Mounia El Moutaouakil è una bella donna di 37 anni. Capelli lunghi neri e un italiano quasi perfetto, che solo ogni tanto lascia trasparire le sue origini marocchine. È nata a Fez, in Marocco, ed è in Italia da 19 anni. Arrivata per il ricongiungimento familiare con il padre emigrato in Italia più di 30 anni fa, la sua è una storia di separazioni, viaggi, sacrifici e impegno. Fino alla realizzazione del suo sogno, “nel cuore, non nel cassetto”: diventare ingegnere. E per una donna immigrata si può immaginare quanto sia stato difficile. Oggi, dopo una laurea al Politecnico di Milano, lavora come designer di memorie in una grande multinazionale americana di elettronica. Che però ha da poco annunciato tagli di personale. Ma lei dice: «Amo l’Italia e non me ne andrò. Non ne posso più di separazioni e allontanamenti dai miei familiari». E ai politici italiani raccomanda: «L’Italia dia agli immigrati e ai loro figli la possibilità di partecipare allo sviluppo del Paese».
Mounia, partiamo dall’inizio. Come sei arrivata in Italia? A quanti anni?
Sono arrivata in Italia da sola, in pullman, per il ricongiungimento familiare con mio padre. Era il 1994. Allora avevo quasi 18 anni. Mio padre era già qui da 15 anni per lavoro.
Hai lasciato parenti in Marocco?
Sì all’inizio avevo lasciato tutta la mia famiglia. Poi mi hanno raggiunto mio fratello, mia mamma e mia sorella piccola di sei mesi. Mia madre era rimasta incinta in Italia ma aveva partorito in Marocco. Non siamo riusciti a portare con noi anche mia sorella grande perché per un mese aveva superato i 18 anni, quindi è restata in Marocco dove poi si è laureata in fisica e poi si è sposata. Il resto dei miei parenti però è rimasto lì. Per via della lontananza, i rapporti sono diventati con il tempo molto labili. Tranne qualche zio, non credo che qualcuno si ricordi più di me.
Cosa è successo una volta arrivata in Italia? Quali problemi hai incontrato?
Una volta arrivata in Italia, mi sono trovata di fronte a un incubo. Non conoscevo l’italiano e avevo un sogno nel cuore – non nel cassetto ma proprio nel cuore – l’ho sempre voluto e desiderato da quando ero piccola: quello di diventare ingegnere. Quando sono arrivata qui, però, non sapevano se la mia maturità era valida oppure no, e quindi dovevo presentare domanda di equivalenza al ministero. Ma per avere un risposta da Roma bisognava aspettare molto tempo, e io non potevo rischiare di aspettare un anno a vuoto, quindi mi sono iscritta come privatista al liceo scientifico sperimentale. Questo comportava portare alla maturità le materie degli ultimi tre anni del liceo. Non avevo problemi per le materie scientifiche: in Marocco ero tra i primi della mia città, Fez, ed ero anche arrivata sesta a livello nazionale in un concorso indetto dallo stato per scegliere i migliori 100 del Marocco. Il problema principale per me era affrontare l’italiano, la filosofia, la storia, la storia dell’arte e tutte le materie puramente umanistiche, che sono tra l’altro diverse dal nostro programma, perché nei Paesi arabi ci hanno insegnato la nostra letteratura, la nostra filosofia e la nostra storia, lasciando la parte europea come ultima nel programma. Quindi non ci si arrivava mai.
Come hai risolto questo problema?
Mi ricordo che quell’anno dormivo dalle 4 alle 5 ore massimo a notte, perché dovevo tradurre dall’italiano al francese per capire qualcosa di quello che studiavo. È stato un calvario, dover afforntare il cambio culturale, climatico e anche lo studio in una lingua che non conoscevo. Mi sentivo come un albero che è stato sradicato e messo in una terra straniera, ma che doveva rinascere e cercare di vivere comunque. Alla fine ho sostenuto la maturità a fine anno, e sono riuscita a passarla con 54/60. Ero felicissima, il duro lavoro alla fine mi aveva premiato.
Poi è arrivata la facoltà di ingegneria.
Sì, ma rimaneva un nodo da sciogliere: la mia famiglia è una famiglia normale, e non potevo permettermi di pagare gli studi, affittare un appartamento a Milano, e tutto il resto. E allora non potevo neanche concorrere per avere la borsa di studio al Politecnico perché non avevo la cittadinanza italiana. In quel periodo però avevo letto per caso nella bacheca del comune di Morbegno (in provincia di Sondrio, ndr) di un concorso per una borsa di studio, indetto dal Lions Club di Chiavenna. Chi vinceva poteva entrare al collegio Ghislieri di Pavia a spese dell’associazione o in cambio avere una borsa di studio. Questo premio può essere mantenuto negli anni successivi, a condizione di essere promosso ogni anno con una media non inferiore ad 27/30, che come si può immaginare è un’impresa difficile per ingegneria. Il concorso era internazionale e la possibilità di vincerlo erano molto scarse, ma ho provato e grazie a Dio l’ho vinto. E qui si apre una nuova pagina della mia vita.
