Per le banche si chiamano “criteri di Basilea III”, per il mondo del calcio “criteri del Fair Play finanziario”. Il grado di tensione che provocano nella prima linea dirigenziale, sia di banche che di club, è simile, ma con obiettivi diversi. Nel caso degli istituti di credito il rafforzamento patrimoniale vuole difendere la stabilità del sistema e dei creditori, nel calcio vuole salvaguardare l’equilibrio della competizione. Senza nessuno slancio di altruismo verso le tasche dei Paperoni che governano le squadre. Dopo anni di deficit monstre, dal 2012 al 2014 le società potranno presentare ancora un disavanzo, ma non superiore ai 45 milioni di euro, dal 2015 al 2017 il «rosso» in bilancio dovrà scendere fino a 30 milioni, per poi nel 2018 non superare i 5 milioni di euro. Pena, tra le altre cose, l’esclusione dalle coppe europee.
Ma se nel mondo delle banche qualcuno ha adottato artifici contabili o rivalutato le quote di Bankitalia (congelate dal 1936) per rispondere meglio all’asset quality review della BCE, nel mondo del calcio qualcuno sta provando un doppio passo simile, aumentando i ricavi da sponsorizzazioni in modo verosimilmente artificiale. L’esempio più recente e più contestato è quello del Paris Saint Germain, in mano allo sceicco del Qatar Al Thani, che ha approvato qualche mese fa una sponsorizzazione retroattiva al 2012 da 150 milioni di euro circa a stagione (a salire fino ai 200 del 2016) che ha aggiustato il bilancio facendo segnare una perdita di soli 5 milioni. Fin qui tutto bene, se non fosse che la commessa è arrivata dalla Qatar Tourism Authority, ovvero l’ente del turismo di Doha. Di una monarchia costituzionale dove si presume che l’emiro abbia una qualche influenza, se non il controllo diretto, di tutte le attività statali. L’operazione sembra né più né meno di un aiuto di Stato. Come quelli che il Governo Letta sta tentando in tutti i modi di dribblare nell’operazione di salvataggio di Alitalia. La nota dolente, e ancora poco chiara, del Fair Play finanziario voluto dal presidente Uefa Michel Platini è proprio questa: chi garantisce che gli sponsor non siano in realtà parti correlate travestite da presunti sconosciuti?
La notizia della maxi sponsorizzazione maturata all’ombra della Tour Eiffel ha gettato scompiglio e una buona dose di sconforto nel mondo del calcio italiano che, in un clima di scarsità di risorse, si mantiene in equilibrio con difficoltà tra riduzione dei costi e ricapitalizzazioni straniere. Una fonte interna al Cda Milan ha sottolineato a Linkiesta che sul tema sponsorizzazioni non si è capito pressoché nulla. I dirigenti italiani brancolano nel buio. Chi può decidere se un accordo da 150 o 200 milioni di euro è o non è a fair value? Qual è il benchmark, chi ha fissato i parametri? L’impressione che hanno i massimi dirigenti del calcio nostrano è che i giudizi dell’Uefa saranno di merito e non si muoveranno entro parametri e numeri rigidi.
Ma l’abbattimento dei costi, una migliore gestione dei giovani e il tentativo di aumentare marginalmente i costi, non possono comunque competere ad armi pari con i petroldollari.
La Uefa ha già iniziato la fase di monitoraggio dei bilanci 2011-2012/2012-2013 e le prime sanzioni saranno emesse solo nella primavera del 2014 e verranno applicate a partire dalla stagione 2014-2015. Il grado di sicurezza è massimo e per il momento non trapelano notizie di indagini su grossi club, ma il Paris Saint Germain è tra gli indiziati numero uno.
L’organo che governa il calcio europeo ha risposto con grandi rapidità e in maniera ufficiale alle domande poste da Linkiesta, che hanno preso spunto dai dubbi sollevati durante lo scambio di battute con il consigliere del Milan. Eccole:
LK: Chi si occupa, e in base a quali criteri, di stabilire se uno sponsor in realtà sia una parte correlata al club?
UEFA: I ricavi da sponsorizzazioni fanno parte dei ricavi rilevanti e sono pertanto inclusi nel calcolo del pareggio di bilancio. Questa regola vale per tutti le sponsorizzazioni concluse a condizioni di mercato e con parti non correlate.
