punti controversi e che riguardano le prossime tornate elettorali. Il tema ha diviso la Commissione e fatto slittare l’approvazione definitiva.
Nel testo finale è previsto che sarà il presidente ad interim Adly Mansour a decidere se le presidenziali precederanno le elezioni parlamentari. Non solo, il voto dovrà tenersi entro sei mesi dal referendum costituzionale, prolungando di fatto la transizione voluta dai militari con un governo non eletto. Tuttavia, molti politici laici hanno accolto favorevolmente questo slittamento, sottolineando la necessità di fornire più tempo ai partiti secolari per organizzarsi in vista del voto. In precedenza, soprattutto i movimenti liberali, vicini a Mohammed el Baradei, avevano criticato procedure elettorali affrettate.
Tuttavia, la nuova tabella di marcia elettorale ha attirato le critiche dei movimenti islamisti e soprattutto del partito Libertà e giustizia, emanazione politica della Fratellanza islamica bandita dal nuovo governo. Gli islamisti hanno assicurato di «non volere avere nulla a che fare con la roadmap dell’esercito». Ma il movimento è particolarmente preoccupato per l’articolo che mette al bando i partiti basati sulla religione e che potrebbe portare alla permanente esclusione politica della confraternita.
Secondo alcuni attivisti liberali invece il testo in parte riformerà il diritto penale egiziano, introducendo il reato di tortura e prevedendo maggiori protezioni per le donne da atti di violenza. Tuttaviai privilegi di polizia e militari non vengono toccati, anzi in alcuni casi sono rafforzati. La nuova Costituzione continua anche a permettere i processi militari contro i civili, senza limitarne il ricorso a specifici reati. Questo era già avvenuto tra l’11 febbraio 2011 e il 30 giugno 2012, quando a detenere il potere era il Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf). Inoltre, è l’esercito a nominare il ministro della Difesa. Infine, nella nuova Costituzione non ci sono miglioramenti nella difesa dei diritti delle minoranze, mentre la libertà di credo viene definita «assoluta» piuttosto che «protetta» ed è demandata alla legge ordinaria.
La legge anti-proteste
Mentre la Commissione dei 50 approvava il testo definitivo in diretta televisiva, le strade egiziane venivano segnate da nuove contestazioni in merito alla legge anti-proteste. I rivoluzionari hanno annunciato un ultimatum di cinque giorni al governo, limite entro il quale cancellare la legge anti-proteste, procedere con le dimissioni del ministro dell’Interno, Mohammed Ibrahim, e stabilire il divieto di processi militari ai civili.
Il testo della nuova norma è stato appena approvato in via definitiva e richiede il permesso del ministero dell’Interno con tre giorni di anticipo per ogni assembramento con più di dieci persone. Non solo, d’ora in avanti saranno proibiti gli assembramenti alle porte dei luoghi di culto. Secondo i contestatori, le nuove norme in vigore sono più severe della legislazione sulle manifestazioni vigente durante il regime di Mubarak, e sono di fatto la prosecuzione dello stato di emergenza indetto dopo il colpo di stato e da poco sospeso.
In riferimento alla nuova legge, la polizia può proibire e disperdere ogni manifestazione che non sia stata approvata. Sono state poi inasprite le pene per violenze durante le manifestazioni, per cui sono ora previste condanne anche fino a sette anni, mentre si è passibili di arresto per un anno in caso di manifestazione davanti a luoghi di culto. Chiunque partecipi a proteste non organizzate può incappare in una multa pari a 800 euro (lo stipendio medio di un egiziano è di 200 euro al mese).
Una delle vignette che circolano sui social network in questi giorni. Questa è di Habib Haddad. Si legge in alto, da sinistra a destra: Da Hosni…a Morsi…ecc…
Contro la legge sono iniziate immediatamente manifestazioni non autorizzate a oltranza, alle quali hanno preso parte i sostenitori della Campagna contro i processi militari, guidata dall’attivista Mona Soueif (il movimento è erede dell’iniziativa contro la giunta militare del 2011), e anche alcuni fondatori di Tamarrod (rivolta), iniziativa che ha chiesto le dimissioni dell’ex presidente Morsi nella manifestazione dello scorso 30 giugno 2013. Mentre le Associazioni universitarie per la libertà di espressione hanno definito questa fase come la «peggiore dal 25 gennaio 2011». Le manifestazioni negli atenei egiziani, soprattutto in alcune città del Delta del Nilo, sono state oggetto di dure repressioni negli ultimi giorni.