Così ti sei iscritta alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano.
Sì, dopo tutto quello che è successo, a fine anno mi è anche arrivata la conferma del ministero che la mia maturità marocchina era valida, quindi avevo solo l’imbarazzo della scelta.
Ora sei un ingegnere elettronico. Ma da poco la tua azienda ha annunciato dei tagli. Hai pensato di andare via dall’Italia?
Lavoro come progettista hardware digitale di microchip per la telefonia mobile, e più specificatamente sono una designer di memorie. Ora però la nostra azienda sta per tagliare un numero molto elevato di dipendenti, quindi siamo tutti in agitazione. L’azienda è molto forte e guadagna bene, però essendo una multinazionale straniera, sembra che non voglia più investire in Italia, e quindi per la microelettronica in generale in Italia la situazione sta precipitando. Ma voglio rimanere in Italia perché amo questo Paese e perché sono stanca di vivere divisa dai miei famigliari e ricostruire sempre di un nuovo tutto.
Hai incontrato problemi di discriminazione come straniera in questi anni?
Ho vissuto tante situazioni spiacevoli che mi hanno fatto male, ma ho incontrato anche tanta gente per bene. Credo che l’Italiano medio non sia razzista, qualche volta si pecca per superficialità e ignoranza, ma in fondo gli Italiani in generale sono buoni, quelli veramente razzisti o cattivi lo sono anche con i prori connazionali e non soltanto con gli stranieri.
Cosa pensi della legislazione italiana sull’immigrazione?
Penso che vada riformata, come tante cose di questo Paese. Penso che bisogna dare agli emigrati e ai figli degli immigrati che servono il Paese con amore e onestà la possibiltà di integrarsi sul serio, di rendersi partecipi dello sviluppo del Paese. Di non essere guardati come cittadini di seconda categoria. Quello che deve contare veramente non è il tuo colore, né la tua etnia, né la tua religione e nemmeno da dove vieni, ma quanto sei costruttivo per la comunità. Ci sono tanti Italiani per nascita che non si meritano la cittadinanza per il danno che hanno recato al Paese ma sono rispettati e applauditi. E ci sono tanti stranieri semplici che si svegliano ogni notte a fare un lavoro duro mal pagato, al freddo, al caldo, malati o non malati, che pagano onestamente le tasse rispettando la comunità e il Paese, e che si sentono dire “Marocchino di m… , tornatene al tuo Paese”. Sto parlando di fatti veri, bisogna mettere luce su entrambe le realtà, e sensibilizzare la gente maggiormente sul tema dell’immigrazione. Non siamo tutti ladri, spacciatori o killer.
Tu ormai sei cittadina italiana. Quanto tempo hai aspettato?
L’ho presa dopo quasi 14 anni, perché ci vogliono 10 anni per presentare la domanda, e poi hanno impiegato 4 anni per darmi la risposta.
Torni spesso nel Paese in cui sei nata?
In 19 anni sono tornata tre volte, ormai i miei affetti sono tutti qui, e i ritmi di vita frenetici non mi permettono di tornare spesso. Ormai quando torno mi sento spaesata, perché ho perso tutti gli amici, e i miei familiari ormai hanno tutti una loro vita. Paradossalmente mi sento sola più sola nel mio paese natale che qui in Italia, ma il Marocco rimane il mio primo amore, è un Paese meraviglioso con una storia e una tradizione uniche.
L’Italia è il tuo secondo amore?
La cosa bella è che ho finito per amare questa terra, i suoi luoghi e soprattutto mi sono innamorata della semplicità e genuinità della sua gente. E studiando ha iniziato a piacermi la vostra filosofia, storia, letteratura, arte, cultura e ho finito per innamorarmi di questo mondo a me sconosciuto. È stato come se uno che ha sempre vissuto in un luogo bidimensionale a un certo punto scopre che esiste anche la terza dimensione. Credo che nonostante tutta la fatica sia stato bello vivere meta vità nel mio Paese d’origine e l’altra metà in Italia. Ho imparato a vedere i due mondi da dentro non da fuori, con la coscienza di colui che ha sperimentato le esperienze sulla propria pelle.