Investimenti al Sud: perché ogni regione fa storia a sé

Investimenti al Sud: perché ogni regione fa storia a sé

Qual è oggi l’immagine del Mezzogiorno per le imprese? La percezione delle regioni del Sud Italia in quanto aree di potenziale attrazione di investimenti è stata poco studiata. La letteratura e le indagini sull’economia meridionale infatti si concentrano tipicamente su indicatori di attrattività reale e rivelata del Mezzogiorno che certificano, oggettivamente, la scarsa attrattività per le imprese.  Vengono utilizzate, ad esempio le statistiche su flussi e stock di investimenti diretti esteri (vedi i dati Reprint), i dati sulle migrazioni di imprese interne al territorio italiano rilevati periodicamente da Unioncamere, o ancora, si utilizzano le analisi delle tante criticità a livello infrastrutturale, istituzionale, e nei servizi pubblici.

Tuttavia, sondare e conoscere direttamente il punto di vista, la valutazione e la percezione degli imprenditori – soggetti decisivi per lo sviluppo economico di territorio e di un paese – è fondamentale per interpretare e comprendere meglio la stessa realtà dei fatti. È particolarmente importante per meglio identificare i fattori esplicativi, la cui carenza (o presenza) incide sulla scarsa attrattività del Sud; e per esplorare come vengono visti i “diversi Sud”, ovvero come viene valutato il suo territorio eterogeneo e variegato dal punto di vista socio-economico e ambientale.

Una ricerca sulle preferenze di localizzazione delle imprese condotta dal CERTeT in collaborazione con l’Università di Groningen in Olanda, getta luce su questi aspetti. Nell’indagine web si chiedeva ad un gruppo di imprenditori italiani di valutare regioni e province italiane in quanto possibili luoghi di investimenti produttivi.

Sono tre i risultati più importanti che sono emersi con riferimento al Sud.

1) Innanzitutto, la conferma da parte delle imprese – se qualcuno ne dubitasse – della scarsa attrattività del Meridione (Figura 1); in particolare, se messa a confronto con quella delle regioni del Centro e del Nord. Il divario Nord-Sud appare quindi ben chiaro nella percezione degli imprenditori italiani.

Disaggregando i dati per sede di impresa, emerge che il divario di attrattività è percepito non solo dagli imprenditori centro-settentrionali, ma anche da quelli meridionali (si potrebbe infatti pensare che questi ultimi, agendo secondo un tipico self-locational effect, potrebbero apprezzare per default il luogo in cui sono già localizzati).

Figura 1: rating medio delle regioni italiane in quanto possibili localizzazioni di investimenti produttivi (scala ordinale da 1 – molto sfavorevole  – a 5 – molto favorevole)

2) Le imprese individuano tre grandi fattori alla base della scarsa attrattività di regioni e province meridionali (Tabella 1).  Primo fra tutti, le carenze infrastrutturali e nei servizi di trasporto e logistica; secondo, la povertà del tessuto di imprese fornitrici e clienti, e più in generale la ristrettezza del tessuto produttivo e del mercato; e infine la presenza della criminalità organizzata. Più modesta rilevanza viene invece attribuita ad altri fattori come il capitale umano, la presenza di  strutture di ricerca, le politiche pubbliche per lo sviluppo e l’attività della Pubblica Ammistrazione.

Questi risultati sono di notevole interesse, per diversi motivi. Innanzitutto “demitizzano” l’imprescindibilità della eliminazione della presenza criminale per la realizzazione di investimenti produttivi. Se la presenza della criminalità mafiosa è certamente una questione drammatica dal punto di vista economico, oltre che dal punto di vista della convivenza civile e della vivibilità sociale, è però anche vero che secondo questi dati non è il fattore prioritario per gli investimenti.  Inoltre, i risultati ridimensionano l’importanza – almeno relativamente agli altri fattori – di alcuni aspetti generalmente ritenuti rilevanti dalla letteratura, in particolare quelli che tipicamente inficiano l’attrattività del Sistema-Paese, come l’istruzione e l’efficienza della Pubblica Amministrazione. Nel caso del Sud non sembrano essere questi i fattori decisivi.

3) Fatta eccezione per Puglia e Abbruzzo, che ricevono una valutazione significativamente superiore alla media meridionale, tutte le altre regioni (Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, Molise) e province del Sud ricevono un punteggio omogeneamente basso, prossimo o poco inferiore a 2.  

Per gli imprenditori italiani non sembrano esistere “tanti Sud”, bensì un unico Sud, molto poco attrattivo. In altre parole, salvo qualche eccezione, per le imprese i vantaggi localizzativi nel Mezzogiorno, in media scarsi, non presentano differenze territoriali significative: localizzare un’impresa a Reggio Calabria è considerata la stessa cosa che localizzarla a Catania, ad Avellino o a Matera. Questo non è altrettanto vero nel caso del Centro-Nord,  in cui le imprese osservano differenze territoriali molto significative.

Questa evidenza si scontra con la realtà dei fatti, come testimoniato dall’ampia letteratura che riguarda la varietà dei contesti socio-economici territoriali nel Mezzogiorno (letteratura che prende tra l’altro avvio da lavori di ricerca come quello realizzato nei primi anni ’90 sulle province meridionali dall’attuale ministro Trigilia). Anche le più semplici statistiche economiche, come la varianza interna a livello provinciale del Pil, mostrano le ampie divergenze interne al Sud non lontane da quelle  rilevabili nel Centro e nel Nord.   

Le conseguenze di policy di questi tre risultati sono abbastanza immediate. Gli investimenti in infrastrutture e servizi di trasporto, in particolare nel trasporto ferroviario, nella portualità e nelle piattaforme logistiche, devono rimanere un pilastro preminente per migliorare non solo l’accessibilità con l’esterno (centro-Nord ed altri paesi) ma anche l’accessibilità interna, ovvero l’integrazione interna delle reti meridionali, elemento di sistema critico spesso poco considerato a vantaggio invece della criticità delle interconnessioni con l’esterno. Questa è la condizione per favorire il potenziamento e l’intensificazione delle relazioni interne tra imprese che consentirebbe di agevolare l’insorgere di effetti di agglomerazione anche nel Mezzogiorno.

Anche le politiche industriali per imprese e filiere devono rimanere un punto di riferimento  (ovviamente ripensate e ridefinite, visti  gli insuccessi del passato – si veda ad esempio L. 488 e Patti territoriali), sia perché lo sviluppo endogeno rimane la via irrinunciabile, sia per impedire quei processi di desertificazione industriale che contribuiscono a indebolire, come visto sopra, l’attrattività dei territori meridionali.

È inoltre evidente la rilevanza delle misure per combattere la criminalità organizzata e ricostituire una legalità favorevole all’insediamento di nuove imprese (anche se in questo caso siamo fuori dal campo delle politiche di sviluppo).

È necessario infine rafforzare la ricerca e la conoscenza sui diversi Sud attuando politiche di marketing territoriale mirate (potenziando anche la governance territoriale delle politiche per l’attrazione degli investimenti, carente al Sud rispetto al Centro-Nord), che rendano visibili e promuovano le aree del Sud con migliori performance. È necessario realizzare strategie di comunicazione e promozione, a livello centrale e locale, che consentano di scardinare la cappa mediatica che oggi tende a mettere tutto il Sud sotto un unico cappello. Trascurare quest’ultimo passaggio rischia di riverberarsi negativamente, e di rendere inefficaci tutte le altre politiche per il rafforzamento dell’attrattività del Mezzogiorno.

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