“L’Africa cresce, è il momento di investire”

Intervista all’imprenditore Simone Santi

«Le più grandi aziende del mondo guardano all’Africa come a un’area prioritaria di investimento per i prossimi dieci anni. Se le imprese italiane restano ferme agli stereotipi diffusi dai media – catastrofi, povertà, mancanza di cultura – rischiano di non cogliere le enormi opportunità di sviluppo che questi Paesi stanno creando». A dirlo è un imprenditore italiano che il Continente nero lo conosce bene perché lavora lì da anni: Simone Santi, console onorario del Mozambico in Italia e amministratore delegato del gruppo di consulenza Leonardo Business Consulting.

La prima esperienza lavorativa di Santi, romano, classe 1971, è stata proprio in Mozambico, dove era stato inviato a 25 anni come neolaureato in economia dei Paesi emergenti per supportare la crescita del business del gruppo di costruzioni ravennate Cmc. Da allora, l’attuale diplomatico onorario, che abbiamo incontrato al Social2Business organizzato da Assolombarda, ha fondato in Africa dieci società. Un testimone privilegiato a cui chiedere quali prospettive si possono aprire in quelle aree per grandi imprese e Pmi del nostro Paese.

Fino a che punto l’Africa può essere considerata un’opportunità di investimento per le imprese italiane?
Partiamo da qualche dato. L’Africa si concentra soprattutto nella parte meridionale, la Sadc, (South African development community, zona di libero scambio a cui aderiscono 14 Paesi: Angola, Botswana, Congo, Lesotho, Malawi, Mauritius, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe, ndr), che è la seconda area commerciale al mondo che cresce di più, con un tasso di crescita stimato del Pil del 5,5% per il 2013. È un risultato di tutto rispetto, se consideriamo che la prima area al mondo è quella formata dai Paesi del Sudest asiatico, l’Asean, che ha un ritmo di crescita del 6,4%. Anche l’Africa subsahariana non è da meno: quest’anno è cresciuta del 4,8 per cento. Inoltre, una recente indagine dell’Economist ha mostrato che l’espansione in Africa nei prossimi dieci anni è considerata una priorità da due terzi delle maggiori aziende del mondo.

Il sondaggio dell’Economist sulla priorità degli investimenti in Africa da parte delle multinazionali

Quali sono le aree e i Paesi africani con le maggiori possibilità per le aziende del made in Italy?
L’area con le più grandi potenzialità è appunto la Sadc, perché ha abbondanza di risorse, soprattutto minerarie, disponibilità di terre, presenza di aree scarsamente popolate, inflazione sotto controllo, stabilità politica nella maggior parte della regione e grande necessità di infrastrutture. Quanto ai Paesi, i più promettenti del continente sono sette: Angola, Etiopia, Ghana, Mozambico, Sudafrica, Sudan del Sud e Uganda.

Quali sono le caratteristiche più attraenti di ciascuno di questi sette Paesi? Cominciamo dall’Angola.
È tra i maggiori esportatori di petrolio ed è un Paese adatto ai grandi gruppi che vogliono lavorare con il settore pubblico.

L’Etiopia?
È assolutamente stabile, ha un’economia in crescita e un buon mercato anche per i prodotti di consumo.

Il Ghana?
È il Paese che cresce di più in questo momento, ha importanti risorse minerarie, stabilità e basso livello di corruzione. Inoltre, qui il business gira secondo un modello anglosassone, per cui è più facile operare.

Il Mozambico?
Nonostante sia una democrazia da soli 21 anni, ha conosciuto una crescita stabile dell’8,5% negli ultimi dieci anni, ha ricchezze sia in campo agricolo che minerario ed è particolarmente adatto alle Pmi perché, essendo una ex colonia portoghese, ha sempre visto come priorità lo sviluppo della piccola e media impresa. In più, è un Paese molto liberista in cui sono ben accetti anche gli investimenti con capitale straniero al 100 per cento.

Il Sudafrica?
È il peso massimo della regione: è un’economia stabile, matura, dove alcuni settori, come per esempio la meccanica, sono già molto sviluppati. Va bene per chi vuole un investimento relativamente sicuro ma è pronto a rinunciare a margini più elevati.

Il Sudan del Sud?
È un mercato vergine perché è un Paese indipendente solo dal 2011. Di conseguenza ha bisogno di tante cose, a partire dalle grandi opere infrastrutturali. In più, è ricco di petrolio e presenta ottime potenzialità in campo agricolo.

L’Uganda?
Ha grande potenziale in ambito agricolo, tantissime risorse minerarie, tra cui petrolio e gas, un governo stabile e una buona tradizione di italianità legata alla presenza storica di missionari comboniani e salesiani che già all’epoca del colonialismo hanno creato scuole e infrastrutture e contribuito alla formazione di Pmi.

In quali comparti l’Italia vanta già una presenza di rilievo in Africa?
Il primo è l’oil & gas: ricordiamoci che l’Eni è il primo operatore in Africa. Poi le costruzioni e le opere pubbliche, con alcune aziende italiane che detengono posizioni di leadership in Paesi come Ghana, Angola, Etiopia e Mozambico. Faccio alcuni nomi: Salini, Barbisotti, Varnero, Cmc, Trevi.

