Nelle prime ore di Matteo Renzi segretario del PD si moltiplicano quelli che dicono “ci credo” e quelli che invece stilano un elenco interminabile dei perché non riuscirà nella sua impresa. Proviamo ad abbandonare le categorie – in fondo emotive – di fiducia e fede, e cerchiamo di analizzare il fenomeno Renzi con gli strumenti dell’economia.
I mercati finanziari giudicheranno la novità di Renzi segretario del PD non in maniera assoluta ma differenziale, ossia: le novità in arrivo sono più delle cose che saranno conservate? Esempio: spingere per modernizzare del sindacato è più importante che vendere le quote di azioni dell’Eni ancora in mano allo stato, oppure no? Altrimenti detto, dal punto di vista dei mercati finanziari è meglio avere un sindacato ingessato e comprare le azioni dell’Eni che il Tesoro controlla? Sembra ovvio che in termini di sviluppo la prima scelta è la più produttiva.
Il debito pubblico può essere “assorbito” con la crescita economica, oppure “frenato” con l’austerità. Oppure ancora, mentre lo si frena si cerca di mettere le cose in modo tale che lo si possa assorbire. Le riforme unite con un ritocco dell’austerità sembra il programma che Renzi vorrà attuare. Insomma, quantomeno nei primi tempi, la tenuta della quotazione del BTP con Renzi segretario del PD sembra un evento probabile.
Resta da vedere se le cose potrebbero cambiare sul lungo termine, cioè se arriveranno le prove di un impegno di riforma che i mercati aspettano da tanto tempo dall’Italia per “far rinascere la fiducia”. Qui ci sono tre scenari diversi. Il primo è quello in cui in cui tutto resta come prima. Il secondo è che Governo Letta cade, il terzo è quello in cui il Governo Letta non cade, ma attua il programma di Renzi. Nel terzo caso, i mercati potrebbero ridurre il “premio per il rischio”, perché intravvedono la modernizzazione, e dunque il BTP potrebbe trarne giovamento. Nel secondo caso, il rischio non dovrebbe emergere con forza se si intravvede che il programma di Renzi può vincere le elezioni, “mettendo all’angolo” quelle forze che o non vogliono l’euro (M5S), o vogliono delle politiche fiscali più lasche del necessario (FI).
Del resto, è quello che affermano – attingendo da una conoscenza basata sull’esperienza – quelli che, numerosi, ritengono che nulla di veramente nuovo potrà mai accadere in Italia. L’Italia, infatti, è un Paese troppo complicato e antico perché il nuovo possa mai davvero emergere. E, se mai emergesse, verrebbe mangiato dalle forze esistenti. Siamo schiacciati dalla Storia, ed è inutile illudersi. Perciò vincono sempre gli “antichi” che sono “attenti” ed “astuti” e, ovviamente, “potenti”, mentre perdono gli “homines novi”, e soprattutto, come direbbero gli anglosassoni, gli “homines novi” affetti da “ingenuity”, ossia quelli che credono in quello che dicono.
Proviamo ora ad analizzare Renzi non come un fattore dei mercati finanziari, ma come un’impresa, meglio ancora come una “start up”. La differenza in questo caso è fra rischio e incertezza. Il rischio è sapere come va il gioco dei dadi, il cui risultato è, in termini di probabilità, immaginabile, mentre l’incertezza è il non sapere proprio niente riguardo al futuro. Nella attività d’impresa è rilevante l’incertezza non il rischio: l’imprenditore non sa proprio come andranno le sue cose, potrebbe, infatti, strambo orfano armeno, avere fondato, senza rendersene conto, la Apple, così come, al contrario, essersi imbarcato in un’impresa volta velocemente al fallimento.
L’imprenditore è irrazionale, perché crede sempre che il suo progetto possa essere vincente, anche se questo è statisticamente improbabile: le imprese di successo sono una frazione delle imprese fondate. Un imprenditore che si mette a produrre lampadine, mentre tutti continuano a offrire candele, è uno sciocco. A posteriori certamente no, se ha successo, ma ex ante certamente sì. Un imprenditore che scommette sulle automobili, mentre tutti allevano cavalli, di nuovo, è uno sciocco. A posteriori no, se ha successo, ma ex ante certamente sì.
Però i sognatori nell’economia hanno, alla fine, vinto, però con i vincitori finali che sono una frazione degli innovatori iniziali. Uno sognava, ma poteva fallire. Alla fine, però, l’innovazione ha vinto.
Perché mai, passando alla politica, questo modo di funzionare del mondo – le scommesse possono persino vincere sebbene in misura contenuta rispetto alle scommesse iniziali – non potrebbe essere vero? Renzi ha vinto le primarie con una larga maggioranza che si è avuta con una larga partecipazione. Ha vinto il partito degli elettori a danno del partito degli iscritti.
Renzi si trova perciò in una condizione che, in termini finanziari, può essere etichettata come quella del “momentum”. Tutti lo osservano, perché è forte in ascesa, mentre tutti gli altri sono fermi. Appoggiare Renzi nel momento della sua ascesa è come investire nei titoli azionari che salgono molto più degli altri – proprio come era accaduto ai tempi della “bolla” degli anni Novanta della tecnologia. Sarà pure che, alla fine, la bolla si sgonfierà, ma intanto essa mostra la direzione delle cose. E, in ogni modo, il Nasdaq si sarà pure allora sgonfiato, ma tutti abbiamo il telefonino e siamo qui a dialogare in rete.