Il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Europa, ora congelato dopo il fallimento del vertice di Vilnius, non è solo un problema tra Kiev e Bruxelles. La Russia è un altro protagonista nella vicenda e il tentativo di impedire l’integrazione nelle strutture occidentali risponde alla volontà del Cremlino di tenere ancora legati quei Paesi che non solo hanno fatto parte dell’Unione Sovietica sino al 1991, ma con cui i legami storici, culturali e linguistici vanno indietro nei secoli.
Dopo la fine della Guerra Fredda però gli equilibri sono cambiati, l’Europa si è allargata a est (dal 2004 le repubbliche baltiche sono entrate a far parte non solo dell’Ue, ma anche della Nato, esattamente come vari stati della Mitteleuropa) e il Vecchio continente è ridiventato una scacchiera sulla quale sia le potenze regionali che quelle mondiali hanno mosso e tutt’ora muovono le loro pedine. Gli Stati Uniti, attraverso la Nato e l’influenza su alcuni stati dell’ex blocco orientale, sono diventati attori principali accanto all’Unione Europea nel cercare di guadagnare influenza in quello che Mosca ha considerato sempre il proprio giardino di casa. Si spiega così il battibecco di ieri a distanza tra il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, con quest’ultimo che ha accusato la Nato di interferire negli affari interni ucraini, dicendo di non capire perché si senta in diritto di farlo.
Le mire espansionistiche di Putin in una carta di Laura Canali pubblicata da Limes
L’Ucraina è stata in questi ultimi anni terra di contesa tra Russia e Occidente (con l’Ue al traino degli Usa, ma divisa al suo interno) che hanno ripetutamente tentato di spostare verso Est e verso Ovest un Paese che per questioni geografiche è lì dov’è, cioè nel mezzo, e per ragioni di cose non può che essere al centro di scontri geopolitici. Un destino che ad esempio la vicina Polonia ha subito nel secolo scorso. All’inizio del terzo millennio il turno è quello dell’Ucraina indipendente, che negli ultimi vent’anni ha tentato sempre di tenere il piede in due scarpe. Se i legami con la Russia sono sempre stati stretti, anche se opachi, e hanno attraversato un po’ tutti i settori, dando la precedenza a quello economico-energetico, Ue e Stati Uniti hanno cominciato sin dagli anni Novanta ad avviare rapporti istituzionalizzati: così già il presidente Leondid Kuchma (1994-2004) si è appropinquato all’Europa (l’Accordo di partnership e cooperazione è datato 1998) e anche alla Nato (la Charta è stata sottoscritta nel 1997).
La Rivoluzione arancione del 2004, con l’arrivo al potere di Victor Yushchenko (2005-2010) ha segnato l’apice dello scontro tra Russia e Occidente, che si sono schierate apertamente sul terreno di battaglia ucraino, abbandonando le quinte. La svolta pro Nato avviata dal presidente arancione con la decisione di entrare nel Map (Membership action plan) è stata però bloccata nel 2008 al vertice di Bucarest, quando Germania e Francia si sono opposte, suscitando l’ira di Washington e facendo tirare un sospiro di sollievo a Mosca. È lo stesso schema che si è visto al vertice di Vilnius con in ballo l’Accordo di associazione tra Kiev e Bruxelles. La posizione intransigente sul caso di Yulia Tymoshenko (firma in cambio della liberazione) è stata perseguita dalla Germania, mentre i Paesi europei più filoamericani, a partire da Polonia, avrebbero scelto anche il compromesso di una sottoscrizione dell’intesa con l’ex premier dietro le sbarre pur di raggiungere l’obbiettivo prefisso. Con l’arrivo alla Bankova nel 2010 di Victor Yanukovich le prospettive di far risorgere l’avvicinamento alla Nato sono state seppellite, almeno in teoria, con la dichiarazione adottata dal parlamento sulla neutralità del Paese, mentre si è spalancata la porta dell’Europa con l’accelerazione nel programma di Partenariato orientale e l’Accordo di associazione parafato nel 2012.
L’ultima battaglia è ancora in corso. L’Ucraina, paese di 45 milioni di abitanti, è l’ex repubblica sovietica più vasta dopo la Russia (escluse quelle centroasiatiche) ed è un pezzo fondamentale dell’ex Impero che da un lato Mosca vuole tenere assolutamente accanto a sé e dall’altro Washington vuole strappare per indebolire il nemico di un tempo, considerato oggi amico, anche se poco affidabile. Le accuse di interferenze reciproche sono naturalmente questioni di prospettiva, visto che entrambe le parti non sono mai state spettatrici, ma sono scese direttamente in campo. I problemi maggiori nascono però quando i giocatori vogliono fare anche gli arbitri.