Tra indagini e veleni, la crisi del modello emiliano

Indagati tutti i capigruppo regionali

BOLOGNA – Il navigato Stefano Caliandro, presidente (Pd) del Consiglio provinciale di Bologna, docente di Diritto del lavoro, agita il vessillo della spessa tradizione di buongoverno. Storia, etica e persino lo stile, impongono, dice lui, «trasparenza, chiarezza, sobrietà». I destinatari di questo invito alla morigeratezza sono – più che i consiglieri regionali, Democratici compresi, indagati per cene e pranzi un po’ troppo lauti a spese dei contribuenti – i dirigenti del suo partito. Tanto più che la lunga stagione della recessione ha presentato da tempo il conto anche all’Emilia Romagna, con una disoccupazione ampiamente oltre il 7%, percentuale mai vista da queste parti. «Novantamila senza lavoro solo a Bologna, siamo all’8%, ed eravamo al 2», ripete Caliandro. È anche per questo che, nella riserva rossa, brucia davvero lo schiaffo delle spese pazze dei consiglieri regionali. Tutti e nove i capigruppo, nessuno escluso, sono indagati per peculato.

In gioco, infatti, oltre all’onore e alla credibilità politica, c’è il mito di una diversità tutta emiliana, fatta – più che di comunismo – di una socialdemocrazia impastata con una storica laboriosità e una altrettanto storica coesione sociale. Solo che il modello comincia a sfilacciarsi. Per dire: gli ospedali sono spariti dalla top ten delle migliori strutture italiane, scavalcati da quelli lombardi, piemontesi, marchigiani, toscani. E persino quando si spulciano i numeri sulla malasanità (dati della Commissione parlamentare d’inchiesta) ci si arrende all’evidenza che l’Emilia Romagna – 36 casi in quattro anni fino al 2012 – sta peggio della Lombardia e della Toscana (34) e addirittura impallidisce di fronte al Trentino, che di casi ne ha uno solo. Certo, la sanità pubblica resta piena di eccellenze. Solo che, per dirla con le parole di Vinicio Zanetti, ai vertici dei Giovani Democratici, «qui siamo abituati a standard di qualità elevatissimi e questi standard bisogna mantenerli. È chiaro che serve un rinnovamento, dobbiamo elaborare un progetto».

Zanetti è uno di quelli che, al pari di tanti militanti, quelli che contribuiscono a tenere aperti i circoli e a mettere in piedi le feste del partito, si aspetta comportamenti irreprensibili. Per lui la questione è tutta politica. «Al di là dell’esito dell’inchiesta chi ha sgarrato dovrà risponderne davanti al partito». Cosa che detta così lascia pensare che il Pd, da queste parti, sia ancora materia compatta. Mentre crepe e mollezze ci sono eccome. «Abbiamo bisogno di un partito che faccia il partito», dice Zanetti. Ben sapendo che il mondo è cambiato, «che soldi ce ne sono sempre meno, che la funzione del pubblico deve cambiare, che la sanità è a corto di trasferimenti statali e allora anche la Regione si deve arrangiare. Il modello passato non è più replicabile. Dobbiamo ridisegnare l’Emilia Romagna per guardare ai prossimi trent’anni».

Una spallata l’aveva già data, a suo tempo, Sergio Cofferati, nei suoi cinque anni da sindaco del capoluogo emiliano, spiegando che la diversità emiliana, e soprattutto bolognese, era pronta per essere archiviata nella preistoria. In effetti la pubblica amministrazione, un tempo grande mamma prodiga, insegue la sussidiarietà. A Bologna ha ingoiato – da Giorgio Guazzaloca in poi – l’idea di finanziare le scuole materne private, ha di fatto ignorato i risultati del referendum consultivo che quel finanziamento lo voleva affossare, ha ammesso che gli oltre 30 milioni che pesano sulle sue spalle per sostenere materne e nidi pubblici sono ormai un lusso insostenibile. Tanto che, di fronte alle liste d’attesa per ottenere un posto negli asili, nessuno si scompone più.

Lo scandalo delle spese pazze in Regione, dopo aver fatto una prima vittima (l’ex capogruppo Marco Monari, che ha dato le dimissioni) sarà sul tavolo della prossima direzione regionale del partito. E lì ci sarà chi è pronto a dire che si tratta solo della punta dell’iceberg di un malcostume diffuso. «Io sono un garantista ma intanto assisto a un certo lassismo e a un calo esponenziale dell’impegno dei militanti», avverte un altro giovane, Mattia Baglieri, in corsa alle primarie del Pd per la scelta del candidato a sindaco di Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna. «Si è perso il senso della misura proprio mentre tanti di noi si fanno in quattro per non essere travolti dall’antipolitica». Forse molto dipende anche dal fatto che si è davvero chiusa un’era della quale Vasco Errani, presidente della Regione, braccio destro di Pier Luigi Bersani, è stato l’ultimo rappresentante. Al terzo mandato, è prossimo all’uscita di scena. I giochi per la successione si sono aperti. C’è da credere che sarà la difesa del logorato modello emiliano a fare la differenza.

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