Grazie a immigrati di ritorno, nasce Slow Food Albania

Da lavapiatti a chef stellati

«Mangia locale, pensa globale». Sono le parole di Altin Prenga, noto chef albanese al TEDxTirana, la più famosa conferenza internazionale sull’innovazione. Proprietario di uno dei ristoranti più in voga dei Balcani, Prenga è anche uno dei paladini del consumo consapevole e della difesa delle specificità culturali nel settore agroalimentare. Arrivato in Italia a vent’anni, negli anni dell’immigrazione albanese di massa, inizia lavorando come lavapiatti in un ristorante trentino stellato Michelin. Dodici anni dopo apre il suo locale, Mrizi i Zanave (letteralmente «ombra delle fate») a Lezhe, a un paio di ore dalla capitale Tirana, il primo in Albania col timbro Slow Food.

Anche a causa della crisi, in Italia il fenomeno dell’immigrazione di ritorno assume contorni sempre più netti. Se infatti tra il 2002 e il 2011 (dati Istat) 175mila stranieri hanno cambiato residenza, c’è anche chi è andato via cercando di mettere in pratica le conoscenze acquisite. Dando vita a una folla di piccoli imprenditori grazie all’esperienza, ai riferimenti culturali e ai trucchi appresi nel Belpaese.

Simile a quella di Altin è la storia di Alfred Marku. Emigrato a sedici anni, anche lui inizia come lavapiatti. Anni dopo prenderà le redini dell’agriturismo Val d’Egoi di Tremosine, nel Bresciano. «Ero uno dei tanti», scrive sul suo sito, «ma ostinato e ambizioso». Oggi è tornato a casa e il suo ristorante Rapsodia, a Shengjin, a un’ora da Tirana, è uno dei più amati del nord dell’Albania e vanta le migliori recensioni del Paese.

Quello dell’agroalimentare è in effetti un settore che, per varietà e tradizione dei prodotti, rende il Paese delle Aquile molto simile al nostro. Grazie a un clima mite che ha reso facile la coltura di ortaggi, frutta, olive, e complici le molteplici influenze culturali, la cucina albanese è vasta e variegata. Ecco perché proprio qui è facile declinare la filosofia “pertiniana”, tutta votata al rispetto di tradizioni centenarie e al benessere di piccoli allevatori e coltivatori.

Inoltre qui circa un quinto del Pil proviene dall’agricoltura e buona parte della popolazione vive ancora in aree rurali. A credere nella valorizzazione delle eccellenze gastronomiche locali come volano dell’economia e del turismo è Giorgio Ponti del Cesvi, ong che storicamente lavora nel centro sud del Paese dal 1997. Qui è riuscito a indirizzare interventi di sviluppo rurale, agroalimentare e ambientale. «Questo territorio», racconta, «ha una vocazione per il turismo enogastronomico. Non è pensabile creare occupazione, lottare contro l’emigrazione delle eccellenze e la fuga dei cervelli se non intervenendo in settori che facciano parte del contesto del territorio».

Per questo ha contribuito a creare il convivium Slow Food di Permet, che attualmente conta quindici soci e raggruppa ristoratori, hotel, produttori e attori locali di diversa provenienza: «Oltre a promuovere il territorio, il convivium garantisce in una certa forma la salvaguardia di prodotti e saperi che si andrebbero a perdere nel tempo». E se il nuovo premier Edi Rama, ex sindaco socialista di Tirana, è riuscito l’ottobre scorso a strappare alla Commissione europea un sì allo status di candidato all’Ue dell’Albania, è probabile che il sostegno alle politiche agrarie non mancherà da parte sua. Giorgio Ponti non ha dubbi: «Sicuramente il cambio politico darà un impulso a tutto il Paese. Sarà una spinta verso politiche agrarie di livello e di sostegno alla produzione, anche in vista dell’adesione all’Ue».

D’altro canto c’è anche chi, come Michele Rumiz di Slow Food International, avanza il dubbio che l’ingresso in Europa dell’Albania possa comportare il rischio di «livellare diversità e specificità per la paura dei piccoli produttori di certificazioni troppo costose e di vischiosità burocratiche». Ma Ponti insiste sulla necessità del processo di standardizzazione e normalizzazione del settore. «A oggi è quasi tutto informale ma è necessario che regole precise vengano rispettate al fine di garantire veramente la sicurezza alimentare». 

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