Grazie a una strategia di sviluppo specifica, adeguato proseguimento dell’eredità storica di Mattei, Eni è il principale operatore petrolifero mondiale in Africa – ma l’Africa è anche la regione con i più gravi problemi al mondo per la sicurezza delle operazioni petrolifere.
Non c’è solo la traballante situazione in Libia a preoccupare Eni, ma anche la Nigeria (in questi due Paesi Eni concentra il 60 per cento della produzione complessiva). Qui la società perde circa 30 mila barili al giorno a causa di furti o sabotaggi. «Il bunkering è un problema chiave della Nigeria ed è uno dei motivi per il quale tutte le maggiori compagnie straniere stanno pensando di lasciare il Paese», ha detto alla Bbc Paolo Scaroni, auspicando che il Parlamento nigeriano possa intervenire al più presto per contrastare questi episodi. Per “bunkering” s’intende la pratica di rubare petrolio dalle pipeline di trasporto, rimuovendo tratti di condotta o perforando il tubi, con forte frequenza d’incidenti mortali. «In nessuna parte del mondo abbiamo il numero di oil spills che abbiamo in Nigeria. La verità è che la grande maggioranza di questi spills deriva da episodi di furti e di sabotaggi», ha dichiarato Scaroni.
Dietro al bunkering c’è ormai un’industria di contrabbando ben collaudata: «Eni, così come altre aziende petrolifere e in particolare la Total, deve fare i conti con gruppi di ribelli e di lotta armata che compiono sabotaggi e furti di greggio da rivendere, poi, sul mercato nero. Sono gruppi in grado di far arrivare il petrolio direttamente sulle petroliere in partenza dai porti nigeriani nel Golfo di Guinea», spiega a Linkiesta Marcello Colitti, ex dirigente Eni e grande memoria storica dell’azienda. Si tratterebbe di una vera e propria «agenzia illegale che saccheggia petrolio dagli impianti di produzione, dai tubi, dai depositi sottraendolo alle compagnie straniere ma anche all’economia nazionale».
Il petrolio viene rubato sfruttando la connivenza con esponenti del governo che consente alla criminalità di caricare il greggio sulle petroliere così da dirottarlo verso altri mercati. Per l’Economist si tratta di un network capace di far transitare i profitti illegali sulle principale piazze finanziarie da New York a Singapore, passando per Ginevra e Londra. Poi i capitali finiscono nei paradisi fiscali aggirando i controlli bancari.
Sostiene Colitti che «il governo centrale non ha la forza di opporsi. L’instabilità politica è troppo profonda e diffusa». Proprio questa instabilità ha favorito la nascita del “Mend”, quello che fino a qualche anno fa era il più organizzato e militarizzato dei gruppi di lotta armata del Delta del Niger e che nell’ultimo decennio ha creato seri problemi alle compagnie che operano nel Sud del Paese. Oggi sono diversi gruppi armati che lottano per costringere lo stato a una politica redistributiva che tenga maggiormente in considerazione i bisogni delle popolazioni locali. «I danni subiti hanno quasi spinto la francese Total ad abbandonare la Nigeria», fa notare Colitti. A giugno l’olandese Royal Dutch Shell aveva dichiarato di voler considerare la dismissione di alcuni asset produttivi onshore.
Ma nonostante i rischi e le perdite economiche la Nigeria è un “gigante petrolifero” che val bene affrontare, per riuscire a sviluppare una qualche collaborazione con la parte “nobile” dello stato e dell’economia. È il Paese più popoloso dell’Africa e ha una prospettiva di crescita pari al 6 per cento secondo un report della Banca Mondiale.
La Nigeria è caratterizzata da un contesto economico potenzialmente favorevole che però è costantemente danneggiato da violenze e corruzione. La produzione complessiva del 2013 è scesa a 1,9 milioni di barili al giorno dai 2,1 milioni del 2012, toccando il minimo degli ultimi quattro anni. Secondo gli analisti, il Paese starebbe sprecando circa 150mila barili al giorno. La Nigeria avrebbe perso circa 10,9 miliardi in vendite di petrolio dal 2009 al 2011. Nel 2011 Eni ha prodotto nel paese 160 mila barili al giorno; nel 2012 sono calati a 154 mila.
L’Eni ha più volte assicurato che nonostante i gravi problemi di ordine civile, non ci sono ripercussioni sull’approvvigionamento per l’Italia. Colitti è d’accordo. «Il problema riguarda il danno per l’economia nigeriana e per le compagnie petrolifere straniere che non vedono fruttare i propri investimenti». A novembre Eni ha comunicato che «il livello di produzione di idrocarburi su base annua è previsto in calo rispetto al consuntivo 2012 a causa dell’impatto dei fattori geopolitici, in particolare in Nigeria e Libia».
Nel terzo trimestre la multinazionale dell’energia ha visto la produzione complessiva di petrolio e gas calare del 3,8 per cento a 1,65 milioni di barili al giorno. Circa il 57 per cento del totale arriva dall’Africa. In proporzione, nessuna delle dieci principali major del petrolio, dipende così tanto dalla produzione africana. Eni è presente nell’Africa sub-sahariana dagli anni ‘60 ed è operativa in progetti di esplorazione e produzione in Angola, Congo, Ghana, Gabon, Mozambico, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Togo, Kenya e Liberia. Alla Reuters Andrea Scauri, oil invest di Mediobanca ha detto che lo storico legame con l’Africa “è uno dei maggiori problemi che il gruppo deve affrontare” e che mette Eni in una situazione di inferiorità rispetto ai competitor.
«Eni punta a trivellare 140 nuovi pozzi da qui al 2016 come parte di un ambizioso programma da 28 miliardi di dollari che la compagnia petrolifera spera rafforzi la produzione nei mercati africani», ha spiegato Luca Bertelli, vicepresidente esecutivo di Eni, nel corso di una conferenza su petrolio e gas in Africa. «Con i risultati ottenuti sinora nel 2013 siamo molto fiduciosi che raggiungeremo questo target», ha aggiunto durante il convegno organizzato lo scorso novembre da Global Pacific & Partners.
Bertelli ha dichiarato che Eni punta a spendere una media di 7 miliardi di dollari all’anno per sviluppare una serie di progetti in acque profonde in Nigeria, Ghana e Mozambico. Proprio in Mozambico, Eni ha scoperto un giacimento “giant” di gas naturale nell’area di Rovuma. Si tratta della più grande scoperta mai fatta dalla compagnia che potrebbe fornire 80 trilioni di piedi cubici di gas. Una risorsa inestimabile che però potrebbe essere messo a rischia dall’instabilità politica. Gli ex ribelli della Renamo, che oggi sono il principale partito di opposizione, minacciano il ritorno alla guerra civile.
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Una precedente versione di questo articolo riportava una produzione Eni per il terzo trimestre di 165 milioni di barili al giorno. Mancava una virgola rispetto al vero totale, di 1,65. Ce ne scusiamo con i lettori.