Attivisti come Alaa Abdel Fatteh e il cofondatore del movimento 6 aprile, Ahmed Maher, ne hanno pagato le conseguenze per primi. Sono stati arrestati per «incitamento dei manifestanti alla violazione della legge». In particolare Alaa Abdel Fatteh era già stato oggetto di arresto nei giorni dello scontro di via Mohammed Mahmoud del novembre 2011, quando l’attivista venne tenuto in prigione per settimane, mentre la sua famiglia protestava e sua madre avviava lo sciopero della fame. Alaa è stato sottoposto a custodia cautelare per quindici giorni a causa della manifestazione della scorsa settimana alle porte della Camera alta (Shura).
Nella vignetta: In alto a destra: Democrazia
Il segno al centro: Costituzione
A sinistra: Non si sa quando arriva questo bus?!
Anche gli islamisti stanno protestando contro la legge. Molte manifestazioni dopo le preghiere del venerdì sono state disperse perché non autorizzate. Piazza Tahrir è stata di nuovo recintata da ferro spinato e chiusa al traffico prima della marcia di 2000 islamisti verso il simbolo dei movimenti del 2011 Mentre è stata dichiarata l’allerta sicurezza a Suez, Ismailia, Port Said, Beni Suef e Alessandria. Scontri tra sostenitori dei Fratelli musulmani e negozianti hanno avuto luogo anche nel governatorato di Giza e nelle città del Delta Mahalla e Qena. Proprio a Giza, all’interno dell’Università del Cairo è stato ucciso uno studente islamista che chiedeva il ritorno di Morsi, lo scorso giovedì. Infine, una marcia di centinaia di pro-Morsi è partita dalla moschea Aziz Bellah nel quartiere popolare Zaytoon. Mentre ad Alessandria i manifestanti islamisti brandivano le foto delle 21 giovani sostenitrici dei Fratelli musulmani condannate a 11 anni perché affiliate ad un «movimento terroristico».
Lo scandalo del trattamento delle detenute
Secondo la stampa locale, 26 donne, che erano state arrestate nelle proteste del centro del Cairo dei giorni scorsi, sarebbero state poi rilasciate nel deserto alla periferia della città. Tra loro la scrittrice Salma Seif. «Ci hanno spinto in una vettura della polizia, condotte in diverse località e abbandonate nel deserto sulla strada che conduce verso l’Alto Egitto», ha denunciato Salma.
E così le preoccupazioni per la nuova ondata repressiva sono state espresse anche dall’Alto rappresentate per la politica Estera, Catherine Ashton, al vice primo ministro Ziad Bahaa Eddin. Ashton si è detta amareggiata per la transizione democratica in Egitto annunciando una serie di misure di sostegno finanziario. «Sono preoccupata per la dispersione violenta delle manifestazioni durante la protesta contro i processi militari ai civili», ha detto Ashton. Anche il portavoce del dipartimento di Stato, Jen Psaki, ha confermato che le critiche evidenziate dalla società civile egiziana in merito alla legge anti-proteste sono «condivisibili» e la norma «non porterà il Paese verso la democrazia». Secondo Human Rights Watch, la legge darà alla polizia carta bianca per proibire le manifestazioni.
La nuova transizione egiziana appare particolarmente incerta e accidentata. Così come la Costituzione del 2012 veniva duramente criticata dai laici, il nuovo testo non è frutto di un percorso di dialogo nazionale: questa volta sono stati gli islamisti a essere esclusi dalla stesura della nuova Carta fondamentale. Inoltre, la Commissione che ha riscritto la Costituzione è stata nominata dal presidente ad interim e non eletta direttamente dagli egiziani o scelta dai parlamentari, come avvenuto in precedenza Questi limiti del nuovo corso potrebbero provocare nuove contestazioni, mentre le libertà di protesta vengono duramente messe alla prova dall’accordo tra esercito e polizia.