Quando i Giochi Olimpici si svolgevano nell’antichità, ogni 4 anni, tutte le guerre si interrompevano e si andava a Olimpia a gareggiare. Era la tregua olimpica. E la rispettavano tutti. Persino gli imperatori di Roma: Nerone faceva incetta di corone d’alloro con la biga. Con l’introduzione dei Giochi dell’era moderna, l’importante non è partecipare: è vincere la guerra politico-propagandistica. Perché questo è l’uso che si fa della competizione a cinque cerchi. Ne fu un esempio Berlino 1936. Adolf Hitler ne ottenne l’organizzazione per dimostrare la superiorità del popolo ariano. Ingaggiò Leni Riefenstahl per girare il film ufficiale dei Giochi (“Olympia”) e affidò la realizzazione di due statue celebrative ad Arno Breker, lo scultore tedesco che si credeva Fidia.
Quattro anni dopo nessuna tregua olimpica: nel mondo infuriava la Seconda guerra mondiale. I Giochi mantenevano la valenza propagandistica di Berlino, ma diventavano anche teatro di ripicche tra gli Stati. La competizione di sposta ufficialmente dalle piste e dalle piscine alle stanze dei bottoni. Il caso più eclatante resta quello dei Giochi di Mosca. Per l’edizione del 1980 era infatti stato un altro regime ad ottenerne l’organizzazione: l’Unione Societica. La stessa che nel dicembre del 1979 aveva invaso l’Afghanistan. L’amministrazione Carter non la prese bene e gli Usa disertarono l’edizione di Mosca, seguiti da altri 64 Paesi. La ripicca scattò 4 anni dopo, quando il Cio per compensare la scelta di Mosca aveva assegnato i Giochi a Los Angeles: il blocco comunista boicottò, tranne Romania e Jugoslavia. Fu una vittoria degli Usa. Non solo perché nel 1980 (ma ai Giochi invernali di Salt Lake City) l’Urss fu battuta ad hockey dagli Stati Uniti in un vero e proprio miracolo sportivo. Ma anche perché il numero dei Paesi che boicottarono Los Angeles fu di gran lunga minore, con gli Usa padroni di casa e ben saldi del ruolo di leader degli ideali di libertà e democrazia.
La storia, ogni tanto, si diverte a ripetersi, ma con piccole varianti. Stavolta non si tratta dei Giochi Olimpici estivi, ma di quelli invernali. E le premesse sono molto simili a quelle del caso di Mosca ’80. I prossimi Giochi invernali sono in programma nel febbraio 2014 a Sochii, Russia. L’Urss non esiste più, la guerra fredda forse. Basta poco per riparlarne. Prima era l’invasione dell’Afghanistan, oggi a unire nella protesta i Paesi contro il Cremlino sono le leggi anti-gay volute da Putin.
Un’occasione d’oro per Barack Obama. Che dopo il caso-Snowden, non poteva non approfittarne. Così qualche giorno fa ha deciso: della delegazione che rappresenterà gli Stati Uniti a Sochii facciano parte due atlete dichiaratamente lesbiche. Per la cerimonia di apertura, il 7 febbraio, è stata scelta Billie Jean King, 70 anni, leggenda vivente del tennis con 39 titoli nel Grande Slam, ma soprattutto tra i primi protagonisti nel mondo dello sport a fare outing. Per quella di chiusura, poi, Obama ha scelto Caitlin Cahow, paladina dei diritti delle lesbiche nonché difensore della nazionale femminile di hockey su ghiaccio e già vincitrice di ben due medaglie olimpiche: l’argento a Vancouver 2010 e il bronzo a Torino 2006.
«Un colpo di genio». Proprio come lo ha definito Christine Brennan, editorialista sportiva di “Usa Today”. Già, perché Obama ha costretto Putin a rivedere alcune sue posizioni. Il Presidente russo ha fatto orecchie da mercante, lanciando oltreoceano la frecciatina di chi sa di aver perso ma vuole comunque dire l’ultima parola, alludendo alla necessità di «difendere i valori morali tradizionali» in Russia contro certi «pseudo-valori» occidentali e di «difendersi dal comportamento abbastanza aggressivo di certi gruppi sociali che impongono il loro punto di vista ad altre persone e altri Paesi».
Poi, però, è capitolato. Per prima cosa, ha fatto liberare Mikhail Khodorkovsky, arrestato nel 2003 per evasione fiscale. Un’accusa grave, se non fosse che Khodorkovsky era, all’epoca dell’arresto, l’uomo più ricco di Russia. A capo dell’impero petrolifero Yukos, era l’unico in grado di contrastare Putin nella corsa politica al Cremlino. Dieci anni dopo, Vladimir si è ravveduto, parlando di punizione molto severa, ma senza resistere alla tentazione della frecciatina, visto che il premier russo allude a una lettera nella quale Khodorkovsky avrebbe chiesto perdono (ma i suoi legali hanno smentito).
Non solo. Colto da grande bontà (sarà il Natale), Putin ha fatto sì che la Duma – la Camera bassa del parlamento russo – accelerasse i tempi per firmare altri due decreti di messa in libertà, in favore delle Pussy Riot e dei 30 attivisti di Greenpeace “rei” di aver criticato (guarda caso) un altro colosso energetico come Gazprom, che a differenza di Yukos appartiene al Cremlino.
Ma ancora non basta. I leader di Francia e Germania hanno già detto che a Sochii non ci saranno. Al posto di Angela Merkel andrà il ministro degli Interni, Thomas de Maiziere. Non si sa ancora chi manderà Francois Hollande, che nel frattempo si è così giustificato attraverso il ministro degli Esteri Laurent Fabius: «Non è previsto che le autorità francesi al più alto livello ci vadano».
Gli Usa tornano così ad essere gli stessi del boicottaggio del 1980: leader contro chi intacca i principi di libertà e democrazia. Mentre Putin fa i conti con la sua sconfitta. Sochii doveva essere l’occasione per rilanciare l’immagine della Russia, ma i costi ingenti della manifestazione e le leggi anti-gay non hanno fatto che peggiorare le cose.