Più di novanta lavoratori licenziati e messa in liquidazione dell’azienda. Finisce così, dal primo gennaio 2014, la storia degli stabilimenti romani della francese Technicolor, marchio della postproduzione audio e video legato all’età d’oro del cinema e della tv italiani. Nelle strutture di via Tiburtina e via Urbana dal 1957 in poi sono stati realizzati capolavori come Apocalipse Now, L’ultimo imperatore, Amarcord, C’era una volta in America, Nuovo Cinema Paradiso, e anche film più recenti come La Grande Bellezza, Gomorra e Sacro GRA. Ma ora tutte queste pellicole rischiano di fare le valigie e partire per la Francia insieme ai rispettivi proprietari. Migliaia di negativi originali che, dicono i dipendenti, «hanno più importanza anche del nostro posto di lavoro».
Dal 2001 la Technicolor di Roma è nelle mani della holding francese Thomson Multimedia, specializzata nella produzione di sistemi video e immagini digitali, e che dieci anni dopo, nel 2011, ha deciso anche di assumere il nome della controllata e chiamarsi quindi Technicolor. Da allora, è successo di tutto, dentro e fuori l’azienda. I fasti degli anni Cinquanta e Sessanta di Cinecittà, quando tutti venivano a produrre in Italia, sono lontani. I film dalla pellicola sono passati al digitale. Il negativo è andato via via scomparendo e cd e dvd hanno preso il sopravvento. Nel dicembre 2010 l’azienda avvia la procedura di mobilità per 87 dipendenti, seguita poi dalla richiesta di cassa integrazione per 12 mesi di altri 79 dipendenti per la cessazione delle attività di stampa e sviluppo su pellicola. Totale: 166 licenziamenti. «Le motivazioni addotte dalla holding francese», spiegano i lavoratori, «parlano di conseguenza dell’avvento del digitale che avrebbe ridotto sensibilmente i margini di profitto e che ha giustificato la scelta della holding di non volere più gestire internamente le lavorazioni su pellicola Technicolor, che da quel momento in poi sono state affidate in outsourcing al laboratorio Deluxe».
Sempre a dicembre 2010, però, mentre si avviava la procedura di mobilità, la società di postproduzione Quinta Industries, controllata da Tarak Ben Ammar, viene messa in liquidazione. Il Gruppo Technicolor viene scelto dal tribunale di Nanterre come acquirente di tre filiali della società. «Secondo i giudici, Technicolor, che è azionista con il 17%, ha abbastanza liquidità per finanziare l’acquisizione e le attività di Quinta Industries che, secondo l’amministratore delegato del Gruppo Fredderic Rose, avrebbe dovuto generare un Ebitda positivo per il 2012».
Così si è andati avanti fino al 4 dicembre scorso, quando la holding francese ha comunicato con una circolare interna la messa in liquidazione dell’azienda. «… Sin dalla fine del 2011, alla luce del summenzionato declino dei prodotti fotochimici, la Società ha riorganizzato il suo business concentrandosi sulle attività digitali. Tuttavia, tale decisione non ha sortito gli effetti auspicati: tali attività hanno infatti registrato un calo di fatturato nell’esercizio 2012 (-17,28% rispetto all’esercizio 2011), che si prevede essere ancor più significativo al termine di questo esercizio (-35,35% rispetto all’esercizio 2011). Le ragioni di questa flessione risiedono anzitutto nell’attuale crisi del mercato cinematografico in Italia, il quale – tra l’altro – ha registrato (e continua a registrare) un netto ridimensionamento delle produzioni audio-visive locali c.d. “indipendenti”, accompagnato da un generale calo della vendita di biglietti nelle sale cinematografiche, il cui numero è in complessiva diminuzione», si legge nella comunicazione interna. E ancora: «Dobbiamo altresì rimarcare che, dal punto di vista finanziario, la posizione finanziaria della Società era destinata ad un progressivo deterioramento, anzitutto a causa delle stimate perdite operative e, in seconda battuta, del ritardo registrato nei pagamenti da parte dei produttori locali c.d. indipendenti, che costituiscono più del 50% della clientela di Technicolor». Quindi: «… Dopo approfondite verifiche si è giunti alla conclusione che, da un punto di vista imprenditoriale, la continuazione dello svolgimento dell’attività da parte della Società avrebbe messo a rischio l’equilibrio patrimoniale e finanziario della stessa, con possibile pregiudizio dei terzi; ed ogni ulteriore tentativo di ristrutturazione/ricapitalizzazione sarebbe stato troppo rischioso, in quanto gli investimenti necessari avrebbero dovuto essere di notevole entità ed avrebbero richiesto significativi indebitamenti per la Società, mentre il risultato di tali azioni sarebbe stato comunque molto incerto. Di conseguenza, è stato deciso di mettere la Società in liquidazione. Stante tale decisione … Technicolor ha avviato la procedura per la richiesta di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per un periodo di 12 mesi per cessazione attività per l’intero personale non dirigente, ossia n° 94 unità, a zero ore». Firmato: «La direzione aziendale».