È l’Organo Uefa di controllo finanziario dei club (CFCB) ad occuparsi di verificare se e quali transazioni sono state concluse con delle parti correlate.
Dai petroldollari ai gasrubli la sostanza non cambia. L’altro caso eclatante è quello del Monaco allenato da Claudio Ranieri che, appena promosso in Ligue1, ha comprato pezzi da 90 come Falcao, Rodriguez e Moutinho, per un totale di 130 milioni di euro solo di cartellini. I fondi li ha garantiti il neo proprietario Dmitry Rybolovlev, attualmente 119° nella classifica elaborata da Forbes sugli uomini più ricchi del pianeta. Tutto lascia intendere che, per una squadra del Principato di Monaco che arriva dalla Serie B francese e che ha ancora ricavi contenuti, la campagna acquisti porterà ad un buco di bilancio che potrebbe precludere l’iscrizione alle prossime coppe europee.
Il Paris Saint Germain invece in Champions League sta già giocando e si è qualificato con discreto anticipo agli ottavi di finale. Un ruolo decisivo l’ha avuto Zlatan Ibrahimovic acquistato nell’estate 2012 per 21 milioni di euro dal Milan. E poi ancora Thiago Silva, acquistato dai rossoneri per 42 milioni sempre nello stesso anno. Oppure Edinson Cavani strappato al Napoli per 64 milioni la scorsa estate. Ma bisognerebbe aggiungere anche i 26 milioni di Lavezzi e i 40 del brasiliano Lucas. E non sono tutti.
Oltre 200 milioni di euro spesi nell’ultimo biennio (escludendo il monte ingaggi, decollato con contratti come quello di Ibra da 15 milioni netti a stagione). Non male per un club che nel 2011, prima dell’arrivo dello sceicco Al-Thani, fatturava 100 milioni scarsi e che li ha raddoppiati nel 2012 proprio grazie alla sponsorizzazione con l’ente del turismo di Doha.
La squadra di Laurent Blanc, prima in classifica in Ligue1, potrebbe essersi garantita un vantaggio competitivo, che sta già fruttando quest’anno. E alla grande. Ma le eventuali sanzioni arriveranno solo nei primi mesi del 2014. La curiosità è che potranno anche essere retroattive. L’ipotesi è più che remota, ma nel caso il club parigino quest’anno vincesse la Champions League e fosse dichiarato fuori dai parametri, la Coppa dalle grandi orecchie potrebbe essergli revocata.
Tutti discorsi che appaiono lontani anni luce dal nostro calcio. Perché né magnati arabi, né russi, si sono palesati. L’ultimo in ordine cronologico è l’indonesiano Thohir che ha già detto di voler rendere l’Inter un esempio di sostenibilità, puntando sui giovani e su un’idea di marketing più spinto e più internazionale. I tempi dei Moratti, dei bilanci ripianati per 60-70 milioni all’anno sono un miraggio. E comunque non sarebbero più in regola.
L’altro caso è quello degli americani capitanati da James Pallotta al vertice della As Roma: l’esercizio al 30 giugno scorso (2012/2013) è stato archiviato con una perdita di 40,1 milioni in calo del 31% rispetto al rosso di 58,4 milioni del precedente esercizio. Ma in una nota il management ha già sottolineato di aspettarsi per il 2013/2014 una ulteriore significativa perdita. C’è da immaginare che l’approccio dell’Uefa con la squadra di Rudy Garçia possa essere ruvido.
Ma per capire come il calcio italiano possa competere in Europa con i “nuovi ricchi”, vale la pena riportare l’ultima risposta ufficiale arrivataci da Nyon:
LK: Il calcio italiano, dal vostro osservatorio, può essere ancora competitivo in questo clima di risorse sempre più scarse?
UEFA: Il fair play finanziario deve servire da stimolo per l’introduzione di quelle riforme che permetteranno ai club italiani di accrescere la competitività sulla scena internazionale.
Le riforme. Un termine che ci perseguita. Ma se lo dice “Le Roi” Michel Platini suona comunque meglio rispetto a Olli Rehn.