Probabilmente ci siamo sbagliati ancora una volta: non è vero che l’Italia è rabbiosa e repressa, desiderosa di protestare di urlare la sua rabbia. O perlomeno non lo è abbastanza, o forse – e sarebbe meglio – non lo è a tutti i costi. Probabilmente questa è una buona notizia, o potrebbe esserlo. Malgrado i pronostici della vigilia – infatti – non c’è stato nessuno scontro a Piazza del Popolo, nel giorno dei Forconi, nemmeno un sassolino tirato per sbaglio. Probabilmente vi sembrerà uno scherzo, eppure – sempre ieri – si è scoperto che l’assessore alla cultura dell’Abruzzo Luigi De Fanis (indagato, fra l’altro per tangenti) aveva messo nero su bianco in un contratto con la sua segretaria che, per almeno quattro volte al mese, la malcapitata fosse tenuta a fare sesso con lui per uno stipendio di 1.200 euro. Non c’è nessun legame, se non temporale, tra queste due notizie: ma è simile il clima che descrivono, quello di un Paese in cui tutto è possibile, e dove pochi – al governo e all’opposizione – sono all’altezza della sfida, un Paese dove la rabbia e la rassegnazione sono due stati d’animo che non si elidono l’uno con l’altro, ma che piuttosto confinano tra di loro.
L’impressione è che nella manifestazione in cui i forconi si sono sgonfiati come un soufflé, ieri non abbia vinto la serenità ma l’indifferenza: il pittoresco show di Roma in cui sul palco si è sentita pronunciare qualsiasi cosa, non è stato la prova che l’angoscia di un Paese si è finalmente sopita, magari perché ha trovato delle risposte, ma solo che non si è manifestata, perché non erano poste bene le domande. C’era più fila a via del Corso per lo struscio natalizio che in piazza per sentire il comizio di Danilo Calvani.
Per quanto possa sembrare strano, l’Italia continua ad essere un Paese sofisticato, in cui anche chi è contro ha delle aspettative di livello: nei mesi scorsi è stata giudicata non all’altezza la classe dirigente del Palazzo, ieri è stata giudicata non all’altezza anche quella della piazza. E forse l’occasione l’hanno persa proprio i rappresentanti del movimento 9 dicembre, che in una sola settimana sono riusciti a scindersi in due su questioni tattiche o personalistiche. Allo stesso modo, l’ennesima grottesca vicenda di malcostume, quella della segretaria a luci rosse dell’assessore, che ora si difende spiegando «facevo come tutte, sono stata costretta», ci dice che non si estinguono i motivi di rigetto e sfiducia verso la politica.
Insomma, dire “Tutti a casa!”, e magari gridarlo in una delle più belle piazze di Roma in una sorta di Hyde Park all’amatriciana, privo di congiuntivi e di sintassi, non basta. I forconi scissionisti, o i semiforconi di Calvani, sembrano una versione low cost del grillismo, e hanno perso un’occasione. I forconi “doc” che si sono sfilati per timore della violenza sono stati prudenti, ma pagano un prezzo di consenso per essersi tirati fuori: non puoi essere forcone in guanti di velluto. Alla fine gli italiani chiedono, anche ai più estremi contestatori, di avere perlomeno delle parole d’ordine più credibili del semplice “Tutti a casa”. Altrimenti è meglio lo shopping natalizio.