Quali sono invece i settori in cui le imprese tricolori potrebbero inserirsi con maggiore possibilità di successo?
Sicuramente l’edilizia, in particolare abitazioni e uffici commerciali. E il discorso vale tanto per i grandi costruttori quanto per i piccoli. Il real estate è in grandissima crescita: basti pensare che alcune capitali africane come Luanda (Angola, ndr), Lagos (Nigeria, ndr) e Maputo (Mozambico, ndr) sono tra le città più care al mondo. Aggiungo anche il settore dell’agricoltura, che è da vedere come prioritario, la logistica, l’indotto dell’oil & gas, i materiali per le costruzioni come rubinetterie, piastrelle e colle, le macchine utensili e il food.

Se parla di food, si può ipotizzare che la percezione del cibo made in Italy sia positiva. Come funziona il brand Italia in questi Paesi?
C’è un’altissima considerazione di tutti i cavalli di battaglia del made in Italy: il food, ma anche la moda, il design e il lusso in genere. Stanno aprendo molte catene di gioielleria. Il concetto alla base, anche se in Italia abbiamo una percezione distorta, è che la gente qui cerca prodotti di alta qualità: è sbagliato pensare che in questi Paesi ci sia spazio per un mercato di basso livello.

Investire in Africa è anche low cost?
La manodopera è a buon mercato, anche se il personale high skilled, più qualificato, comincia a essere abbastanza caro. Di certo, se le imprese di casa nostra seguono una logica nazionalistica e si portano subito manager dall’Italia, i costi aumentano. Se invece si sceglie la strada del partenariato con società di servizio locali e si assume personale del luogo, i costi di ingresso si riducono e si riceve anche un supporto nell’abbattere le barriere culturali. Poi, naturalmente, è un bene che il top manager, l’architetto o l’ingegnere brillante siano scelti tra gli italiani.

Che accoglienza è riservata agli imprenditori italiani da parte delle popolazioni? C’è il rischio di essere scambiati per nuovi colonizzatori?
C’è grande apertura perché è forte la sensazione che gli stranieri portino ricchezza e benessere. In molti dei Paesi più dinamici, il numero degli Ide (investimenti diretti all’estero) in entrata sta aumentando vertiginosamente e questo fenomeno stimola anche la crescita degli investitori locali. Stando ai dati del Centro per la Promozione degli Investimenti, in Mozambico, per esempio, durante i primi sei mesi del 2013 gli Ide hanno totalizzato 3,6 miliardi di dollari, mentre nello stesso periodo dell’anno precedente avevano raggiunto quota 601 milioni di dollari: sei volte.

Quanto è facile muoversi nella burocrazia di questi Paesi?
Le macchine burocratiche non sono perfette ma non sono peggiori che in Italia. Anzi, per quanto riguarda i tempi nel settore delle costruzioni, questi Paesi sono avanti anni luce rispetto a noi. In ogni caso, un’impresa che opera in Italia, soprattutto se piccola o media, è preparata a qualsiasi tipo di avversità dal punto di vista burocratico.

Perché si sa poco di questi aspetti positivi dell’Africa?
L’informazione è “drogata” dagli stereotipi: le catastrofi, la povertà, la mancanza di cultura. Fenomeni che ci sono, certamente, ma al pari di altre economie emergenti. Anche l’Italia del dopoguerra era così. Nessuno però pone attenzione sull’Africa globalizzata e internazionale, molto meritocratica, in cui tantissime persone hanno accesso a Internet, cellulari e tecnologie informatiche e si informano su quanto accade nel mondo. Dare poco spazio a questa Africa non è un male per gli africani ma per noi che non riusciamo a intravedere le grandi potenzialità di questo mercato e rimaniamo indietro.

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SCHEDA: LA SADC AI RAGGI X

Sadc

Sadc (South African development community) 

Area di libero scambio per lo sviluppo dell’Africa meridionale a cui aderiscono 14 Paesi membri: Angola, Botswana, Congo, Lesotho, Malawi, Mauritius, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe.

Crescita del Prodotto interno lordo dell’area: + 5,5% nel 2013
Seconda area economica di maggiore sviluppo dopo il Sudest asiatico (Asean + 6,4%)
(Fonte: Economist Intelligence Unit)

Angola
Pil nel 2012: 114,2 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione): + 5,6% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: 1,9 miliardi di dollari (-6,8 miliardi rispetto al 2011) (fonte: Unctad)

Etiopia
Pil nel 2012: 43,1 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione):+ 7% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: 5,8 miliardi di dollari (+970 milioni) (fonte: Unctad)

Ghana
Pil nel 2012: 40,7 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione): + 7,9% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: 16,6 miliardi di dollari (+3,2 miliardi) (fonte: Unctad)

Mozambico
Pil nel 2012: 14,5 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione): + 7% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: 12,6 miliardi di dollari (+5,2 miliardi) (fonte: Unctad)

Sudafrica
Pil nel 2012: 384,3 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione):+ 2% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: 138,9 miliardi (+4,5 miliardi) (fonte: Unctad)

Sudan del Sud
Pil nel 2012: 9,3 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione):+ 24,7% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: –

Uganda
Pil nel 2012: 19,8 miliardi di dollari (fonte: Banca mondiale)
Stima di crescita reale del Pil nel 2013 (previsione): + 5,6% (fonte: Fmi)
IDE in entrata 2012: 8,1 miliardi di dollari (+1,7 miliardi) (fonte: Unctad)

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