Il 31 dicembre, insomma, si chiudono i battenti. E dal 2014 la Technicolor di Roma non esisterà più. Nonostante, spiegano i lavoratori, siano «in corso contratti il cui mancato adempimento aggraverà ancora di più il bilancio attraverso l’applicazione di penali da parte dei clienti delle produzioni cinema e tv che vedono a rischio l’uscita dei loro film nei canali di distribuzione, e cui contratti sono stati siglati negli ultimi mesi di quest’anno». Non solo: «Technicolor SpA è stata negli anni “nave scuola” e vivaio di talenti, grazie al supporto che ha dato al cinema italiano e internazionale attraverso lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, cercando di interpretare le necessità dei clienti e trasformarle in strumenti al servizio dei più grandi Registi e Autori della Fotografia», scrivono in un comunicato. «Ci chiediamo quindi come sia possibile che la Capitale del Cinema si trovi ad accettare supinamente e silenziosamente questa devastante decisione di rinunciare a uno dei riferimenti più importanti della post produzione audiovisiva, perdendo così un patrimonio di saperi, di professionalità e di conoscenze, un’eredità culturale che deve essere tutelata e che dona lustro internazionale alla produzione culturale del nostro Paese».
«Abbiamo sempre lavorato», racconta Marco, fonico di mix di via Urbana, «il lavoro c’è sempre stato, nonostante la crisi». Certo, «il digitale ha portato dei cambiamenti nella produzione, ora si lavora con molte meno persone. Noi ci aspettavamo infatti altri licenziamenti sul lato sviluppo, come già accaduto, non di certo la messa in liquidazione. C’è stata miopia manageriale: non hanno capito che il digitale era un settore che andava attaccato». In effetti proprio un anno fa Sergio Bosso, presidente di Technicolor spa, annunciava alla stampa importanti novità tecnologiche in azienda: «Negli ultimi mesi l’azienda ha puntato decisamente sul digitale anticipando i tempi della transizione dalla pellicola. Abbiamo messo a punto un piano di sviluppo sulle tecnologie digitali in senso lato: una strategia a livello globale, avviata negli Stati Uniti e diramata in tutte le sedi del mondo». E solo un anno prima, nel 2011, dagli stabilimenti di via Tiburtina erano stati lanciati il Digital Dailies Lab e il MediAffinity, che avrebbero dovuto rivoluzionare sia la produzione cinematografica sia la fruizione tv.
E c’è anche uno degli ex manager della società che da Facebook fa i conti in tasca alla Technicolor, sostenendo che l’headquarter francese avrebbe fatto ricadere le esose “management fees” d’Oltralpe sulle casse del braccio romano. Tutto da verificare, ovviamente, perché – se così fosse – i manager romani potrebbero rivolgersi all’autorità giudiziaria. Casse che, per giunta, avevano già sofferto per una multa della agenzia doganale, confermata poi anche dalla Cassazione (la società aveva fatto ricorso), per una rettifica dei dazi non pagati di oltre 7 milioni.
«Noi stiamo finendo tutto quello che era già in lavorazione», racconta intanto Marco tra una riunione e l’altra con i colleghi. Mentre i sindacati, su due tavoli separati, stanno avviando le procedure per la cassa integrazione straordinaria. Anche se «non sappiamo quanto possa essere applicabile per una società messa in liquidazione volontariamente». Il punto rimane uno solo: «Siamo tutti lavoratori con una altissima specializzazione, non facilmente reperibili ma anche non facilmente rivendibili sul mercato».