Il dibattito sul costo delle rinnovabili non è nuovo né destinato a esaurirsi. Sebbene tutti si dichiarino d’accordo nel promuovere il ricorso alle rinnovabili (fanno bene all’ambiente, dovrebbero creare innovazione e posti di lavoro, ridurre la dipendenza energetica), altri argomenti godono di assai minor consenso: qual è il giusto prezzo da pagare per raggiungere gli obbiettivi di policy, e chi deve sostenerne il costo. Qualsiasi scelta ha sempre dei costi: i pasti gratis non esistono, per dirla con Milton Friedman. In un momento di crisi come questo – dove i vincoli di bilancio di famiglie, stato e imprese sono più stringenti – si rivedono le priorità. Abbiamo già rinunciato alle Olimpiadi – che sia arrivato il momento di rinunciare alle rinnovabili?
Esauriti gli incentivi destinati al fotovoltaico, il dibattito si sta spostando agli incentivi alle fonti tradizionali, i quali prendono forma di remunerazione della capacità. Questi incentivi riconoscono il ruolo degli impianti tradizionali nel garantire la continuità di fornitura di energia elettrica. Per esempio: quando c’è sole e vento le rinnovabili riescono a soddisfare la domanda. Quando invece gli elementi meteo non sono dalla parte dei rinnovabili (di notte con calma piatta), i “tradizionali” devono entrare in funzione. Il problema è che i tradizionali, se devono funzionare solo quando ce n’è bisogno, non raggiungono la sostenibilità economica. Si pensa quindi di remunerare i tradizionali per la capacità di generazione che rendono disponibile, e che può essere attivata in base alla necessità.
Inevitabile quindi, che si apra più in generale un dibattito sul mercato elettrico, sulla determinazione del prezzo elettrico e quindi sui funzionamenti stessi della borsa elettrica. Così come correttamente inquadrato su Linkiesta nei recenti articoli di Stefano Casertano e di Michele Governatori. A nostro avviso, l’imprevista congiuntura e le nuove condizioni di contesto pongono ormai questioni sistemiche che ben difficilmente possono essere risolte con chirurgici interventi o (classici) colpi di mano, eventualmente con un emendamento in Finanziaria – come pure si sta tentando di fare.
Il processo di liberalizzazione avviato in Europa da ormai tre lustri si è sempre concentrato nell’introduzione di regole volte a garantire lo sviluppo della concorrenza, anche attraverso l’ingresso di nuovi operatori. A un quadro normativo favorevole ai nuovi entranti nei primi anni Duemila si è sommata la crescita notevole e repentina del vettore elettrico. Se nel 2003 si registrava una potenza installata di 76.950 MW, nel 2008, anche in seguito al cosiddetto decreto sblocca centrali, la potenza installata era già salita a 98.625 MW per arrivare a 124.233,6 MW nel 2012 con un notevole contributo dal 2008 delle fonti rinnovabili, in particolare del fotovoltaico che da solo ha contribuito per 18 GW.
Negli ultimi 40 anni non si era mai assistito ad un così sostenuto incremento di potenza, mai si erano riscontrate accelerazioni paragonabili a quelle viste dopo il 2003, con il gas a tirare la volato degli impianti termoelettrici e, a partire dal 2006, con un ulteriore slancio negli anni successivi, per le nuove rinnovabili.
Potenza efficiente lorda totale Italia (in MW) – Fonte: Terna
Il problema è che tale crescita è avvenuta in un contesto in cui la domanda è stabile/in calo dal 2005.
Un secondo punto riguarda il modo in cui si forma il prezzo in un mercato liberalizzato, e questo porta a riflettere su alcune domande:
- Da chi è composta l’offerta (quali e quanti soggetti, quali fonti di produzione)?
- Come si compone la domanda (quali e quanti soggetti)?
- Quanto è competitivo e contendibile il mercato?
- Quanto è “liquido” il mercato?
- Come coniugare logiche di libero mercato con la presenza di soggetti come i produttori di fonti rinnovabili che hanno costi marginali di produzione uguali o molto vicini a zero e che in più sono sottoposti a prezzi amministrati (tariffe/premi)?
Siamo di fronte ad un malato di cui ben conosciamo l’anamnesi, siamo abbastanza concordi sulla diagnosi (la crisi dei prezzi marginali), forse un po’ meno sulla prognosi (chi si salverà?), ma di certo non abbiano ancora ben deciso la cura.
Il mercato così come era stato disegnato negli anni ’90 con le liberalizzazioni non sembra più essere adatto a una situazione di generazione diffusa, in cui le aree di “non mercato” si allargano. Incentivi e corettivi riguardano sempre più settori: dal CIP 6/92 agli impianti essenziali, dalle Reti interne di utenza (Riu) agli impianti ad olio remunerati in attesa di un’emergenza, dai sistemi efficienti di utenza (Seu) alle cogenerazioni con annesso teleriscaldamento, alle reti isolate alimentate da rinnovabili.
Nel medio/lungo periodo questo avrà la conseguenza di restringere la platea dei consumatori che pagano gli oneri di sistema con cui si finanzia la rete e si pagano gli incentivi. Come si sosteranno gli investimenti nella rete? Cosa rimarrà alla libera concorrenza nel mercato della generazione? Citando l’economista John Kenneth Galbraith, «così come vi è molto del passato in ciò che è presente, così vi è anche molto del presente in ciò che sarà nel futuro».