Dopo settimane di spifferi e indiscrezioni, Telecom Italia ammette tutti i conflitti d’interesse e gli errori commessi nelle due operazioni che, nelle intenzioni del management, dovrebbero contribuire a rafforzare il patrimonio dell’ex monopolista: il convertendo e la cessione di Telecom Argentina. Tanto sul bond da 1,3 miliardi di euro (e con rendimento tra il 5,75 e il 6,5%) emesso e sottoscritto in un battibaleno lo scorso 7 novembre in contemporanea alla conference call di presentazione del piano industriale al 2017, quanto sulla vendita al fondo Fintech degli asset sudamericani, i documenti diffusi su richiesta Consob evidenziano i conflitti d’interesse dei principali azionisti e la scarsa attenzione al mercato, che è peraltro l’azionista di maggioranza (85%) della compagnia di telecomunicazioni.
La corsia preferenziale delle parti correlate. Lo scambio di sms tra l’ex numero uno di Assogestioni Domenico Siniscalco – poi dimessosi per conflitto d’interessi, essendo a capo di Morgan Staley, istituto consulente di Telecom – e Marco Fossati (azionista al 5% tramite Findim) sulla sua esclusione dal collocamento del bond è finito su tutti i giornali. L’ex patron della Star, nel corso di un’audizione in Senato, lo scorso 21 novembre ha ribadito: «Di non aver ricevuto l’offerta di acquisto del convertendo da parte di Domenico Siniscalco, né di essere stato messo in grado di partecipare alla sottoscrizione». Dalla nota Telecom si evince che «è stato riconosciuto, su richiesta, un trattamento prioritario nel processo di allocazione delle obbligazioni» al fondo Blackrock, che tramite la filiale londinese ha sottoscritto 200 milioni (15,38% del totale), Telefonica per 103 milioni (7,92%), il fondo hedge americano Och Ziff Capital Management per 40 milioni (3,08%), mentre Intesa Sanpaolo ha sottoscritto 20 milioni, ma senza chiedere il trattamento preferenziale. Telefonica e Intesa, condomini nella scatola Telco, che controlla il 22,45% di Telecom, sono ovviamente parti correlate.
Ciò nonostante, «l’applicazione della procedura per l’effettuazione di operazioni con parti correlate», scrivono i consiglieri indipendenti nella loro relazione, è stata avviata «solo a valle della sottoscrizione del prestito da parte di Telefonica e di Banca Imi (controllata da Intesa Sanpaolo, ndr)». Quindi ex post. Rispondendo a Consob, il 14 novembre Telecom si è difesa spiegando che «la sottoscrizione del prestito da una parte correlata, in concorso con altri investitori qualificati non correlati, integri fattispecie analoga a quella dei ‘prestiti sindacati erogati da un pool di banche a cui partecipino una parte correlata e una pluralità di altri soggetti non correlati’ che rientrano tra le operazioni con parte correlata, ‘salvo che sia evidente il ruolo minoritario svolto all’interno del consorzio, in qualità di mero partecipante, dalla parte correlata’». Uno scioglilingua per dire: i sottoscrittori del convertendo sono in conflitto d’interessi, ma non rappresentano la maggioranza dello strumento sottoscritto.
Telefonica è azionista di Telecom e per questo monopolista in Brasile. La motivazione del trattamento di favore nei confronti della compagnia spagnola era stata giustificata con la qualifica di azionista, ma Telecom «rettifica e chiarisce quell’indicazione». Osservando che, non essendo Telefonica iscritta a libro soci, si tratta di un «azionista indiretto e “in trasparenza”». Cambia la forma, non la sostanza. La società presieduta da Cesar Alierta ora detiene il 66% di Telco, mantenendo i diritti di voto soltanto sul suo 46% del capitale, ma avrebbe dovuto esercitare il prossimo gennaio la call per rilevare il 100% di Telecom. Eppure, alla luce delle decisioni dell’Antitrust carioca sulla controllata brasiliana – dove Telefonica ha una posizione dominante controllando anche Vivo, il principale operatore del Paese – l’ipotesi difficilmente si realizzerà. Quantomeno in tempi brevi. Il regolatore delle telecomunicazioni (Cade) ha infatti multato Telefonica per 15 milioni di reais (5 milioni di euro) e Tim Brasil per un milione (330mila euro) per aver aumentato al 66% la quota in Telco. Violando, in questo modo, gli accordi sottoscritti nel 2010. Accordi che prevedevano l’uscita da Tim Brasil, posseduta indirettamente proprio tramite la holding Telco. Delle due l’una: o Telefonica vende la profittevole Tim Brasil – da cui arriva il 10% del margine lordo – o fa entrare un partner in Vivo.
Quali diritti hanno i piccoli azionisti? Seppure, dice il management, gli esclusi abbiano comunque beneficiato di un’operazione che mette al riparo da ulteriori declassamenti, essi subiranno comunque una diluizione delle loro quote. Per far sentire la loro voce dovranno attendere un’assemblea da convocare entro il 28 febbraio prossimo sull’aumento di capitale necessario alla conversione dei bond in azioni. Se l’assise darà parere negativo, «il regolamento del prestito prevede la facoltà per il suo emittente di rimborso anticipato». Ovvero Telecom dovrebbe sborsare subito 1,3 miliardi più interessi.
I dubbi dei consiglieri indipendenti. L’assenza di «misure compensative» rispetto alla diluizione dei piccoli è il motivo per cui Lucia Calvosa, ordinario di Diritto commerciale all’Università di Pisa e consigliere indipendente, ha espresso un voto contrario al convertendo nel cda dello scorso 7 novembre. Il deal non ha convinto l’economista Luigi Zingales, altro consigliere indipendente, essenzialmente per due motivi: la mancata applicazione – sin dall’inizio – della procedura relativa alle operazioni con parti correlate, e soprattutto: «L’accesso alle informazioni sulla decisione di emissione e sulle sue caratteristiche è stato discriminatorio tra i soci». Infine, Zingales ha sostenuto che la società ha comunque favorito Telefonica nella collocazione del bond nonostante la domanda abbia ecceduto l’offerta di tre volte.
Le mancate risposte sull’Argentina. Telecom ha venduto la controllata argentina – partecipata dalla famiglia Werthein, azionista di Generali, a sua volta azionista dell’ex monopolista in argentina tramite la holding Sofora – al fondo Fintech di David Martinez (altro azionista di Sofora) per 960 milioni. Senza gara. Come ha scritto Claudio Gatti sul Sole 24 Ore, nel cda del 7 novembre Lucia Calvosa ha subordinato il suo voto favorevole alla dichiarazione, da parte degli altri amministratori, di eventuali conflitti d’interesse. Un invito non raccolto da Gabriele Galateri, presidente del Leone e amministratore Telecom, il quale ha rettificato la propria posizione in un cda d’emergenza convocato due giorni dopo, il 9 novembre. Ora, come spiega Telecom, in risposta ai rilievi Consob sulla «disclosure in ordine al coinvolgimento nella vicenda di parti correlate» – Telefonica e Assicurazioni Generali – «in data 7 novembre 2013 il Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia ha esaminato l’offerta ricevuta da Fintech in sede di riunione separata, dunque senza la convocazione né la partecipazione ai lavori dei Consiglieri Cesar Alierta e Julio Linares (rispettivamente Presidente e Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione di Telefónica S.A.)». Perciò Galateri era presente.
In estrema sintesi, il rafforzamento patrimoniale di Telecom è una vera e propria summa di inciuci: corsie preferenziali per gli azionisti, conflitti d’interesse sulla vendita delle partecipate, comunicazioni rettificate in corsa. E, come se non bastasse, la posizione dominante in Brasile che potrebbe risolversi con una vendita forzata. La pietra tombale sull’ex monopolista.